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Boicottaggio NBA, Marco Belinelli: "Ci sono cose più importanti di una partita di basket"

caso blake
©Getty

Le parole del n°18 dei San Antonio Spurs, in un intervista rilasciata al Corriere della Sera, sottolineano il peso di un gesto e di una decisione complicata da comprendere per chi non conosce a fondo la realtà e la situazione degli afroamericani negli USA: “I miei compagni mi hanno raccontato episodi di cui sono stati vittima loro malgrado. Nasci con la paura della polizia, una cosa che noi bianchi non possiamo capire”

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Marco Belinelli ha lasciato da qualche giorno la bolla di Orlando, eliminato dalla corsa playoff con i suoi San Antonio Spurs dopo i seeding games di inizio agosto e rientrato in Italia 11 mesi dopo la partenza destinazione Stati Uniti in questa lunghissima stagione NBA: “Non mi era mai capitato di stare così tanto tempo lontano da casa”, sottolinea nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, nella quale affronta l’argomento caldo delle ultime 48 ore: il boicottaggio da parte dei giocatori NBA. “Non si era mai visto nulla di simile in passato. Da qui è difficile da comprendere, ma la questione è davvero molto pesante. Vedendoli da vicino negli USA, capisci molto più chiaramente tante cose. Alcuni miei compagni mi hanno raccontato di episodi di cui sono stati protagonisti loro malgrado, solo a causa del colore della loro pelle. Essere una stella del basket in quelle occasioni non li ha aiutati. Ho capito che se sei afroamericano hai paura della polizia, è un’idea con la quali nasci. Noi bianchi non possiamo comprendere fino in fondo il loro stato d’animo”.

Situazioni complesse da gestire anche per chi nella vita ha trovato grazie alla pallacanestro il modo di affermarsi e che porta i giocatori a impegnarsi in prima persona nelle battaglie contro il razzismo: “Lo sport ha un potere enorme”, prosegue Belinelli. “Noi atleti dobbiamo essere i primi a dare risalto a queste storture utilizzando le nostre piattaforme. Un poliziotto che spara nel Wisconsin è anche un problema nostro, non solo del Wisconsin. Noi sportivi abbiamo un peso: dobbiamo sfruttarlo”. Seguendo anche l’esempio di chi, come LeBron James, non ha mai nascosto il suo punto di visto: “Lui è molto ascoltato, così come Chris Paul - presidente dell’associazione giocatori. Se parlano loro, significa che tutto il movimento è d’accordo. Anche io lo sono su tutta la linea. Le questioni politiche non mi interessano, quelle razziali sì: il razzismo è un problema sociale, non politico. Non possiamo far finta che non accada nulla, ci sono cose più importanti di una partita di basket”. In campo e nello sport in generale infatti, il colore della pelle non è mai stata una discriminante: “A compagni e avversari interessa soltanto il modo in cui giochi. La differenza sul parquet la fa il talento. L’unico razzismo che vedo nel basket è: sai giocare o non sai giocare”.

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