Santarelli: "A Conegliano continuo a sognare come quando ero bambino"

Vittorie, record e motivazioni Quest’anno avete vinto tutto quello si poteva vincere, dimostrando che non vi stancate mai di vincere, e da quando è alla guida di Congliano ha vinto più di 20 trofei. Dove si trovano gli stimoli e come riesce a motivare le sue giocatrici di volta in volta? “Questa è probabilmente la parte più difficile di quello che stiamo facendo. Le motivazioni devo prima trovarle dentro di me e poi provare a trasmetterle alle ragazze. Questa cosa è condivisa con club e presidenti, che sono persone molto ambiziose. Quello che vogliamo fare è provare a seguire gli esempi di club che hanno fatto la storia di questo sport e cercare di raggiungerli. Abbiamo obiettivi a breve e a lunga distanza, vogliamo provare a battere qualche altro record, questo è il nostro riferimento. Sappiamo che stiamo facendo qualcosa di bello, vogliamo continuare a farlo senza guardare a quello che abbiamo fatto. Dobbiamo pensare a quello che dovremo fare in futuro”. Come ha detto anche lei, vi ispirate alle grandi della storia, ma per molti voi già siete nella storia. La ‘spaventa’ un po’ questa cosa o crede sia un’esagerazione? Ed eventualmente, che cosa vi manca per entrare davvero nella storia? “Ravenna ha vinto molti più scudetti di noi, il Vakif ha vinto molte più Champions di noi: ci sono tanti record da provare a battere, anche più volte. Quest’anno volevamo la cinquina, che non avevamo mai raggiunto, ma adesso vogliamo provare a ripeterci, nessuna squadra l'ha mai fatto. So che è una cosa difficile da portare avanti, ma mi piacerebbe battere il nostro stesso record di vittorie consecutive, 76. Capisco che è un record che non lascia trofei, ma sarebbe una soddisfazione nostra personale, perché sarebbe la dimostrazione di avere una mentalità sempre vincente. La grandezza di fare qualcosa di così continuativo sta nel fatto di farsi trovare pronti tutti i giorni. È molto difficile in ogni sport non perdere per così tante partite consecutive. Quello che vogliamo provare a fare è dare continuità, cercando di inculcare nelle ragazze la volontà di esprimersi sempre al meglio, sacrificando loro stesse con una mentalità di squadra. Questo è probabilmente l'obiettivo più difficile”. E quindi quanto le è pesata l’unica sconfitta di questa stagione contro Novara? Come l'ha vissuta? “Mi è pesata, di sicuro mi è pesata. Però già dopo pochi giorni ho detto grazie a quella sconfitta. Perché mi ha dato la motivazione per pretendere di più dalle ragazze e per fare un finale di stagione molto buono. Lì per lì ovviamente le sconfitte bruciano molto, avrei voluto provare a inseguire quel sogno, anche se poi quelle 76 vittorie sono un numero incredibile e che era ancora molto lontano da raggiungere. Cercare di vincere ogni partita è qualcosa che dentro ti snerva, ti porta via energie fisiche e mentali. Lo capisco, ma io inseguo quel numero perché voglio darmi delle motivazioni che poi cerco di trasmettere alle ragazze. Le motivazioni sono, come dicevo prima, Ravenna, Vakif, vittorie consecutive, l’en plein, e questi sono solo alcuni esempi… adesso abbiamo battuto Bergamo come numero di trofei stagionali, però se guardo le Champions di Bergamo sono nettamente più delle nostre. Ci sono ancora tanti record da inseguire ogni anno. Probabilmente la grandezza di quello che stiamo facendo lo capiremo fra qualche decennio, non adesso. Se ci fermiamo a pensare a quello che abbiamo fatto, gioiamo nel momento, ma poi gli altri ci raggiungeranno troppo facilmente”. Per tornare alle vittorie che ha già ottenuto, quale vittoria l’ha emozionata di più e quale le ha fatto tirare un gran sospiro di sollievo? “Il primo scudetto è di sicuro la gioia più grande che abbia mai