La verità di Jannik Sinner, il più forte di tutti

Se esiste una chiave per interpretare questo annuale incontro che abbiamo il piacere di condividere, per la terza volta, con Jannik Sinner - fuori dal campo, come mai lo si vede e soprattutto lo si sente – questa va ricercata in una parola: verità. Perché non c’è nulla di costruito, artificiale, esagerato, 'photoshoppato' nell’immagine, del campione e della persona, che si delinea dalle sue parole. Di certo Sinner è più maturo: un ragazzo, un uomo, che cresce e migliora, anno dopo anno, e il tennis è solo un aspetto, non l’unico e forse non il più importante. Ma è anche lo stesso Jannik. Come nel 2022, quand’era numero 11 del mondo e fuori dalle Finals, a guardare i Maestri da casa. Come l’anno scorso, quand’era numero 4, senza una finale Slam, e ancora un passo indietro rispetto ai grandi. E come oggi, da numero uno del mondo, dopo aver sbriciolato in una sola stagione tutti i record possibili per un tennista italiano. L’esempio di Sinner è autentico come quello che dice, non c’è strategia dietro. Così arriva dritto, disarmante nella sua semplicità, linearità, coerenza. Rappresenta lo sport in pura essenza, che è prima di tutto la scoperta di se stesso e della vita: la volontà, la determinazione, il divertimento , e poi la gioia, la riconoscenza, il talento, l’allenamento, la resistenza, la forza mentale, il futuro, la sconfitta e la vittoria. E il rispetto delle regole. Appunto. Quello che Jannik ha sempre fatto, e sempre farà. Questa intervista è stata realizzata il 18 settembre, dunque 10 giorni prima del ricorso della Wada contro la sentenza di assoluzione da parte del tribunale indipendente dell’International Tennis Integrity Agency sul caso della contaminazione involontaria della sostanza Clostebol. Ecco, è opportuno introdurre questa conversazione dicendo che se la dovessimo rifare oggi, non una domanda e soprattutto non una risposta sarebbe cambiata da parte di un atleta innocente, che rimane tale, da parte di un fuoriclasse. Questa è la verità di Jannik Sinner, il più forte di tutti. Bentornato Jannik, grazie per essere qui ancora una volta con Sky Sport. Siamo alla terza puntata, ormai possiamo dire che è diventata una serie televisiva... L’anno scorso, quando ci siamo lasciati al termine dell’intervista, avevi detto che uno degli obiettivi e probabilmente l’obiettivo principale della stagione, sarebbe stato migliorare negli Slam. Ne hai vinti 2 e sei diventato numero uno del mondo. Ti aspettavi o speravi di ottenere questi risultati? "È difficile rispondere a questa domanda perché, secondo me, il primo Slam dell'anno è sempre un test visto che si arriva da una preparazione importante. Io ho fatto una scelta un po' diversa perché prima degli Australian Open non ho praticamente giocato, disputando solo tre partite di esibizione. La prima partita è stata abbastanza sorprendente. Mi sono sentito subito molto bene, avevo un buon ritmo. Giocare la semifinale contro Djokovic sarebbe stato un bel traguardo, lì è arrivato il primo vero test. Ho giocato bene, lui meno nei primi due set e ho colto l’opportunità. Poi la finale, vinta da due set a zero sotto... Conquistare un torneo così importante a inizio stagione ti dà tanta fiducia. Da lì ho giocato un ottimo tennis a Rotterdam, Indian Wells e Miami. Ho disputato tanti tornei e sono andato sempre fino in fondo. Fino all’ultimo slam, lo US Open, dove non sapevo esattamente cosa aspettarmi perché la situazione era un po’ diversa rispetto a tutte le altre affrontate in carriera. Per fare un bilancio, diciamo che sono sempre riuscito a giocare bene quando contava". A Melbourne c’è un momento, dopo aver vinto la finale, in cui ti sdrai per terra e capisci