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NBA, Garnett scatenato: veleno per Taylor, rimpianti per Boston, amore per Kobe e Duncan

NBA

Sincero, duro e diretto come suo solito, Kevin Garnett torna ad attaccare Glen Taylor, il proprietario dei Timberwolves: "Un serpente: non lo perdonerò mai". E poi rivela: "Se dovessi cambiare qualcosa della mia carriera, me ne andrei prima a Boston: avemmo potuto vincere due-tre titoli"

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Con Kevin Garnett non si scherza. Sceglierselo come avversario non è la mossa migliore. Non lo era quando dominava sui parquet NBA, non lo è neppure adesso, quando sono ormai 4 anni che ha lasciato la lega. Proprio recentemente il suo nome ha fatto nuovamente notizia, per l’inclusione ufficiale nella Hall of Fame, che celebrerà l’ingresso di KG — insieme a quello di Kobe Bryant e Tim Duncan — il prossimo 29 agosto. Campione NBA (nel 2008 con Boston, anno in cui è stato anche votato miglior difensore NBA), MVP della lega (nel 2004 con Minnesota), oro olimpico (nel 2000 con Team USA), ora anche Hall of Famer: non c’è titolo che Kevin Garnett non ha vinto, non c’è traguardo che non ha centrato. Eppure, le sue prime parole dopo la formale ammissione nell’arca della gloria del basket mondiale — rilasciate al sito The Athletic — fanno notizia soprattutto per il rancore ancora fortissimo che “The Big Ticket” serba per il n°1 dei Minnesota Timberwolves Glen Taylor e per l’attuale proprietà, che — tra le altre cose — non ha mai ritirato la maglia n°21 del suo ex campione: “Glen sa cosa ne penso, non ci penso nemmeno a una cerimonia in mio onore finché lui è alla guida della franchigia. So che ha pressioni da ogni parte, dai tifosi e dalla comunità, ma non sarebbe mai un suo gesto genuino. Io e lui avevamo un accordo, prima che Flip Saunders [l’ex allenatore dei Timberwolves, ndr] morisse, ma quando Flip è morto l’accordo è stato dimenticato. Non perdonerò mai a Glen questo gesto. Non glielo perdonerò mai”, afferma duro Garnett, che aveva più volte espresso la sua volontà di entrare a far parte della società con un ruolo di grande prestigio, ruolo invece assegnato da Glen Taylor a Tom Thibodeau nel 2016, sei mesi dopo la morte di Saunders. “Per questo non voglio aver niente a che fare con Glen Taylor, o con la sua azienda: non faccio affari con gente velenosa come serpenti”.

KG: “Uno o due titoli in più fossi andato prima a Boston”

E il livore verso il proprietario dei Timberwolves — che non è assolutamente livore verso il Minnesota e i tifosi dei Timberwolves (“Li amerò sempre, avranno sempre un posto speciale nel mio cuore”) — torna anche nella riflessione sugli snodi fondamentali della sua carriera: “Non mi interessa dire ‘Cosa sarebbe successo se…’, ma se c’è una singola cosa che potrei cambiare tornando indietro me ne andrei prima dal Minnesota, sapendo che il front office e la proprietà non avevano lo stesso focus che avevo io — o anzi, non ne avevano proprio. Sarei andato a Boston qualche anno prima, un po’ più giovane, col fisico meno vessato da anni di battaglie: e allora forse chissà, avremmo vinto anche uno o due anelli in più”.  

Il rapporto con Kobe, la rivalità con Duncan

Garnett accetta poi di raccontare il rapporto — stretto — che lo lega ai due campioni che insieme a lui entreranno nella Hall of Fame a fine agosto: Kobe Bryant, che proprio imitando Garnett scelse di passare direttamente dal liceo alla NBA, e Tim Duncan, col quale ha condiviso a lungo non solo il numero di maglia (il 21) ma anche mille battaglie per il predominio a Ovest. “Due persone — non soli atleti, due persone — che non hanno avuto precedenti”, li definisce. “Kobe ha avuto un ruolo fondamentale nella storia del gioco, non solo influenzandolo ma creando qualcosa di nuovo: è stato qualcosa di unico, c’era una sorta di originalità in lui — e lo stesso vale per Timmy”. Con il quale le battaglie, anche per via dello stesso ruolo, sono state per anni leggendarie: “Lui [Duncan] e Rasheed Wallace: per me loro due sono sempre stati il massimo, il matchup più duro in campo ma anche il modello cui guardare per arrivare il più in alto possibile. Nella vita devi avere una o due nemesi che ti spingono a dare il massimo: considero Timmy [Duncan] e Rasheed [Wallace] quei due giocatori”.