avuto. Avevo un contratto annuale e al termine di quella stagione dovevo capire se avrei continuato con il club o no. Alla fine, dopo la vittoria dello scudetto ho firmato un triennale. È stata una stagione molto complicata perché avevamo perso Supercoppa e Coppa Italia e nel corso dell’anno è morto mio papà… è stata veramente la stagione più difficile della mia vita, culminata però con una vittoria incredibile. Quella che mi ha fatto dire ‘Wow, finalmente’ è stata la prima Champions League, perché si cominciava a parlare di ‘bestia nera’, di maledizione. Si parlava solo della Champions, ne avevamo perse due, sembrava quasi impossibile… dopo la prima vittoria sono scoppiato in un pianto”. Con quel primo scudetto ha conquistato il rinnovo triennale, però negli anni successivi ha scelto lei di rimanere a Conegliano, rinunciando anche a importanti offerte… “Sì, è successo. L’anno scorso mi scadeva il contratto e c'è stata una fase di trattativa, nel frattempo si sono fatti avanti altri club ma ho deciso di rimanere a Conegliano per tanti motivi. Sentivo di non aver ancora finito il mio percorso qui e poi a Conegliano mi trovo benissimo. Qui mi sento a casa e sono legatissimo a tutti. C’erano troppe cose che mi hanno fatto scegliere di restare”. Velasco e i modelli di riferimento Ha uno o più allenatori di riferimento a cui si ispira? “Certo, ne ho un sacco! Zé Roberto, Velasco, Bernardinho, Guidetti… ho una valanga di modelli di riferimento. Sono tutti allenatori che hanno fatto e stanno facendo ancora oggi la storia della pallavolo. Allenatori che hanno vinto molto e molto più di me. E per me sono dei modelli di riferimento. Credo che sia fondamentale avere degli idoli e dei modelli da seguire e a cui ispirarsi, altrimenti facciamo lo stesso ragionamento che dicevo prima: rischiamo di fermarci. La cosa peggiore è pensare di essere arrivati. Io non penso di essere arrivato, credo di dover imparare ancora molto in tantissimi aspetti e loro per me sono degli esempi meravigliosi da seguire, chi per un modo chi per un altro”. Però uno di questi, e non uno qualunque, Velasco, ha detto proprio di recente che lei è il miglior allenatore italiano. Cosa significa per lei? “Per me che Velasco dica questo è ovviamente motivo di orgoglio. Capisco le sue parole, le contestualizzo sul fatto che Conegliano sta andando bene, quindi è semplice dire una cosa del genere e mi fa molto piacere. Io sono convinto che lui sia il miglior allenatore possibile della Nazionale Italiana e lo dimostrano i fatti per quello che è riuscito a raggiungere l'anno scorso e, da avversario, gli auguro il meglio, sperando poi che possa arrivare sempre secondo contro di me ”. Dalle sue parole sono già emersi tanti aspetti che ricordano Velasco: il lavoro sulla mentalità, il rapporto con la sconfitta… ma c’è un aspetto del suo metodo che va in direzione diversa da quello di Velasco? “Dal punto di vista gestionale mi piace tantissimo come si comporta. Condivido il suo modo di dialogare e di esprimersi. Ci sono però situazioni tecniche e tattiche che vediamo in maniera differente e credo che sia normale così. Se vedessi lui in maniera perfetta, probabilmente non sarei me stesso. Come ho detto, credo che ognuno debba seguire gli altri come dei modelli di riferimento, ma poi si deve avere una propria idea. Io ho la mia, ma per essere una persona e un allenatore migliore seguo i più bravi. E tra i più bravi lui è probabilmente il migliore a livello di gestione, di dialettica, di comportamento nei confronti dei giornalisti, delle giocatrici, della federazione. Per me è veramente un esempio da seguire”. Un sogno di colore azzurro Ora lei è alla guida della nazionale turca, ma prima o poi le piacerebbe sedersi su quella panchina dove Velasco sta facendo