Tutto il senso del sacro fuoco di Olimpia

È il tempio di Era che accoglie il rituale dell’accensione del fuoco sacro, quella di Olimpia ad Olimpia. Nell’antichità il fuoco sacro, rubato agli Dei da Prometeo e portato sulla terra, era custodito e tenuto accesso nel tempio di Estia, figlia primogenita di Crono e Rea. Vesta, per i romani, dea vergine della famiglia, della casa. Per onorare Zeus, durante i Giochi le sacerdotesse vestali lo spostavano dal focolare domestico al tempio di Era e lì rimaneva per tutta la durata dell’evento, a simbolo anche di tregua e pace. Da lì partiva poi per annunciare l’inizio della disputa delle gare. Così come accade ancora oggi, con il primo tedoforo , in questo caso lo sciatore slalomista AJ Ginnis, che darà il via a una staffetta ellenica che avrà in Belmondo e Zoeggeler i terminali azzurri, super titolati, ai quali consegnare il compito simbolico di custodire il fuoco sacro in territorio italiano. Il fuoco che nasce dai raggi del sole, ora modernamente catturati da uno specchio concavo, dove vi è l’Heraion, la città sacra, e che arriva fino ad Atene, nello stadio Panathinaiko, dove si disputarono i primi giochi del 1896 e successivamente teatro del magico finale di Stefano Baldini alla maratona del 2004, 108 anni dopo il successo del pastore greco Spyridon Louis. Questa configurazione del rituale non risale alle prime edizioni ma ha avuto inizio in quella di Roma 1960. Le precedenti Olimpiadi non erano altro che organizzazioni locali che poi magari si interessavano esclusivamente del fuoco sacro di Olimpia. La prima staffetta della fiaccola olimpica nacque invece nel 1936, sia per ragioni di messaggio di forza dettato dal regime nazista, una specie di comunicazione voluta da Goebbels per far viaggiare la fiamma olimpica nei territori dell’asse, sia per esigenze cinematografiche, grazie alla regista Leni Riefenstahl e al suo Kolossal “Olympia”. Giusto per rimanere in chiave invernale, soltanto nel 1952 con l’occasione dei Giochi di Oslo, prima capitale e non cittadina montana ad ospitare le Olimpiade, ci fu la primissima staffetta bianca. Il tutto nacque a Morgedal, piccolo borgo non troppo distante da Oslo, nella casa natale di Sondre Norheim, inventore e pioniere dello sci: il Telemark, una tecnica di sci ma anche il nome della regione di Morgedal. Nel camino di casa Norheim venne accesa la fiamma da un ragazzo che poi la passò a un primo sciatore e via in discesa verso quello che diventerà il primo passaggio della fiaccola sulle nevi norvegesi: 94 tedofori coprirono 220 chilometri per arrivare sulla pista di ghiaccio di Oslo, il Bislett Stadium. La sfilata delle squadre fu abbastanza pericolosa, visto che l’organizzazione non aveva previsto alcun tappeto sul ghiaccio, e diversi furono gli atleti costretti a gravosi scivoloni, con le immagini dell’epoca, leggermente velocizzate, che rendevano la scena di un’indubbia comicità. Di assoluto prestigio le due medaglie azzurre, primo oro nello sci alpino con l’oro in discesa libera del grande abetonese Zeno Colò e bronzo, sempre in discesa, di Giuliana Minuzzo, prima medaglia olimpica femminile. Altre curiosità legate alla staffetta olimpica le troviamo anche nell’edizione di Cortina 1956, quando l’accensione del fuoco di Olimpia avvenne… a Roma, al Campidoglio. Il primo tedoforo a scendere la scalinata fu il discobolo Adolfo Consolini che la passò al marciatore Pino Dordoni, che poi la portò a Ciampino e da lì in aereo fino a Venezia. Zeno Colò, che non poté gareggiare per un problema di “sponsorizzazione”, in un mondo olimpico come quello di allora totalmente