Il lungo recentemente passato da Detroit a Cleveland, in corsa per la sua quarta corona di miglior rimbalzista NBA al momento dello stop del campionato, non si preoccupa del parere altrui: "Posso aver torto, ognuno ha le sue opinioni, ma non mi interessa. Continuò a pensare di essere io il migliore"
La carriera NBA di Andre Drummond è stata il simbolo della stabilità e dell’immobilismo per sette anni fino a che non è esplosa negli ultimi mesi. Scelto dai Pistons (alla n°9 al Draft 2012) ha sempre e solo giocato per Detroit fino allo scambio avvenuto a sorpresa appena prima dell’ultima trade deadline che lo ha mandato a Cleveland. Da quel momento in poi, il mondo di Drummond è esploso: l’esordio con i Cavs (il 9 febbraio contro i Clippers), un’altra partita contro Atlanta, poi la pausa per l’All-Star Weekend. Al ritorno, non più coach John Beilein in panchina ma il suo vice, promosso capo allenatore: J.B. Bickerstaff. Altre 6 partite e poi lo stop dovuto al coronavirus. Che Drummond affronta da Miami, dove vive la figlia (“Almeno è un’opportunità per stare di più in famiglia, ne sono felice”). Ha in casa una cyclette e fa pesi sollevando le taniche da un gallone d’acqua che ha in cucina, ma nel frattempo ha avuto modo anche di riflettere su una carriera che l’ha visto MVP del Rising Star nell’ormai lontano 2014, due volte All-Star (2016 e 2018) e per ben tre volte miglior rimbalzista NBA, classifica che stava guidando con un rimbalzo di vantaggio su Hassan Whiteside (15.2 contro 14.2 a sera) anche quest’anno, sulla strada per la sua quarta corona. Un titolo — quello di miglior rimbalzista —che Drummond prende molto seriamente: “Ho detto in passato che quando si tratta di andare a rimbalzo mi considero il più forte di sempre, e che nessuno a mio avviso neppure si avvicina a quanto ho fatto io in questi anni. Non mi importa se non è vero, se qualcuno può pensare che quanto dica sia sbagliato: per me è così, perché non sceglierei mai nessuno al mio posto, quando si parla di andare a rimbalzo”. Le cifre recenti sono lì a confermarlo, un’occhiata all’albo d’oro di questa speciale classifica (Wilt Chamberlain leader per 11 anni, Dennis Rodman per 7, Moses Malone per 6) sembrerebbe invece confutare quanto affermato da Drummond. Ma lui non importa: “Penserò sempre di essere io il migliore. Poi ognuno può avere la sua opinione”.
Detroit, che tradimento — anzi no
A essere invece cambiata è l’opinione dello stesso Drummond sulla trade che l’ha visto lasciare a sorpresa Detroit per approdare a Cleveland. Dopo aver espresso su Twitter la sua amarezza (“Ho dato anima e cuore ai Pistons per poi vedermi ceduto senza neppure un po’ di preavviso”) il lungo oggi ai Cavs sembra aver dimenticato ogni risentimento verso il front office di Detroit: “Fa parte del gioco, fa parte del business di questa lega — solo che era la prima volta che mi toccava in prima persona. Se ho risentimento verso Detroit? No. Qualcosa di negativo da dire sulla franchigia? Neppure. Alla fine Detroit per me è stata casa, e mi hanno sempre trattato bene”.