L’evoluzione di Sinner non è ancora finita. E nemmeno quella di Alcaraz

Se esiste un livello alto, o meglio un livello massimo, Sinner e Alcaraz se lo sono spartito. Non c’è ‘ma’ che tenga. Se lo sono spartito e hanno sempre cercato di superarlo: perché dal ritorno della squalifica di Jannik a oggi, i due hanno giocato 3 Grandi Slam, due Masters 1000 e le Atp Finals. Hanno cominciato, sono arrivati in fondo e si sono sfidati in finale. Loro e solo loro. E hanno quasi alternato le vittorie torneo dopo torneo. Cosa vuol dire? Che Sinner e Alcaraz si osservano, si studiano e si migliorano. Uno in base a quello che fa l’altro: la cosa ancora più impressionante è questa continua ricerca del nuovo, dell’inesplorato. Questa costante volontà di uscire dalla zona di comfort in cui, lo dice la parola, a volte i tennisti in momenti di difficoltà si rifugiano. Sinner e Alcaraz hanno proprio scelto un’altra strada e i risultati li stiamo vedendo tutti. Sono la gioia di chi li deve allenare. E di chi li deve vedere. L’evoluzione di Sinner… In questo Jannik è davvero un – si perdoni il gioco di parole dopo il risultato della finale di Torino – ‘Maestro’. Dopo US Open, Jannik non era contento soprattutto per il servizio. E allora ci ha lavorato. Vederlo giocare dal vivo alle Finals ha confermato le sensazioni che si avevano dalla televisione: è sì più incisivo con il servizio, riuscendo anche ad annullare tante palle break, ma è il gioco in generale a essere cambiato. Prendiamo la partita contro Zverev: il match è stato duro, ma Sinner è andato a vincersi i punti più importanti del match a rete. Ha mosso molto la palla, è stato ancora più aggressivo: la dice lunga sul percorso che sta facendo e su quello che ancora vuole fare. D’altra parte, l’ha confermato anche Vagnozzi: il 2026 dovrà essere all’insegna di un’aggressività ancora maggiore, e si intende quella del servizio, della risposta, del proiettarsi più dentro al campo. Sinner ha già fatto vedere questo a Torino, insieme a una forma fisica eccellente che gli ha permesso di coprire il campo benissimo, di mantenere un ritmo molto alto e soprattutto di aumentare la velocità. …e quella di Alcaraz E, si badi bene, la qualità di Alcaraz indoor è stata spaventosa. Sì, spaventosa. Perché quella di Torino non è di certo la superficie preferita dello spagnolo, che invece ha dimostrato un salto di qualità veramente notevole. Contro Auger-Aliassime ha disputato un match con una sicurezza incredibile. Con Sinner non gli è riuscito quello che di solito gli riesce con chiunque altro: il ritmo è stato altissimo, ma Jannik lo ha tenuto ancora più alto. Si è opposto alla velocità dello spagnolo ed è anche riuscito ad aumentarla: questa è stata la vera, grande chiave che gli ha permesso di giocare quella finale straordinaria. Ed è proprio l’evoluzione del percorso di cui si scriveva sopra: ha studiato l’avversario e ha provato a controbattere. E ora ci aspettiamo una nuova controrisposta dallo spagnolo. Terzo incomodo O di un terzo incomodo. Anche se al momento è troppo difficile. Per il talento che ha, potrebbe essere Musetti. O magari Draper, che come Rune viene da un infortunio e meriterebbe, insieme a Lorenzo, distare tra i primi 5. Magari arriverà anche un giovane: uno come Fonseca, per esempio. O Shelton, o Mensik. Sono i nomi che più si possono avvicinare ai primi due. Ma non hanno ancora quella maturità di performare davvero con continuità. La discriminante è proprio questa: i possibili avversari si avvicinano, ma oltre a un certo punto non arrivano. E cito Paolo Bertolucci: “Non c’è trippa per gatti”. De Minaur contro Sinner ha giocato una semifinale bellissima e lo stesso ha fatto anche Auger-Aliassime contro Alcaraz. Ma sono durati un set, il primo: la velocità poi è stata troppa, il ritmo è stato troppo. L’aspetto più impressionante è che in finale, dopo tutte quelle partite, Sinner e Alcaraz sono stati ancora più veloci. L’uno contro l’altro, con un livello veramente impressionante. Che hanno deciso di spartirsi. Almeno fino a ora.

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L’evoluzione di Sinner non è ancora finita. E nemmeno quella di Alcaraz

Renzo Furlan