probabilmente di avere fatto qualcosa di storico. Che cosa hai provato in quel momento e cosa pensi quando ti rivedi? "Innanzitutto sollievo, perché il mio sogno è sempre stato quello di vincere un torneo del Grande Slam. Ho lavorato molto sulla parte fisica proprio per vincere i tornei importanti. Sentivo negli anni precedenti che il fisico non era lì dove volevo, avevo perso tante partite al quinto set. Forse era anche un aspetto mentale. Erano tutti e due, fisico e mentale. E quindi abbiamo lavorato veramente tanto, abbiamo fatto un’ottima preparazione. In allenamento abbiamo dato più del 100% e in quel momento lì mi sono sentito libero. Era una liberazione, un sollievo, tanta felicità per condividere questo titolo con le persone che mi stanno sempre vicino. E lì ho sentito che finalmente potevo dare loro qualcosa indietro. Quel momento lì è stato molto speciale. Senti solo che la pressione ti va via e sei molto più leggero. Dopo, giorno dopo giorno, realizzi quello che hai fatto e quello che hai passato. E' stato un momento molto bello...". Pete Sampras diceva che quando diventi n. 1 del mondo è un po' come avere un bersaglio dietro, tutti ti vogliono tirare addosso. La provi questa sensazione? Perdere da n. 1 del mondo, anche se ti è capitato molto poco, è diverso? "Sì, è diverso. Quando sei il n. 10 al mondo e perdi contro il n. 5 è un po' diverso. Invece quando sei il n. 1 al mondo sei sempre 'il ricercato'. Ma questo rende anche il gioco più bello". Se il destino del mondo dipendesse da un tie-break, probabilmente chiederebbero di giocarlo a te visti i numeri di quest’anno. Ma come si fa a vincere un tie-break? Cosa c’è di diverso in quei momenti? "Tanti parlano solo del tie-break, ma secondo me è proprio come arrivi al tie-break. Io faccio tante cose diverse durante un set: sento se un colpo funziona o meno, valuto dove devo servire per avere più possibilità di vincere il punto. Ultimamente sto arrivando al tie-break facendo più cose e questo ti permette di poter poi scegliere nel tie-break quella più utile". Quindi l’esperienza del set e della partita determina il risultato del tie-break… "Secondo me sì. E poi, se ci fai caso, io sono un giocatore che se sono sopra 6-5 e il mio avversario serve, vado ancora più aggressivo. Mal che vada sono 6 pari e ci giochiamo il tie break. Però intanto sul 6-5 io gli metto pressione. Poi posso tirare anche dritto sul telo, quello può succedere e mi è già successo, però provo sempre a capire prima di un momento cruciale che cosa funziona e cosa no. Secondo me ho fatto questo passo in avanti. Non ho giocato tantissimi tie-break, però quelli che ho giocato li ho disputati forse con più attenzione. I primi punti ovviamente sono molto importanti, poi ci sono tante altre cose. Comunque a me piacciono quei momenti lì". Riesci a trovare ancora il modo per separare il Sinner numero uno del mondo dal ragazzo Jannik? E riesci a trovare anche il tempo per farlo? E se sì, come fai? "Io credo di non essere mai cambiato come persona. Il successo non mi ha cambiato Non è cambiato come tratto le persone intorno a me o come tratto qualsiasi persona che incontro. Quello che cambia è che hai un po' meno tempo libero, ma proprio perché io sono uno che dedica tutto il mio tempo possibile al lavoro. È una cosa che dipende da me. Se io domani volessi andare a casa, potrei, ma non voglio farlo perché la mia carriera è iniziata quando a 13 anni e mezzo ho deciso di andare via da casa. Ora ho 23 anni sono arrivato al punto che sognavo da sempre, diventare n. 1 al mondo. Ed è proprio adesso che devo continuare a lavorare e a migliorare. Perché ci sono tutti gli altri giocatori che ti vogliono inseguire. E questo gioco a me piace. Giocherò