Perché lo US Open è il torneo più difficile e incerto del circuito Slam

Non esiste una risposta semplice al mistero dello Us Open: dal 2008 nessun tennista ha vinto il torneo per due volte di fila. Certo, Djokovic e Nadal hanno trionfato addirittura quattro volte ciascuno, ma mai consecutivamente. L’ultimo a riuscirci fu Roger Federer, che dopo cinque successi consecutivi perse nel 2009 una finale incredibile con Del Potro in cinque set . Partiamo dicendo che lo US Open è forse il torneo più difficile del circuito per le condizioni di gioco. I tennisti ci arrivano verso la fine della stagione, ognuno con i suoi problemini fisici e con quasi 9 mesi di partite nelle gambe. Tra l’altro si trovano a giocare in un ambiente di grande umidità, con temperature molto spesso elevate. C’è poi la questione legata alla superficie: sul cemento il gioco è più veloce rispetto alla terra rossa del Rolando Garros o all’erba di Wimbledon, la palla rimbalza più bassa e non ti permette di avere una giornata storta. Il margine di errore è più sottile rispetto agli altri grandi tornei dello Slam, e davvero serve essere al 1000% e non sbagliare quasi nulla, perché se la partita prende una certa direzione allo US Open diventa più complicato raddrizzarla rispetto a quanto succede a Parigi o a Melbourne. Qui la palla ha una traiettoria più bassa, 'schizza' un po’ di più di quanto non faccia negli altri grandi tornei, alzando di fatto il ritmo delle le partite. Perché si parla sì di millisecondi, però in una partita di 5 set, in una competizione di due settimane, alla lunga fa la differenza. E non trascuriamo la questione dell’umidità: come detto prima il clima è tosto in America in questa stagione, ciò fa sì che sia difficile vincere 3-0 dominando senza avere nessun momento di calo fisico o psicologico. È un torneo che mette più a dura prova gli atleti rispetto a quanto non faccia ad esempio l’Australian Open, che si gioca a inizio stagione quando sono ancora tutti freschi e preparati e in un periodo dove fa sì caldo ma dove ancora il clima non è così pesante. Quest’anno tra l’altro ci sono state anche le Olimpiadi, un motivo per rendere lo US Open ancora più incerto e combattuto. A mio giudizio è lo Slam più difficile da preparare, per il numero di variabili da considerare: la stanchezza, la superficie, la temperatura, il percorso di avvicinamento. Perché per gli altri grandi tornei la preparazione è più o meno simile, qui no. Tutti arrivano con uno stato fisico e mentale differente. Ecco perché è molto difficile dire chi sia il vero specialista del cemento: Medvedev si è auto proclamato come tale, ma la verità è che tutti in un certo senso lo sono, visto che la maggior parte dei tornei del circuito si giocano su questo tipo di terreno. La stagione sulla terra rossa dura due mesi, quella sull’erba uno, se vuoi essere al top del ranking non puoi non essere forte sugli hard courts. Ecco un altro motivo per cui è così difficile ripetersi allo US Open, perché i migliori giocano sempre bene sul cemento. Dopo questa analisi, insomma, chi sono i favoriti? Sempre i soliti: Djokovic, Sinner e Alcaraz per il tabellone maschile; Sabalenka, Rybakina e Swiatek per quello femminile, con la variabile di Coco Gauff che non sta avendo una bellissima stagione ma gioca pur sempre in casa. Il torneo è lungo, in due settimane anche chi parte piano ha il tempo per trovare la condizione migliore, e quindi inevitabilmente vengono fuori alla distanza i migliori del ranking. E attenzione proprio a Sinner, le vicende uscite post Cincinnati sono ormai alle spalle: senza quel peso mentale e quella pressione mediatica può concentrarsi solo sul torneo. Giocherà con leggerezza, con l’idea di fare un grande US Open.

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