OKC ha vinto il titolo NBA cambiando pelle per rimanere fedele alla sua identità

I Thunder vincono il primo titolo NBA della loro storia da quando si sono trasferiti a Seattle nel 2008, a coronamento di una stagione dominante da 68 vittorie in regular season e con il miglior net rating della storia, +12,7. I ragazzi di coach Mark Daigneault si portano a casa il Larry O’Brien Trophy dopo una serie di finale tra le più belle degli ultimi anni: combattutissima, ben giocata, equilibrata ed emozionante anche grazie a quanto messo in campo dagli Indiana Pacers, avversari straordinari. E i Thunder arrivano in vetta alla lega restando fedeli alla loro identità: difesa micidiale, attacco nelle mani di Shai Gilgeous-Alexander e Jalen Williams e rotazioni lunghe, non proprio una consuetudine una volta arrivati alle Finals. Per Oklahoma City otto giocatori hanno avuto un utilizzo in media di almeno 14 minuti e in dieci sono scesi sul parquet in cinque delle sette partite giocate, restandovi per minuti davvero significativi. Tutto, per i nuovi campioni NBA, parte però dal primo punto, ovvero dalla difesa. Dominante dallo scorso autunno, sempre aggressiva, con mani veloci e attive sulla palla, rapida nelle rotazioni e nei close-out, capace di proteggere l'area e di forzare palle perse che innescano il contropiede. E tutto questo i Thunder l’hanno fatto anche contro i Pacers: nella sola gara-7 hanno forzato 23 palle perse che si sono trasformate in 32 pesantissimi punti. Solo nel 3° quarto, quando sono riusciti in qualche modo a spaccare in due la partita con un parziale di 34 a 20, le palle perse dei Pacers sono state 8 per 18 punti segnati da Oklahoma City. Questi punti da palle recuperate e in transizione sono stati fondamentali per compensare un attacco che a tratti ha fatto fatica nella serie. La palla è rimasta spesso troppo ferma, in attesa che partisse l'uno-contro-uno di una delle stelle designate, con poco movimento da parte degli altri compagni e un ricorso modesto al tiro a tre punti. In diversi momenti i Thunder sembravano immobili, fiduciosi che uno tra Gilgeous-Alexander e Williams avrebbe in qualche modo risolto i loro problemi grazie alla capacità di giocare in isolamento e di guadagnarsi tanti tiri liberi. E questo atteggiamento, nonostante alcuni passaggi a vuoto, ha ottenuto il risultato desiderato nelle partite che hanno segnato il destino delle Finals. La scelta tattica ha ripagato i Thunder nella fondamentale vittoria di gara-4, per esempio, quando uno strepitoso Gilgeous-Alexander ha segnato da solo 15 punti negli ultimi 5 minuti. Oppure in gara-5, quando i 40 punti dello scatenato Jalen Williams sono risultati fatali a Indiana, prestazioni individuali eccellenti che hanno permesso a Oklahoma City di sopravvivere in una serie dove ha tirato poco e non particolarmente bene da tre punti , anche in ragione del fatto che la palla si muoveva poco senza riuscire quindi a mettere in ritmo i tiratori. THUNDER FEDELI ALLA LINEA, MA CON IL CORAGGIO DI CAMBIARE E quindi i Thunder hanno vinto rimanendo fedeli alla loro identità, come detto, ma anche perché non hanno avuto paura di cambiare quando era necessario. Durante la regular season, Daigneault e il suo coaching staff hanno sfruttato le lunghe assenze di Chet Holmgren e Isaiah Hartenstein per provare assetti tattici e soluzioni diverse. Una di queste è stata utilizzata da subito in gara-1 con l’inserimento in quintetto di Cason Wallace al posto di Hartenstein in modo da avere quattro esterni rapidi che potessero tenere sui cambi difensivi e ruotare con velocità. Un particolare, quest’ultimo, a dir poco fondamentale per provare a contrastare l'attacco di Indiana, basato sulle spaziature e sul movimento di palla e di uomini, che ha comunque finito col mettere in difficoltà i Thundernel corso della serie. Questi aggiustamenti, infatti, non hanno funzionato particolarmente bene o perlomeno non con la continuità necessaria, tanto che in gara-4, decisiva con Indiana avanti 2-1 e forte del supporto dei tifosi di casa, si è tornati all'assetto con i due lunghi. Eppure, quell’aggiustamento è tornato utile, utilissimo nel momento in cui la serie si è decisa, ossia nel 3° quarto di gara-7, quando col quintetto piccolo con Wallace e Caruso in campo e Hartenstein in panchina, la partita è girata proprio attorno all’aggressività e alla capacità di mettere pressione sui portatori di palla avversari per poi recuperare il possesso e correre in contropiede. E i cambiamenti che i Thunder non hanno avuto paura di fare hanno anche riguardato le loro rotazioni e in particolare Gilgeous-Alexander, tolto presto, a metà del primo quarto e a metà del terzo quarto in gara-4 e gara-5 per averlo più fresco nel finale. Anche questa modifica, tutt’altro che secondaria, ha funzionato grazie alla capacità della squadra di reagire ai cambiamenti e di farlo con velocità e grande attenzione. L’elasticità, insomma, è stata uno dei fattori che hanno deciso le Finals e che hanno permesso a Oklahoma City di avere la meglio al termine di una sfida decisa da piccoli aggiustamenti, da dettagli e, va detto, purtroppo anche dall'infortunio di Tyrese Haliburton oltre che dal fattore campo, che Oklahoma City si era ovviamente guadagnata con la grande regular season e poi risultato molto importante in gara-7. Al di là di tutto il resto, però, per riassumere l’andamento della serie e il trionfo dei Thunder si potrebbe ricorrere al vecchio detto: è la difesa che vince le partite, e in queste Finals è stata fondamentale anche per vincere il titolo NBA.

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