forse altri 15 anni, fino a 35 o 40 anni. Sperando che il fisico regga... Quindici anni sono lunghi, anche se in realtà non è così. Ti faccio un esempio: sono arrivato qui in hotel, nella stessa camera della scorsa intervistata e mi sono detto: 'Ma quest’anno è passato veramente veloce”. Stiamo cercando di fare tutte le scelte per giocare a tennis il più a lungo possibile per il mio fisico, però non possiamo neanche buttare via il tempo. E' un bel bilanciamento tra miglioramento, lavorare, voglia di vincere, avere intorno le persone che vuoi e che sai che ti possono aiutare". Divertimento, anche. Perché ti diverti quando giochi, e questo è evidente. "Il divertimento è importantissimo, perché il divertimento fa in modo che anche quando sei stanco vai in campo e hai voglia di giocare. Non sempre abbiamo voglia di fare un allenamento, no? Invece la partita ho sempre voglia di giocarla. Ma per giocare bene la partita devi lavorare tanto prima". Mi hanno molto colpito in questa stagione i tuoi discorsi dopo le premiazioni, perché tiri fuori in quel momento degli argomenti anche molto profondi. A Melbourne hai ringraziato i tuoi genitori sostanzialmente per la libertà che ti hanno dato. E non è facile perché, lo dico da genitore, tanti sognano al posto dei loro figli, vogliono entrare nei sogni dei loro figli, e non è facile accompagnare senza prevaricare. È un valore grande questo. "Io dico sempre che nel momento in cui vinci qualcosa, hai la possibilità di ringraziare le persone che ti hanno sempre aiutato. Il primo titolo veramente grande è stato in Australia e lo volevo dedicare ai miei genitori. E' stato difficile per me quando avevo 13 anni andare via da casa ma è stato più difficile per i miei genitori vedere andare via un figlio di 13 anni, lasciarlo 'libero'. In Australia è stato un momento molto bello, personale. A me piace condividere le vittorie e i momenti belli con le persone che amo e questo era secondo me il momento giusto per farlo. Infatti loro mi hanno subito chiamato e ringraziato. Vedo sempre tanti sportivi che hanno la pressione dei genitori addosso da quando hanno 8, 9, 10 anni in un momento in cui non sai nemmeno se il tuo futuro sarà giocare a tennis, a calcio o magari stare in un ufficio. La pressione quando hai 9/10 anni ti fa sembrare quasi che devi fare le cose. Invece da ragazzino dovresti soltanto divertirti". A New York, invece, al termine di un periodo molto complicato hai ricordato che c’è una vita fuori dal tennis che è fatta anche di persone care, di affetti, di difficoltà. È un equilibro che non credo sia così facile da mantenere quello tra una professione che ti prende totalmente in questo modo e la consapevolezza anche al di là del successo che poi c’è una vita fuori. "Quest’anno ho capito tante cose. Ero in una situazione molto difficile e delicata prima dello US Open, in cui per mesi ho fatto fatica a capire diverse cose. Però a un certo punto mi sono svegliato e ho detto: 'No, Jannik'. Alla fine è tutto abbastanza irrilevante, perché questo sport ti può dare soddisfazioni e ti può anche buttare giù moralmente. C’era mia zia che non stava bene. Mia zia mi ha dato tanto quando ero piccolo, qualche volta mi accompagnava alle gare. I miei genitori lavoravano e io stavo spesso con lei. D’estate andavamo assieme in piscina, era una persona molto importante per me. Nel momento in cui una persona così sta male, il lavoro diventa abbastanza relativo. Ovviamente io do tanto di me stesso quando lavoro, quando vado in palestra. Voglio fare tutto al 100%, però c’è sempre questo secondo pensiero. Dici 'mi devo sentire fortunato perché posso fare quello che amo'. È partito tutto come un hobby e ora è il mio lavoro, ma quando vado in