Naomi Osaka, l'anno del riscatto dopo la fragilità

“This is about to be a great year”. Il 2025 sarà un grande anno per Naomi Osaka. La tennista giapponese, costretta a ritirarsi durante la finale del torneo di Auckland in cui era in vantaggio un set a zero contro la danese Clara Tauson per un infortunio agli addominali, lo ha scritto sul suo profilo Instagram, accompagnando la frase con l’emoticon che fa l’occhiolino. Naomi fa sul serio. Il suo ultimo comeback sembra essere quello definitivo. Il tennis ringrazia, le avversarie un po’ meno, il pubblico non vede l’ora. Osaka è sempre stata un bel mistero. Timidissima e perfetta sulle copertine dei magazine, attivista introversa, riservata di successo, voce bassa e outfit di fiocchi, pizzi e tulle, a testa bassa e con inchino di ordinanza ha infranto sul campo l’ultimo sogno della sua eroina. Era l’8 settembre 2018, Serena Williams, a casa sua, cercava l’ultimo Slam, il primo da mamma . Osaka era l’underdog, vent’anni ancora per qualche settimana, indossava orecchini di perla e non riusciva a sostenere lo sguardo dell’avversaria. Ciò che è successo in quella finale, le sfuriate 'made in Serena', i penalty point che hanno condizionato il match e i "Buuu" del pubblico durante la cerimonia di premiazione, è diventato storia, così come l’atteggiamento della campionessa che nel momento del trionfo si nasconde, o almeno ci prova, dietro al suo cappellino. A 21 anni è la giornata più importante della sua vita e tutti stanno facendo la loro parte per rovinargliela. È questa la prima pietra scagliata dalla giocatrice giapponese. Naomi Osaka è dotata di tennis esplosivo, contemporaneo, rovescio lungolinea che lascia ferme coloro che le stanno di fronte : sulla prima pagina del Time viene definita The Heir, l’erede. Il 28 gennaio 2019 diventa la numero uno del mondo dopo aver vinto il suo secondo Slam consecutivo: gli Australian Open. Il tramonto di un’epoca coincide con il nuovo che avanza. Il tennis sembra entrare nella sua Osaka Era, un’era che piace agli sponsor e un po’ meno a lei: “La quantità di attenzioni che ricevo è ridicola”, dice un giorno. Poi le dicono “Say cheese”, in favore di fotocamera e lei, rassegnata ma non troppo, sorride e diventa multimilionaria. Il problema non è il tennis, il problema è tutto il resto. Il problema è ciò che succede quando, dopo una serie di vittorie, ricominci a perdere. È allora che ti chiedi: “Se non sono forte a tennis, che cosa sono?”. A 23 anni Naomi Osaka è una donna che ha fatto sacrifici immensi e invisibili soltanto per sentirsi brava in qualcosa, ne basta una. Voleva fare felice sua mamma, voleva soprattutto farla smettere di lavorare. Tamaki Osaka fa gli straordinari per permettere a sua figlia di giocare, a volte dorme in auto tra un tragitto e l’altro. Il tennis è quasi sempre una ricompensa da condividere. Naomi Osaka vive nel suo mondo e nel suo millennio, con tutta la timidezza sorniona di cui è capace, cavalca bene il suo tempo e il suo spazio. Usa i social, si veste alla moda, ascolta musica rap. Appartiene alla generazione Z anagraficamente e come attitudine, rispetto a chi l’ha preceduta non ha paura di andare out of context, out of sport. I tennisti sono spesso persone monomaniacali, egoisti per necessità, il mondo fuori lo vedono di sfuggita, impegnati come sono tra un torneo e l’altro. Naomi Osaka è tutta un’altra storia. Nell’agosto del 2020, durante il torneo di Cincinnati, è la prima giocatrice a scioperare per protesta contro l’uccisione del ventinovenne afroamericano Jacob Blake da parte della polizia. Osaka motiva così la sua decisione: “Guardare il continuo genocidio