L'ultimo MVP NBA in maglia Bulls, oggi ai Pistons, ricorda la chance di poter visitare la villa del campione a Highland Park grazie all'amicizia coi due figli di MJ. "Poter vedere da vicino Jordan è stato come rendere manifesti — e quindi possibili — i miei sogni”
Derrick Rose a Chicago è stato la cosa più vicina a Michael Jordan dopo Michael Jordan. Il giocatore franchigia, l’MVP della lega (nel 1998 l’ultimo premio vinto da MJ, nel 2011 quello vinto da Rose, primo Bulls a riuscirci dopo il n°23). E Rose — oggi point guard da quasi 20 punti a partita a Detroit — ha voluto ricordare il suo primo incontro con la leggenda, quando soltanto 15enne fu invitato da Jeffrey e Marcus Jordan — i due figli di MJ — a casa della superstar dei Bulls. Che poi il termine casa non rende per nulla l’idea… “Mi ricordo arrivare davanti all’entrata di questa villa enorme e vedere il 23 sul cancello. Poi, appena varcato, un cartello stradale con un limite di velocità!”, racconta ancora incredulo Rose ad anni di distanza, stupito che la casa di una singola persona potesse contenere all’interno strade su cui fosse necessario applicare limiti di velocità. Di quella visita alla residenza di Jordan di Highland Park, a nord di Chicago, il n°25 dei Pistons si porta dentro anche l’emozione di aver incontrato — quasi a sorpresa — proprio il padrone di casa, impegnato ad allenarsi nel campo fatto costruire ad hoc nella sua villa. “Da quel momento non ho più smesso di guardarlo, neppure per un secondo: l’ho guardato mentre si comportava da padre con Marcus e Jeffrey, l’ho guardato portar fuori la spazzatura, contesti in cui non mi sarei mai sognato di poterlo vedere e a cui invece ho avuto l’opportunità di assistere”. Ma l’importanza di quell’incontro — riconosce oggi Rose — sta in qualcosa che lo ha riguardato più personalmente: “Fino a quel momento ero convinto che su di me ci fosse una sorta di maledizione, che siccome le cose in campo per me si stavano mettendo bene prima o poi tutto sarebbe crollato. Dopo averlo incontrato invece il mio atteggiamento è cambiato: ho sentito come fosse finalmente possibile anche per me avere quel tipo di vita, permettere a mia madre di vivere in maniera decente. Quella sera, tornato a casa, mi sono ripromesso che qualsiasi cosa avessi dovuto fare per arrivare a quel livello l’avrei fatta: ero come in missione. Poter vedere da vicino MJ è stato come rendere manifesti — e quindi possibili — i miei sogni”.