I dolori del vecchio Rublev: la crisi di Andrey, principe mai diventato re

Avere ventisette anni e sentirsene addosso più del doppio, veterano senza essere vincente, il peggiore tra i migliori, underdog perenne. Andrey Rublev non è mai stato the next best thing, mai campione, semmai campioncino. Di lui non è mai stato scritto che fosse un predestinato, un leader, nato per essere numero uno. Nel giugno del 2014, quando a 16 anni vince il Roland Garros junior, gli applausi non mancano e non mancano neanche quando diventa il numero uno al mondo tra i piccoli. “Bravo Andrey, continua così”. Sì ma continuare così tra i grandi non basta. Un dritto capace di fare male non è sufficiente, ti fa galleggiare dignitosamente nelle epoche di mezzo tra una generazione di fenomeni e l’altra ma quando si ricomincia a fare sul serio, Andrej, sei sicuro di essere abbastanza serio? Sei sicuro che una volta schiacciato dal passato riuscirai a non farti travolgere dai baby cannibali, ragazzi nati nel 2000 che ti hanno superato in corsa e senza nemmeno troppa fatica e sono già più campioni di te? Sono pensieri pericolosi e ingrati. Non considerano i titoli in carriera , il best ranking , le apparizioni consecutive alle Finals , le settimane consecutive in top 10 , le settimane in top 100 . Sono pensieri che procedono per sottrazione, considerano quello che ti manca e che ti mancherà sempre, mai quello che hai conquistato. Fanno paragoni con gli altri, i veri predestinati, quelli che glielo leggi in faccia che arriveranno lassù. È una situazione frustrante? Sembrerebbe di sì. Il giocatore russo, interrogato sulla rivalità tra Sinner e Alcaraz e sullo scarso spazio lasciato agli altri un giorno ha risposto: “Loro esprimono il loro potenziale molto meglio di me. So che posso migliorare”. Così parlò nel mese di novembre, dopo un’altra partecipazione a Torino da attore non protagonista. Due mesi dopo, rieccolo in campo per il primo turno degli Australian Open contro Joao Fonseca, l’astro nascente venuto dal Brasile, diciotto anni e, lui sì, grandi speranze. Rublev, con una racchetta in meno, l’ennesima distrutta per rabbia, viene sconfitto al primo turno per la seconda volta in 3 Slam. Dopo Wimbledon, l’Australia. E Parigi, la città in cui un giorno era stato se non proprio re, almeno principe? Sconfitto al terzo turno. In una lunga intervista rilasciata al Guardian prima dell’inizio del torneo, il giocatore russo ha confidato di avere convissuto e di stare in parte ancora convivendo con la depressione, che ha curato anche con l’utilizzo di farmaci durante la scorsa primavera. “Sentivo che uno Slam avrebbe potuto cambiare la mia vita. Ma adesso ho realizzato che non sarò più felice, vincendo”, ha detto il tennista durante l’intervista in cui ha aggiunto di sentirsi molto meglio rispetto a sei mesi fa. Andrey Rublev è sempre stato il contrario del poker face. Emotivo, troppo emotivo, nervoso, autodistruttivo, incapace di contenere la rabbia, masochista. Fuori dal campo il ragazzo più gentile e più timido e più impacciato del circuito, dentro il campo un pericolo per se stesso e di se stesso la peggior versione. Rublev contro Rublev. Ogni volta fin da quando era bambino. Questo non gli ha impedito di raggiungere per 10 volte nella sua carriera i quarti di finale nei tornei degli Slam, questo non gli ha impedito nell’annus horribilis 2024 di vincere sia contro Sinner che contro Alcaraz. Questo non gli ha impedito di rimanere saldo tra i top 10 per oltre due anni. Campione e non fuoriclasse, o non il fuoriclasse che ti eri illuso di poter essere da adolescente. Il tennis è pieno di ottimi giocatori che non saranno mai numeri uno, attori dignitosissimi, indispensabili allo show che non vinceranno mai un premio Oscar. E ci vuole la stessa tenacia, lo stesso lavoro e la stessa ossessione per rimanere lì, settimana dopo settimana dopo settimana: vincere, perdere e ricominciare da capo. Stessa fatica e meno ricompense. Da piccolo Rublev sognava di vincere un torneo dello Slam. Pensava di riuscirci. Sognava la prima posizione del ranking. Come tutti coloro che sono stati i migliori da ragazzini pensava fosse un gioco da ragazzi convertire il ranking nel mondo dei grandi. La vita è andata diversamente. Il ranking anche. Dopo undici anni di professionismo, l’obiettivo per il 2025 è considerarsi orgogliosi di ciò che si è stati e si è, non tormentarsi con ciò che manca e continuerà a mancare. Esistono giocatori più forti di lui, esisteranno sempre. Ma sono pochi. Nel mondo se ne contano soltanto otto.

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