della gente di colore da parte della polizia mi fa venire il voltastomaco”. Qualche settimana dopo, a New York per gli Us Open, scende in campo ogni volta con una mascherina in cui è scritto ad ogni turno un nome diverso: sono alcune delle vittime delle forze dell’ordine, l’ultima mascherina è dedicata al dodicenne Tamir Rice, indossata il giorno della finale, vinta al terzo set contro Vika Azarenka. Naomi Osaka, negli anni, ha rinnegato con grazia il suo ruolo di erede. È cresciuta con il poster delle sorelle Williams in cameretta, ma crescendo ha deciso di percorrere la sua strada che ha segnato lei, in solitaria. E quando il tennis è stato troppo si è fermata, ha fatto un passo indietro. Nel giugno del 2021, durante il Roland Garros, annuncia che non prenderà parte alle conferenze stampa post match per motivi di salute mentale. Non ha voglia di sedersi di fronte a decine di sconosciuti che le fanno spesso le stesse domande e che spesso la fanno dubitare di sé stessa. Si sente depressa, non ha voglia di far parte di uno spettacolino che in quel momento non le piace per niente. La accusano di fare un altro dei suoi ennesimi capricci, lei si ritira dal torneo, mette il tennis in pausa. Ritorna per le Olimpiadi di Tokyo, è lei l’ultima tedofora che accende il braciere olimpico. Parallelamente sul Time compare in un’altra copertina. Il titolo crea uno dei più grandi dibattitti sportivi degli ultimi tempi, quello sulla salute mentale degli atleti e sullo stress, profumatamente pagato, che li colpisce su più fronti tutto l’anno, nella buona e nella cattiva sorte. La storia di copertina si intitola “It’s ok to be not ok”, è ok non sentirsi ok. Sottinteso: non sono, non siamo, carrarmati. Le nostre vittorie non sono le vostre vittorie, idem le sconfitte. Scusatemi tanto, ma io non vi devo niente. Se potete lasciatemi in pace. Il tennis diventa l’ultimo dei problemi e delle possibilità. Nel 2018, ritirando il premio Laureus come miglior sportiva dell’anno, aveva fatto una dichiarazione di intenti: “Il mio obiettivo futuro è aiutare il maggior numero di persone”. E Wimbledon? “Wimbledon può attendere”. L’ultimo tabù crolla nel 2023, quando a 25 anni annuncia che si ferma un’altra volta perché aspetta una bambina, Shai, che nasce nel luglio di quell’anno. Quindici mesi lontana dal campo e ritorno. Sì, perché nei suoi mesi off raramente accendeva la tv per vedere come si comportavano le sue colleghe, e quando succedeva provava una fitta di dolore e di consapevolezza: siamo sicure che io non faccio più parte del club delle vincenti? Uno dei match più spettacolari del 2024 si è giocato al secondo turno del Roland Garros: Swiatek contro Osaka. La numero uno contro una giocatrice unseeded, senza testa di serie, che ormai in molti considerano un’ex. Ma se tuo malgrado sei nata con l’aura della campionessa, campionessa rimani e diventi una delle rarissime esemplari capaci di conquistarsi un match point contro la regina della terra rossa. Poi perdi, ma pensi: “Io, lì, ci posso tornare”. Dal settembre del 2024 Naomi Osaka ha cominciato a collaborare con Patrick Mouratoglou, il coach che ha riportato Serena Williams alla vittoria. Recentemente il francese ha detto: “Quando gioca al suo meglio, nessuna è migliore di lei”. Forse è questo il significato dell’occhiolino alla fine del suo ultimo post su Instagram. Oggi Naomi Osaka è una splendida ventisettenne, giovanissima veterana, campionessa prima di tutte le altre. Ha detto che vuole che sua figlia abbia dei ricordi della sua mamma da tennista. Sarà un grande anno. Con inchino finale.

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Giorgia Mecca