campo è ancora un hobby perché mi sento ancora come un ragazzino che gioca a tennis". Come se avessi potuto vedere a un certo punto le cose dall’alto. Lì ti sei reso conto meglio della situazione. "Sì, me ne sono reso conto a questo punto. Era un po' diverso. Se succede qualcosa in campo, parli con l’allenatore, parli con il fisioterapista se hai un problema muscolare. Però in quel momento lì mi sono reso conto che è difficile giocare a tennis qualche volta perché la situazione in generale non è semplice, ma ci sono cose ben peggiori, no?". Assolutamente. È anche molto significativo e secondo me ti rappresenta molto questo concetto: quando il gioco è ancora un hobby, quando sono ancora in campo è ancora un hobby, perché secondo me si vede da come giochi che è così. "Per me il vero lavoro è tutto il resto. Andare in palestra, fare fisioterapia, andare a dormire prima, svegliarmi prima di tutti gli altri. Però è tutto un insieme di cose che mi fanno crescere sia come giocatore che come persona e quindi le accetto. Sono i tifosi che mi danno la forza di continuare nei momenti difficili e io do qualcosa indietro. Può essere un'intervista come questa oppure qualche autografo o una foto con dei tifosi. E' molto bello secondo me dare qualcosa indietro, anche piccola". Jannik, in questa tua stagione c’è stato tutto. Il trionfo, le prime volte, l’esaltazione, il pugno in faccia che a un certo punto hai dovuto prenderti e superare. Hai detto di non averci dormito per una colpa che sapevi non essere tua e per una colpa che non c’era. Che tipo di forza mentale hai dovuto mettere in campo in un momento in cui neanche potevi parlare di quello che ti stava succedendo e nessuno lo sapeva se non tu? "Era difficile innanzitutto perché non mi potevo aprire con tante persone. Era un periodo molto complicato, molto difficile. All’inizio era molto difficile perché non sapevo come dovevo comportarmi, non sapevo cosa sarebbe uscito, non sapevo cosa sarebbe successo con il team. Era molto difficile, normalmente io ho sempre in controllo, invece lì era abbastanza facile perderlo il controllo. Solo che dopo un po' di settimane mi sono svegliato un mattino e ho detto: 'Ma alla fine io non ho fatto niente di sbagliato, non sapevo niente. Poi quello che dirà il giudice, quello che uscirà o non uscirà di questa storia io non lo posso più controllare, no?'. Il vero momento difficile, secondo me, è stato proprio quando è uscita la notizia. Ed è uscita in un momento molto delicato perché è arrivata prima di uno Slam. Volevo già allenarmi dal mercoledì, la notizia è uscita il martedì e abbiamo deciso che era meglio di non allenarsi perché ci sarebbe stato troppa confusione al circolo e quindi siamo andati il giovedì, di sera, perché così tanta gente sarebbe andata via. Arriviamo lì e avevamo tutte le telecamere addosso, era molto difficile. Io guardavo gli altri giocatori per capire cosa pensavano veramente. Mi sono fatto tante domande, era difficile preparare uno Slam così. Ma io sono convinto che niente succede per caso, e forse tutto questo è servito per capire chi è amico e chi no. Ho capito che ci sono tanti giocatori che non pensavo fossero miei amici e una quantità abbastanza grande che pensavo fossero amici e invece non lo sono. Alla fine non dico che mi ha fatto bene, però mi ha fatto capire tante cose. Il problema semmai è stato con le persone che mi conoscevano, quando ancora non era uscito nulla. Magari giocavo una partita, mi vedevano giù di testa e mi dicevano: 'Ma hai vinto, perché stai così?'