A 74 secondi dalla sirena - con gli Warriors avanti di due - Curry è stato espulso dopo aver lanciato il paradenti verso il pubblico, un gesto che in NBA comporta l'espulsione automatica. La rabbia di Steph non era però rivolta verso gli arbitri, ma a Jordan Poole che aveva forzato un tiro da tre punti su un possesso decisivo invece di passargli il pallone (poi determinante nel finale). Si tratta della terza espulsione in carriera per la stella di Golden State, tutte arrivate per aver lanciato il paradenti
Erano quasi sei anni che Steph Curry non veniva espulso - costretto a uscire dal parquet in anticipo dopo aver scagliato il suo paradenti verso gli spalti, a seguito di uno scatto d’ira non rivolto né verso il pubblico (Golden State giocava in casa), né contro gli arbitri. Bensì verso Jordan Poole, compagno di squadra reo di averlo ignorato su un possesso decisivo a meno di 90 secondi dalla sirena: un tiro da tre punti affrettato e sbagliato che ha mandato su tutte le furie Curry, costretto a guardare dal tunnel dello spogliatoio la fase finale di partita. Un match risolto poi in volata e vinto proprio da una giocata di Poole, abile ad approfittare della distrazione Grizzlies e segnare i due punti che valgono il 122-120 a un secondo dalla sirena: “Un giocatore come Curry non andrebbe mai espulso in un finale di partita”, spiega sorridente proprio Poole, tutt’altro che infastidito dal gesto dell’All-Star con cui poi ha scherzato nel tunnel, lanciando a sua volta il paradenti sul muro non appena l’ha incrociato a fine gara (mentre Curry stava dando spiegazioni dell’accaduto a Joe Lacob, il proprietario Warriors corso subito da lui per capire cosa fosse accaduto). “In momenti del genere ogni dettaglio conta, per questo è facile perdere le staffe: non dovevo farlo, ma per fortuna non è finito sul pubblico e nessuno è stato messo in pericolo da quel gesto”, chiosa Curry, contento più di chiunque altro della vittoria cruciale raggiunta.