Fortissimamente Nole: come al solito, ha avuto ragione lui

La chiusura di un cerchio. Anzi, di cinque cerchi. Se ci fosse un joystick di mezzo si parlerebbe non di livello superato, ma di videogame completato. Il gioco è finito, tu sei più forte del gioco. Intorno alle 17 di domenica 4 agosto 2024, alle Olimpiadi di Parigi, sul campo centrale del Roland Garros Novak Djokovic ha conquistato l’ultimo dominio ancora inesplorato, una medaglia sul petto, diventando, a 37 anni, l’oro più anziano della storia del tennis. “Cara Serbia, ce l’abbiamo fatta”, queste le sue prime parole dopo le lacrime, le lacrime di chi, ancora una volta, si è preso il mondo del tennis. Dicembre 2023, il quotidiano francese L’Equipe per la decima volta lo nomina sportivo dell’anno. Nella consueta intervista che è ormai abituato a rilasciare, annuncia senza stupore quali sono gli obiettivi della stagione: “Essere il migliore, e ancora il migliore, e ancora il migliore”. Un 2024 secondo copione, insomma. Un copione imparato a memoria. Lo stesso ruolo, quello del più forte, anno dopo anno dopo anno. Per Novak Djokovic la stagione numero 20 da professionista si è conclusa come d’abitudine, vittoria delle Atp Finals per la settima volta in carriera e primo posto del ranking blindato . Nei mesi precedenti aveva vinto gli Slam numero 22, 23 e 24. Un’unica sbavatura, Wimbledon, la finale persa contro Carlos Alcaraz, che più che una sconfitta era sembrata un memorandum per sé stesso e per i suoi avversari: anche Nole, in fondo, è un essere umano. Capita poche volte nell’arco di un anno solare, ma anche a lui capita di perdere, anche se difficilmente due volte di seguito contro lo stesso avversario . Una delle fotografie più emblematica del 2023 vissuto da Djokovic è stata scattata a Flushing Meadows, il luogo dove ha conquistato il suo ultimo major. Subito dopo aver spazzato via dal tabellone l’esuberante talentino made in Usa Ben Shelton, fa il gesto di chi abbassa la cornetta del cellulare. Probabile significato? “Sono ancora il numero uno del mondo e al futuro sbatto il telefono in faccia”. Vedi alla voce futuro, Alcaraz, Sinner, Shelton e tutti i nuovi tennisti nati dopo gli anni Duemila . “Essere il migliore e ancora il migliore e ancora il migliore”. Queste le ultime parole del serbo datate nel 2023. Eppure, per la prima volta nella sua carriera, alle intenzioni non sono seguiti i fatti, le conferme. La prima crepa a Melbourne. In semifinale contro Jannik Sinner perde la prima partita sul cemento australiano dal 2019. In quel match non lo si è mai visto urlare, scagliarsi contro qualcuno, dare segni di agonismo, comportarsi da Nole. Djokovic scricchiola, se lo si guarda con attenzione si può notare qualche capello bianco, le motivazioni sembrano ridotte all’osso. Dopo due decenni di professionismo, dopo aver vinto tutto o quasi, dopo aver sconfitto tutti i suoi antichi avversari e averli visti alcuni ritirarsi, altri perennemente zoppicanti anche i cannibali non ne possono più di essere cannibali. E così sette mesi e zero titoli, ogni torneo la stessa stanchezza, una fatica inedita. “Essere il migliore. E ancora il migliore. E ancora il migliore”. Ma perché? E soprattutto per chi? La prima parte del 2024 per Novak Djokovic si stava prospettando come annus horribilis, il peggiore, giù dal trono, con un ginocchio rotto e due avversari che ogni volta che ne hanno avuto la possibilità lo hanno sconfitto. All’esordio della stagione sulla terra rossa, a Monte-Carlo, una delle tante capitali del suo regno, il serbo ha confessato di non averne più. Qualcuno ci ha creduto. La verità è che Novak Djokovic voleva Parigi. Parigi e basta. Ma non la Parigi dello Slam, quella la conosce a memoria, voleva i cinque cerchi. Tutta la sua stagione è stata un warm up, attesa della fiaccola, riscaldamento, preparazione alla leggenda. Nel luglio francese, per la prima volta dopo settimane che sono diventati mesi, si sono rivisti quegli gli occhi, la fame, il campione. Nole, quando vuole, è ancora Nole. Con un colpo da maestro e un tutore al ginocchio, ha ribaltato i pronostici sul suo futuro, completando il Career Golden Slam. Inutile cercare paragoni, non ce ne sono. Con l’oro olimpico sono 99 i titoli in carriera del serbo, 1116 vittorie su 1336 partite giocate. Aveva un sogno, forse l’ultimo, e una chance, forse l’ultima. A posteriori si può pensare che abbia mangiato, dormito e respirato per sette mesi in loro funzione. Per sentirsi, ancora una volta, campione per la prima volta. Ogni sconfitta, sette in questa stagione, è servita per poter indossare quella medaglia, per poter ascoltare l’inno, per essere accolto in patria, a Belgrado, come un eroe nazionale. Sette mesi, o forse vent’anni, di noia e di attesa, di fatica e di ossessione. Nessuno poteva immaginarlo, a chi lo osservava sembrava solo vecchio, esausto, ko. Invece era tutto programmato, l’unione dei puntini per chiudere il quinto cerchio. Un desiderio folle, smisurato e arrogante, che non tiene conto degli avversari, degli imprevisti, delle ossa che si rompono. Come al solito, ha avuto ragione lui. Fortissimamente volle. Fortissimamente Nole.

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