Aaron Wiggins: "Vincere il titolo non è una questione di vita o di morte"

Partiamo dal tuo percorso a livello professionale: queste sono le prime Finals della tua carriera, che voto daresti all’esperienza vissuta fin qui? "Fin quei direi un bel 10. Penso che come squadra abbiamo gestito bene queste Finals, c’è di certo stata grande concentrazione nello spogliatoio. E per quanto riguarda me più nello specifico, penso di poter dire che sono stato in grado di dare il mio contributo in ogni singola partita giocata, quindi sì, confermo: voto 10". Correggimi se sbaglio, ma ho letto che hai un background in ambito artistico e in particolare nel teatro. Questo bagaglio che ti porti dietro è utile in qualche modo anche per giocare a basket e più in generale cosa pensi ti abbiano lasciato quelle esperienze? "Senza dubbio credo che mi abbiano permesso di sviluppare un’abilità creativa, diciamo così, ben prima di arrivare a giocare a questo livello, ma che allo stesso tempo mi ha aiutato ad arrivare a questo livello. Avere un po’ di creatività è una cosa positiva e utile dentro e anche fuori dal campo, e poi di sicuro quelle esperienze hanno influito sul mio percorso di crescita come persona". La tua crescita come giocatore, d’altro canto, è un dato di fatto. C'è qualcosa a Oklahoma City, nell’organizzazione dei Thunder che aiuta i giocatori a sviluppare al meglio le loro potenzialità? "Assolutamente, al 100%. Prima di tutto contano la personalità dei giocatori che popolano lo spogliatoio e poi conta la volontà del coaching staff e della dirigenza, o per meglio dire la loro visione, che consiste nel creare un ambiente in cui i giocatori possano sentirsi a loro agio e avvertire la fiducia di tutti. È questo che ha fatto sì che tantissimi giocatori migliorassero una volta arrivati qui ed è sempre questo che ci ha permesso di raggiungere la chimica di squadra che abbiamo ora, sia sul parquet che lontano dal parquet, così fondamentale per essere la versione migliore possibile di noi stessi". Hai dimostrato di saper fare molte cose sul campo, prima tra tutte segnare, visto che hai in curriculum anche una partita da 41 punti. Ritieni che si possa definire un sacrificio rinunciare a segnare o a giocare più minuti per il bene complessivo della squadra? "Penso proprio che si possa definire così. Quando si tratta del bene della squadra devi essere pronto a sacrificare tutto: punti, minuti, partite, a volte devi sacrificare, o per meglio dire mettere a repentaglio anche il tuo corpo se serve a raggiungere l’obiettivo. Il sacrificio, insomma, può prendere forme diverse e io e i miei compagni la vediamo alla stessa maniera in questo senso". Di solito, quando si parli di un ‘role player’, si intende un giocatore molto bravo a fare una determinata cosa e meno bravo a farne altre. Non è il tuo caso, perché tu sei un giocatore molto completo. Potrebbe questa essere una nuova tendenza, avere giocatori in grado di fare un po’ di tutto durante la partita? O più probabilmente la definizione di ‘role player’ è ormai un po' vecchia e non molto calzante? "Assolutamente. Penso che sia proprio una tendenza quella di privilegiare giocatori che sappiano fare un po’ di tutto, e più ne hai in squadra e più puoi permetterti di affrontare in tranquillità alcune situazioni particolari. E credo proprio di poter azzardare che le squadre continueranno sempre di più a cercare giocatori con quelle caratteristiche". Ultima domanda: sia voi che i Pacers state dando vita a una vera e propria battaglia, ma l’impressione nel guardarvi da fuori è che per nessuna delle due squadre si tratti di una questione di vita o morte. Certo, è un grande spettacolo e la posta in palio è altissima, ma non è questione di vita o morte. Pensi che questo possa essere un buon messaggio che voi e Indiana state mandando in queste Finals? "Al 100%. Voglio dire, ovviamente riconosciamo l’importanza del nostro lavoro e degli obiettivi per cui lottiamo, ma siamo consapevoli che qualunque cosa succeda ci sarà sempre un altro giorno, ci saranno le nostre famiglie, ci sarà tanta vita da vivere al di fuori del basket. E quindi sì, non si tratta di vita o morte, anche se quello che stiamo facendo è davvero importante".

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