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Trae Young, il nuovo Steph Curry: range di tiro illimitato. VIDEO

NBA

Le sue conclusioni partono ben oltre la linea dei tre punti e spesso costringono le difese avversarie a dover fare i conti con lui: dopo Steph Curry, il n°11 degli Hawks spera di poter ripercorrere le tracce dell'All-Star degli Warriors e permettere ad Atlanta di decollare assieme a lui (Miami-Atlanta è in diretta su Sky Sport NBA alle 00.30 con commento originale)

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Il riconoscimento come miglior giocatore della settimana a Est è soltanto il coronamento di un avvio di stagione da record che ha lanciato un messaggio chiaro: Trae Young è pronto a fare sul serio, dopo una regular season da rookie chiusa in crescendo e un inizio da All-Star alla guida di una delle squadre più intriganti della Lega. I dati raccolti nelle prime due partite - quelle che gli hanno permesso di conquistare il primo premio messo in palio nella Eastern Conference – sono impressionanti: 38 punti, sette rimbalzi e nove assist contro i Pistons; 39-9-7 nella sfida ai Magic. Cifre raccolte in passato soltanto da Dominique Wilkins a inizio stagione in maglia Hawks e più in generale il segnale che lungo il suo percorso di maturazione sta facendo dei passi in avanti da gigante. Partire con almeno 75 punti e 15 assist a referto è roba da Larry Bird e Russell Westbrook (unici nella storia NBA con cifre del genere), spesso frutto di giocate decisive come contro Orlando: gli ultimi otto punti di squadra portavano la sua firma, con tanto di tripla di tabella a meno di 30 secondi dalla sirena. Dietro di lui il miglior realizzatore in casa Hawks si era fermato a quota dieci – sintomo di come anche i compagni abbiano iniziato ad affidarsi con continuità alle sue conclusioni. Proprio per questo, a far discutere a margine della sconfitta subita contro Philadelphia è stata la scelta di lasciare l’ultimo possesso a Vince Carter: il blitz a centrocampo dei Sixers e le attenzioni dell’intera difesa erano rivolte verso Young, ma l’obiettivo degli Hawks secondo molti doveva essere quello di mettere in ogni modo la palla nelle mani del miglior talento a disposizione di Atlanta. Un errore che in Georgia non commetteranno più in futuro.

Il tiro da (molto) lontano: l’arma in più nell’arsenale di Young

Canestri che stanno cambiando le spaziature e le prospettive degli Hawks, una delle squadre più elettrizzanti delle Lega che può prendere spunto da chi, attorno al tiro da tre punti da lontanissimo, ha saputo costruire il sistema più vincente degli ultimi anni: i Golden State Warriors di Steph Curry. Il n°30 a disposizione di Steve Kerr è da un lustro la chiave del sistema che ha portato enormi soddisfazioni alla sua squadra: “Mi sento sempre on fire, in grado di colpire dalla lunga distanza – sottolinea Young - Se poi vedo che le prime conclusioni vanno dentro, allora tutto diventa più semplice”. Bersagli da lontano che costringono le difese a prendere delle decisioni drastiche già a metà campo: impossibile perderlo di vista, altrimenti il risultato è scontato. Basta guardare alcune conclusioni per rendersene conto: la più impressionante è quella arrivata contro Detroit, quando ricevendo un semplice passaggio a metà campo a sette secondi dalla fine del possesso, ha lasciato partire una tripla senza palleggio con i piedi sul logo dei Pistons. Solo rete, tre punti realizzati con la stessa facilità di un tocco da sotto.

Discorso simile anche contro Orlando, in cui sono arrivati cinque canestri pesanti su dieci tentativi dalla lunga distanza – tra cui l’ultimo, decisivo, a meno di 30 secondi dalla sirena. Fultz fa tutto bene, resta sempre ben posizionato tra Young e il canestro e lo costringe anche a rivolgere le spalle al tabellone a cinque secondi dalla fine del possesso. Il n°11 degli Hawks però in uno spazio ristretto e nonostante la mano in faccia, lascia partire una conclusione che il pubblico di casa sapeva già dove sarebbe andata a finire. Gli dei del basket ci mettono lo zampino con il tabellone, ma la sostanza è sempre quella: altri tre punti per Young.

La più importante da rivedere è invece la giocata contro Philadelphia, di gran lunga la più preoccupante e forse quella più “alla Curry” del repertorio. Partita iniziata da un paio di minuti, Young porta palla verso la metà campo avversaria e, superata la linea in tempo per evitare l’infrazione, punta dritto verso il blocco di Len. Su di lui è già pronto Josh Richardson, buon difensore a livello NBA, che cade sul crossover di Young come un novellino: volge per un attimo le spalle all’avversario e quel passo è letale. Young non ci pensa su due volte, non guarda il cronometro, né alla distanza da cui la conclusione viene presa: dieci metri più in là il pallone rotola in fondo alla retina, con i Sixers sconsolati e costretti dal possesso successivo a marcarlo con cinque metri d'anticipo rispetto a prima.

Questo permette agli Hawks di allungare in maniera considerevole lo spazio nella metà campo avversaria, di costringere a rotazioni complicate qualsiasi avversario e a raddoppi rischiosi che spesso non hanno effetto. Per diventare un All-Star al secondo anno in NBA infatti non bisogna soltanto mettere a referto cifre da record, ma migliorare nel complesso la squadra e i tanti giovani che dovranno crescere attorno a lui: “Aprire il campo con la sua presenza è utile per tutti noi – sottolinea Vince Carter, la chioccia attorno a cui Atlanta sta sbocciando – e diventa anche il modo migliore per aumentare la sua pericolosità. Se noi siamo un problema, per lui si aprirà molto più spazio. Lavorare per sé e per i compagni, la strada migliore da seguire per diventare un All-Star”. E viste le premesse, per Young la strada sembra già essere tracciata.