Il triste autunno di Carlos Alcaraz

A Torino gli unici sorrisi sono stati fuori dal campo. In mezzo alla gente a caccia di selfie, durante gli sketch con i suoi colleghi a favore di social, dopo l’ultimo punto perso contro Alexander Zverev, il punto che lo ha eliminato dal torneo, il punto che lo ha liberato. Carlos Alcaraz si è presentato a Torino influenzato, stanco, vuoto. Lo abbiamo visto inciampare, costantemente a testa bassa, sdraiato sul cemento con il respiro in affanno e senza sapere cosa fare contro il giocatore che gli ha rubato la seconda posizione del ranking. I giornalisti spagnoli, testimoni oculari dei due ko torinesi su tre , si sono dimostrati nemmeno troppo sorpresi. Secondo Alejandro Ciriza del quotidiano El Pais il tennis del numero tre del ranking è una montagna russa: lo si può vedere giocare ‘da 11’ oppure precipitare. Con il talento puro, a ventuno anni, non scendi a compromessi, non intavoli trattative. Soprattutto non lo contieni. Da un estremo all’altro, il colpo della stagione o l’incoscienza dell’anno. A volte coincidono, nell’ultima parte di questo 2024 non è mai successo. Il tennis in versione autunnale al ragazzo nato il 5 maggio non è mai piaciuto un granché. Il problema è che per Carlos Alcaraz l’autunno è cominciato quando l’estate era ancora in corso. Dopo l’argento pieno di lacrime ai Giochi olimpici di Parigi, per lo spagnolo i risultati sono stati molto al di sotto delle aspettative. Dalla racchetta spaccata al torneo di Cincinnati contro Gael Monfils, ha perso al secondo turno agli Us Open, nei quarti a Shanghai, agli ottavi a Parigi Bercy, sempre contro avversari fuori dalla top 10. L’unica gloria è arrivata in finale a Pechino contro Jannik Sinner: partita epica, il famoso ‘11 in pagella’ di cui parlano gli spagnoli nei momenti di grazia. In totale, a livello Atp e prima della Coppa Davis, nel 2024 Alcaraz ha totalizzato 53 vittorie, 13 sconfitte e quattro titoli, la metà rispetto a Jannik Sinner. Nella prima stagione in cui due tennisti nati dopo il Duemila si dividono da soli e perfettamente a metà i titoli Slam, è proprio l’azzurro a far risaltare il momento no di Carlos. La continuità del numero uno e l’antitesi degli up&down dello spagnolo, così come l’attitudine in campo. Sinner di recente ha raccontato che quando indossa il cappellino e fa il suo ingresso in campo, per lui esiste solo la pallina, il mondo fuori scompare. La sensazione è che Alcaraz sia anche metaforicamente sprovvisto di un cappellino che lo isoli dai pensieri, dal mondo intorno. Per lui in campo esiste tutto il resto. L’insostenibile pesantezza di essere un fuoriclasse e di esserne consapevole, di non riuscire più a sincronizzare il pensiero all’azione, o forse, più semplicemente, di non avere più voglia di farlo, o di non avere sempre voglia di farlo. Qualche anno fa Matteo Berrettini, a proposito dei Big3 e del triumvirato assoluto del mondo del tennis durato vent’anni, ha invitato i commentatori a non abituarsi a 66 Slam divisi per tre persone, a una generazione di cannibali a lunga durata. “Non sono la regola, rappresentano un’eccezione”, aveva detto il tennista romano. Se il Sinner che abbiamo visto nel 2024 a livello di risultati e di continuità ha qualcosa in comune con i venerati maestri, Carlos Alcaraz è forse più in linea con i contemporanei. A Malaga, durante le finali di Davis Cup, avrà la possibilità di giocare ancora una volta, l’ultima, insieme a Rafa Nadal, che forse è lo sportivo che più di tutti rappresenta dal vivo il concetto di trabajo. Sarà per lui l’occasione di vedere come bisogna stare in campo per vincere 14 volte il Roland Garros, come si rimane numero 1 al mondo per 209 settimane in totale e per tre decenni diversi, come si sta dentro un campo da tennis, con fatica e con dolore, quasi sempre lontani dal proprio cento per cento ma lottando punto dopo punto dopo punto. Nel tennis, nella maggior parte dei casi vince chi si adatta, molto prosaicamente vince chi ha più pazienza. La poesia si fa altrove. Un punto spettacolare è solo un punto spettacolare. È più importante una parola che va molto di moda ultimamente nelle conferenze stampa: la consistenza. È quella che separa il numero uno dal resto del mondo. È quella che, in questo finale di stagione, ha opposto Jannik Sinner al suo alter ego spagnolo. Nei confronti della loro rivalità è già stato coniato un neologismo, privilegio destinato solo alle leggende. Jannik è pronto, per Alcaraz la fine del 2024 sarà un buon momento per capire cosa vuole fare da grande e quanto grande vuole diventare. A Malaga avrà a disposizione l’esempio migliore di tutti.

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