Era il numero uno al mondo, ora è anche il più forte di tutti

È il numero al mondo, è il più forte di tutti. Una cosa è successa qualche mese fa, l’altra è sicura da qualche giorno. Questo è il messaggio netto degli Open degli Stati Uniti, è la sostanza che la classifica mette in numeri con il vantaggio abissale, il doppio dei punti di Djokovic, 4.500 punti in più di Alcaraz: il podio dei tennisti in attività che l’immaginario compone, che la logica seleziona anche se il computer intermezza con Zverev, capace di una stagione continua, seria, felice ma che non cambia lo sfondo: Sasha può vincere i tornei Mille ma negli Slam è il piazzato ideale, sempre battuto prima o poi da qualcuno nei suoi 35 tentativi. La classifica di Sinner è mossa dal lievito, cresce da mesi. È lui il fermento, è lui che impasta il suo tennis, cresciuto in tutto: dov’era già forte, dov’era migliorabile, dove non c’era. Che il suo tempo fosse buono era evidente dalle prime sbracciate, anche se si è persa la cultura della sconfitta, e dunque il valore della pazienza, come se ogni prova fosse decisiva al giudizio finale. Ma le cose accadono, i destini si fanno. Ci sono atleti che appaiono subito “strutturati”, compiuti - pensate ad Alcaraz - come fossero originati da un impeto irresistibile, dalla natura . Altre volte hanno una progressione che si apprezza distaccandosi ed elevandosi sopra le momentanee delusioni, le fisiologiche fermate. Sinner aveva bisogno di un centinaio di partite per costruirsi una strategia, e di altrettante per dilatare nel tempo la sua rinnovata forza. Tutte le sue statistiche testimoniavano per lui: la percentuale di vittorie era la stessa dei grandi di questo sport, nella loro prima parte di carriera. Eppure, intorno a Sinner si è dovuto subire un discorso maleducato, nel senso proprio del termine: cattiva educazione. Attese e pretese fanno rima, ma non educano. Lui è rimasto concentrato sulla sua missione: il talento dà un margine in partenza, non tutti sono allineati sui blocchi ma non ti porta al traguardo, non conserva spontaneamente il vantaggio. Quanti talenti si sono persi per strada, difettosi di una componente decisiva, anzi, della forma più importante del talento, quello di volersi e sapersi migliorare. Ne hanno avuto bisogno tutti, è il racconto che eleva i tre fenomeni sopra tutto il resto. È un talento “morale”: saper lavorare, saper distinguere fra scelte giuste e sbagliate, imparare il valore del sacrificio, mettersi in discussione, tormentarsi. È un compito che irrobustisce il senso di sé, che tiene l’agonista in asse. È un tempo necessario che l’impazienza può rovinare. Per fortuna l’autunno scorso di Sinner ha evitato a molti di compiere l’infanticidio di questo ragazzo. Lui ha lucidato la sua crescita dalla polvere del risentimento altrui e della frustrazione propria, anche quella in agguato, perché poche volte si sente a posto, giusto, perfetto, “devo ancora crescere, cerco sensazioni migliori” ripete dopo ogni vittoria. È davvero quel pellegrino in cammino verso la città lontanissima che non raggiungerà mai, quell’atleta condannato che teorizzava Buzzati, parlando del ciclista. Scrivendone per la Gazzetta dopo un torneo vinto, ci venne in mente di implorare il suo diritto di perdere, per costruire il suo destino di vincere. Che poi “destino” è una parola magica, la personificazione di una forza superiore e misteriosa. Come se i fatti fossero legati da un filo invisibile che li mette in ordine: in quell’ordine, l’unico possibile. In realtà Baricco lo scrisse meglio di tutti: non è un credo, il destino fa fuoco con la legna che trova. Preparare il legno, spaccarlo, organizzarlo in ceppi è un lavoro di uomini, il talento al massimo è la diavolina che aiuta le fiamme. Sinner è diventato il più forte di tutti dopo essere diventato numero 1. Siamo convinti che fino all’ultimo Slam anche per lui era difficile collocarsi davanti ad Alcaraz, capace di quella doppietta Roland Garros-Wimbledon, terra ed erba, quell’architettura completa del gioco, Nadal e Federer nello schema di pensiero totale e recente. Inoltre, le vittorie di Alcaraz sembrano per stile d’una ricchezza superiore, e confondere lo stile con la forza è un inganno molto frequente. Anche questa sfida già così sentita, sponsorizzata, reale eppure ancora