dilettantistico, si esibì sciando con la fiaccola, come pure lo scalatore e conquistatore del K2, Lacedelli. L’ultimo tedoforo, il pattinatore Guidi Caroli, inciampò nei cavi della televisione che per la prima volta trasmetteva in diretta i Giochi, cadde sul ghiaccio riuscì a non far spegnere la fiaccola e la portò al braciere accendendolo. Il giuramento degli atleti, ideato nel 1920 ad Anversa, fu letto per la prima volta da una donna, Giuliana Minuzzo. Fu l’Olimpiade dell’austriaco Toni Sailer che vinse in tutte e tre le discipline dello sci alpino, slalom, discesa e gigante, ma fu anche l’edizione del bob azzurro, unica disciplina in grado di conquistare medaglie: un oro, quello di Dalla Costa-Conti nel bob a 2, e due argenti, entrambi ottenuti dal pilota Eugenio Monti sia nel 2 che nel 4. Proprio perché si affronta ora quello che viene chiamato messaggio olimpico, ovvero il viaggio del fuoco di Olimpia, è bene fare anche un po’ d’ordine sulla simbologia dei 5 cerchi. Apparvero per la prima volta su una bandiera voluta da Pierre de Coubertin nel 1913, ufficializzata nel 1914 e poi finalmente adottata nel 1920. Ogni cerchio e ognuno dei 5 colori rappresenta un continente e il sesto colore, il bianco dello sfondo, definisce l’unione di tutte le bandiere. Nel 1924 i 5 cerchi saranno presenti sulle medaglie. Le prime, quelle del 1896, erano d’argento e venivano assegnate solo ai primi due atleti di ogni gara, che venivano poi adornati da una corona di ulivo. A Parigi, nel 1900, come voleva la tradizione sportiva si iniziarono a premiare i primi tre, ma con coppe e trofei, principalmente derivati da premi ippici. Con Saint Louis 1904 si arriva finalmente alle tre medaglie, oro, argento e bronzo. L’inno olimpico compare durante sin dalla prima edizione, quella del 1896, composto da Spiro Samara con parole tratte dal poema dello scrittore e poeta greco Kostis Palamas. L’inno fu però ufficializzato solo nel 1964 e fino a Roma 1960 ogni organizzazione ne faceva comporre uno esclusivo per i propri Giochi. Il motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” comparve già nel primo consiglio a Parigi nel 1894 e fu adottato sempre a Parigi nel 1924. Nel 2021 si aggiunse Communiter, insieme. Necessaria appendice per sottolineare la forza di coesione dello sport, dopo l’arrivo del Covid. E il braciere di cui abbiamo già tanto parlato? Ebbene arriverà solo nel 1928, ad Amsterdam. In quell’occasione fu dato un impulso elettrico e la fiamma venne accesa sulla Torre di Maratona, issata nello Stadio Olimpico. Fu l’architetto olandese Jan Wils ad aver avuto l’idea di costruire all’interno della torre il contenitore del fuoco per farlo ardere durante i Giochi. Per completare con altre piccole curiosità e darvi un quadro completo con anche un po' di narrazione rimangono ancora la nascita del villaggio olimpico, che avvenne nel 1932 a Los Angeles, dove vennero installate delle casette di legno prefabbricate, e l’utilizzo del podio, sempre nel 1932, per differenziare i primi tre. L’idea era già stata utilizzata in Canada nel 1930 per i giochi del Commonwealth, piacque al comitato olimpico che la adottò 2 anni dopo. A Cortina 1956 fu studiato, ma alla fine non fu realizzato, il villaggio olimpico, vista l’abbondanza di alberghi ed abitazioni. Ora godiamoci questo conto alla rovescia fino al 6 di febbraio, con la curiosità di scoprire chi sarà l’ultimo tedoforo, ammesso che non siano più di uno, e veder arrivare il fuoco sacro, quello di Olimpia, fino all’Olimpiade di Milano-Cortina.

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Giovanni Bruno