NBA, JJ Redick spara a zero sulla dirigenza dei Pelicans: "Non ci si può fidare di loro"
PAROLEDopo essere stato scambiato ai Dallas Mavericks insieme a Nicolò Melli, il veterano ha raccontato come sono andate le cose tra lui e la dirigenza di New Orleans: “Sin da novembre avevo chiesto di essere ceduto per stare vicino alla mia famiglia a New York: mi avevano dato la loro parola e non l’hanno rispettata. Da quella dirigenza nessuno può aspettarsi onestà”
Il nome di JJ Redick è stato uno dei più chiacchierati in sede di mercato praticamente dall’inizio della stagione, ed era chiaro a tutti che il suo futuro non sarebbe più stato a New Orleans. Lo stesso giocatore non ha mai fatto mistero del suo desiderio di avvicinarsi alla famiglia che vive a New York, chiedendo di essere ceduto a una squadra “a distanza di macchina così da poter far visita alla mia famiglia durante i giorni liberi”, per usare le sue stesse parole. Invece alla deadline del mercato è stato ceduto insieme a Nicolò Melli ai Dallas Mavericks, in una città che si trova ancora più lontana alla costa Est rispetto a New Orleans. “Ero sotto shock quando è successo, ero convinto che sarei finito tra i buyout” ha detto il giocatore nel suo podcast, “The Old Man & The Three”, spiegando tutta la vicenda. “Sin da novembre avevo chiesto direttamente a David Griffin [il capo della dirigenza] e a Trajan Langdon [il GM della squadra] di essere ceduto. Per le regole della stagione NBA e di quelle della scuola di mio figlio non avrei praticamente potuto vederlo per tutta la stagione, e poi in quel periodo hanno scambiato Jrue Holiday che era il motivo principale per cui avevo firmato per New Orleans, oltre al fatto che mi avevano offerto il miglior contratto nell’estate del 2019. Griffin mi ha risposto: ‘Vieni a New Orleans per un mese. Se ancora vuoi essere scambiato, ti do la mia parola che ti manderemo in una situazione di tuo gradimento’. Poi è intervenuto il mio agente. Poi ne ho parlato altre quattro volte in maniera diretta e personale per smuovere la situazione. Ovviamente non ha onorato la sua parola”.
Redick ha specificato di avere solo ricordi positivi della città di New Orleans, dei suoi compagni e anche della proprietà, ma che il modo in cui è stato trattato potrebbe non essere un episodio legato solo a lui. “Non penso che nessuno possa ricevere onestà da quella dirigenza. Non è neanche un’opinione, proprio obiettivamente non si può ricevere. E non credo che quello che è successo a me sia necessariamente un episodio isolato. Mi rendo conto che ogni front office faccia quello che è meglio per la franchigia, lo capisco. Mi costa ammetterlo, ma sono stato un po’ ingenuo nel pensare che avere 15 stagioni alle spalle potesse cambiare la mia situazione. Ho provato a fare le cose nella maniera giusta onorando la mia parte dell’accordo. Ma non mi aspetto che gli agenti che hanno lavorato con me si possano mai più fidare di quella dirigenza”. Questo è forse il passaggio chiave della vicenda: quali strascichi avrà quello che è successo per i Pelicans in futuro, sia con gli altri giocatori che con i procuratori di Redick, che fanno parte della potentissima CAA?
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Il giocatore ha comunque dichiarato di non avere nulla contro i Mavericks che hanno concluso lo scambio per prenderlo e anzi di essere eccitato dall’idea di poter giocare con “due talenti generazionali” come Luka Doncic e Kristaps Porzingis, quando si sarà completamente ristabilito dall’infortunio al tallone che lo ha fermato nelle ultime settimane. I Pelicans, invece, hanno spiegato la loro versione della storia: “Abbiamo passato la maggior parte dell’anno cercando di mandare JJ vicino alla sua famiglia, ma quando è diventato chiaro che le squadre geograficamente più vicine a New York non erano necessariamente le più interessate a prenderlo, abbiamo cercato di mandarlo in una situazione in cui potesse competere per qualcosa” ha detto David Griffin. “Abbiamo pensato che fosse la cosa giusta sia per lui che per la sua famiglia”.
Anche coach Stan Van Gundy ha parlato di quanto successo a un giocatore che lui stesso aveva fatto emergere nella NBA ai tempi di Orlando. “JJ voleva che succedessero delle cose e penso che a Griffin importasse molto quello che voleva, ma lui ha anche una responsabilità nei confronti di Gayle Benson e dell’organizzazione che supervisiona tutto quello che facciamo” ha detto il coach dei Pelicans. “Si dice sempre che la NBA sia un business, giusto? Beh, lo è. I giocatori vogliono fare ciò che è meglio per loro, e hanno ogni dannato diritto di volerlo, ma lo stesso vale per le organizzazioni. Vale per entrambe le parti. Quando si parla di scambi, free agent e contratti, tutti devono fare quello che è meglio per loro. Sfortunatamente a volte le due cose divergono. È spiacevole, ma è andata come è andata”.