embrionale ha potenziato Sinner, lo ha portato nel mare agitato, passaggio obbligato per sentirsi un navigante più attrezzato, robusto, inaffondabile. Jannik ha esplorato se stesso, trovando altro, scoprendo di essere arrivato vicino alla vetta e di essere ancora lontano dai suoi limiti: una scoperta bellissima, un momento d'estasi. Crescendo nel tennis, nel fisico, nella gestione delle emozioni. Restando quel “tipo” di tennista, ha dato un senso alla sua straordinaria fluidità di braccio. Ha trovato uno sbocco alla velocità dei suoi colpi, che contro gli atleti di oggi non sempre può essere sempre definitiva. Queste nuove possibilità e la resa del servizio hanno tranquillizzato anche la manovra del gioco. Il dritto adesso è corposo, sensato, può aprire il campo o chiudere il punto, verso ogni angolo. Sul rovescio c’era poco da aggiungere, sulla risposta c’era solo da lasciarla andare: “Nessuno risponde come Sinner” disse Djokovic, nel 2022. E sicuramente ed elegantemente sottintendeva: nessuno a parte me, perché nessuno, mai, in questo sport ha avuto la risposta di Novak. Oggi il tennis di Sinner accorcia il respiro degli avversari, toglie ossigeno. L’aggiunta di velocità che ha inserito nel suo sport - questo fu l’avvento di Jannik - si è arricchita di un “gioco”: questo ha cariato la resistenza degli avversari, nessuno contro Sinner è libero di progettare per troppo tempo o con continuità un proprio schema. Nessuno riesce a vivere pienamente le sensazioni del match, a ritrovare quanto preparato, allenato. Negli ultimi due anni è cresciuto il numero dei punti silenziosi, quelli raccolti da Sinner per gli errori degli altri, che un’ottusa statistica spesso definisce “errori gratuiti”: quasi niente è gratuito in questo sport, sono semplicemente errori dovuti a questa partita in cattività imposta agli altri dal numero 1. Sinner oggi è il più forte perché l’essere tennista lo realizza. Scrivemmo alla vigilia dell’Us Open: in campo è nel suo guscio, lì dentro si è per forza soli e la solitudine è la sua condizione ideale, voluta. Tutto questo racconto lo conferma, non è stato il giudizio altrui a dominarlo, muoverlo, scuoterlo. È stato il discorso intimo. La richiesta al suo corpo, la lettera a se stesso. La vicenda recente lo ha confermato. Lui si libera della storia della contaminazione dal Clostebol nel momento in cui il mondo la conosce: e vince. Non sono le domande intorno che contano: è la risposta dentro. In queste situazioni - nonostante una vicenda processuale lineare, chiara, limpida - lampeggiano parole sbagliate, superficiali, sospettose, opportuniste. A Sinner è bastata la verità, poi la solitudine lo ha ammantato del suo imbattibile guscio. Un dato molto parziale ma molto significativo. Sinner è informato del controllo antidoping con le infinitesimali tracce di Clostebol dopo la partita vinta contro Jan Lennard Struff il 10 marzo a Indian Wells: è la quattordicesima partita del 2024 per Jannik, che fino a quel giorno ha solo vinto: lo Slam a Melbourne, il torneo di Rotterdam e i primi due turni in California. La vicenda procede nel suo iter processuale, il circuito ne è all’oscuro così come gli appassionati ma il campione è comunque infiltrato da un fatto tossico: meno di un miliardesimo di grammo nel corpo, ma in testa pesa. In una fase della stagione nella quale scopre il problema all’anca, nei mesi in cui Alcaraz si esalta, e mentre lui invece deve destinare energie fisiche e nervose per spiegare quel contagio, riuscendoci appieno. Intorno a Ferragosto la vicenda si chiude, e viene presentata al mondo come “risolta”, e anche se la Wada dilata i titoli di coda il film pare già finito. Da quel momento, Sinner ha solo vinto, come prima: altre 10 partite per concludere il Mille in Ohio e per prendersi lo Slam di New York. In breve: ai lati della vicenda, quando ha potuto lottare e pensare libero da altre preoccupazioni, Sinner ha sempre vinto. Un dato parziale, abbiamo premesso: sono 24 partite tutte disputate sulla superficie preferita, il cemento, dove il rimbalzo è sincero, dove il ritmo tende alla regolarità e dove qualsiasi cambio di velocità è maltrattato o superato dai colpi di Jannik. Il numero Uno, il più forte, quello che tira più veloce e la mette sempre in campo, nei pressi delle righe. Alla fine, è tutto qui.