. E io lì cosa potevo rispondere? Dicevo: “No, no, sto bene, è tutto a posto...". Sì quello sinceramente guardandoti era una domanda che ci si poteva fare, anzi, ci siamo fatti tutti… "E poi c’erano delle partite in cui la notte prima non dormivo. Come prima di Medvedev a Wimbledon. La notte prima non ho dormito e il mattino sono stato male. Avrei dovuto giocare 5 set, non 3 set... Ci sono tante cose che sono successe in questo periodo che ho provato a mettere via e a capire quale fosse la cosa giusta da fare in quel momento lì. Devo ringraziare il mio team che mi è stato vicino tutto il tempo perché mi serviva. Per esempio Darren non è andato a casa ed è rimasto con me, mio papà è venuto. Grazie a loro io mi sono sentito al sicuro. Protetto. E proprio per questo quando dico che quando si vincono dei tornei o anche delle partite che significano molto, le dedico sempre alle persone che mi stanno vicino, perché senza di loro tutto questo non so come l'avrei potuto superare. Sono contento di come l’ho gestita perché era molto difficile. Ma nel momento in cui vado in campo e mi metto il cappellino, per me esiste solo la palla da tennis. In campo mi sento al sicuro. Poi abbiamo visto che è difficile giocare e quello è un altro discorso, però mi sento al sicuro. Quando vedo la palla e sto per servire tutto il mio focus e la mia voglia è di tirare la palla in campo, perché alla fine è il mio lavoro. C’era da separare il problema e il lavoro. Io ho sempre cercato di stare bene in campo, mi sono sempre allenato, mi sono sempre preparato mentalmente per giocare bene a tennis. E alla fine proprio per questo ci sono riuscito". Anche perché eri consapevole nella tua coscienza di essere nel giusto "Quella è la cosa più importante perché se fosse stata colpa mia, secondo me non avrei giocato così". Quindi se ti chiedo: quest’anno sei arrivato dove sei arrivato più perché hai tirato più forte e meglio degli altri o perché hai avuto la testa e le forza mentale, quale dei due elementi è stato più determinante? "La forza mentale perché le partite si vincono con la testa. Tutti giocano bene a tennis, il problema sono sempre i piccoli dettagli. Sono riuscito a capire tante cose in questa stagione e ho vinto tante partite con la mia forza mentale". Anche quest’anno abbiamo fatto una bella chiacchierata, grazie Jannik, siamo qui anche grazie a Intesa San Paolo in un bellissimo posto. Però, io non sono scaramantico e penso neanche tu, dobbiamo mantenere un po’ le abitudini degli anni precedenti... "Quale è l'obiettivo dell'anno prossimo?" Tu pensi che io ti chieda qual è l’obiettivo e perché sarai soddisfatto l’anno prossimo quando spero ci rivedremo. Ma ti chiedo anche se lavi sempre i piatti a mano o se hai preso la lavastoviglie. "No, ancora li lavo a mano". A cosa guardi per la prossima stagione? "La prossima stagione sarà una stagione molto diversa perché sono in una posizione in cui so che posso vincere i grandi tornei. L’anno prossimo il mio obiettivo è di imparare ancora tante cose dal lato fisico e mentale, perché secondo me lì c’è un piccolo passo che posso fare. E provare a fare più partite possibile. Adesso voi mi chiedete quali tornei vorrei vincere o no: quello lo tengo per me stesso. Nella mia testa, però, so che posso vincere dei tornei grandi, questo secondo me è un passo già molto importante. Ho vinto due Slam quest’anno quindi vediamo l’anno prossimo. Ovviamente gli Slam sono e saranno sempre i tornei più prestigiosi per me. Ho avuto un momento difficile e non ho potuto giocare le Olimpiadi che per me erano un obiettivo fondamentale di quest’anno. C’è ancora la Coppa Davis da giocare quest’anno e sono molto contento se il capitano mi convoca..." Ho l’impressione che sarà così… "Speriamo. E quindi speriamo di fare un’ottima stagione con tante vittorie. Ripeto: sarà molto difficile fare meglio di quest’anno però vediamo cosa riusciremo a fare".