così bene? “Chi è che non sogna la Nazionale del proprio Paese? Penso sia normale, no? Ma io ho un contratto di quattro anni con la Turchia e al momento è difficile pensare cosa potrà succedere tra quattro anni, anche perché negli ultimi otto anni a me è successo di tutto. Io sogno la panchina italiana come un bambino, come il classico tifoso sogna la maglia della Nazionale italiana, credo sia normale. Poi questo significherà diventare l’allenatore? Non lo so. Magari non lo sarò mai, magari starò con la Turchia per altri 30 anni, questo non posso saperlo. Magari il sogno rimarrà un sogno, ci devono essere vari fattori. Io al momento con la nazionale turca mi trovo benissimo, la federazione crede tantissimo in me. Sto cercando di far crescere un movimento dal basso, perché secondo me ci sono dei limiti in un movimento che dovrebbe essere più avanzato. Se ne riparlerà fra quattro anni”. Di recente quattro giocatrici hanno detto di no a una convocazione Azzurra , cosa ne pensa? “Non sono stupito, perché di tre già lo sapevo e la quarta lo immaginavo . Ma c'è poco da dire. Ho provato più volte a immedesimarmi nelle giocatrici, non solo quest'anno, per cercare di capire quali fossero le motivazioni di vecchi sì o vecchi no alla Nazionale. Quando sono arrivate le motivazioni delle due mie giocatrici, Lubian e Chirichella, io le ho ovviamente rispettate, ma questo non significa che le condivida. Io per la Nazionale Italiana andrei a raccogliere anche gli asciugamani, quindi che devo dire? Però capisco le ragazze, capisco le loro motivazioni e le rispetto ampiamente. E capisco anche le motivazioni di Bonifacio e Pietrini. Comunque ha detto tutto Velasco, come è giusto che sia… ognuno deve parlare del proprio”. Il gruppo sopra ogni cosa Per restare al suo contesto, come è riuscito a rigenerare una giocatrice che sembrava un po' verso la fine della carriera e che invece quest'anno è stata tra le migliori come Cristina Chirichella? “Ma Cri non era finita per niente. Per rendere al meglio serve serve un mix di aspetti: allenatore che crede in te, le motivazioni giuste, il contesto giusto, la squadra giusta… probabilmente qualcuno di questi fattori non si era più incastrato nel giusto modo, e non sta a me dire quale, ma io ho sempre visto Cristina come una giocatrice che poteva sposarsi molto bene in un progetto come il nostro. E infatti è stata perfetta, ha lavorato a testa bassa e ha fatto benissimo. Lei aveva tante motivazioni, voleva dimostrare qualcosa e questo fa sempre la differenza. È successo anche alla mia nazionale turca l'anno dopo l'ultima brutta estate. Anche l’Italia ha fatto così bene a Parigi perché voleva riscattarsi dopo una precedente estate negativa. Le motivazioni per un gruppo e per una giocatrice sono fondamentali. Chirichella è arrivata a Conegliano con umiltà e con tanta voglia di mettersi a disposizione del gruppo. Aveva avuto anche infortuni passati che con noi non ha avuto, ci sono state diverse cose che sono state fatte bene e lei ha dimostrato di essere una giocatrice da Conegliano”. A proposito di sintonia tra allenatore e giocatrice, com’è avere come propria giocatrice Monica De Gennaro, che è anche sua moglie? “Abbiamo un rapporto molto professionale. Io tratto tutte le mie giocatrici allo stesso modo. Anzi, lei è una di quelle a cui chiedo di più. È una professionista esemplare, un modello di riferimento ed è un esempio perfetto da seguire fuori e dentro il campo. Spesso e volentieri si sa allenare da sola perché l'esperienza l'ha portata a conoscersi. Chiaramente la conosco molto bene come persona e come giocatrice, ma non la tratto in modo differente rispetto alle altre. So che è un valore aggiunto nella nostra squadra per tanti fattori”. Tra le varie cose importanti che ha sottolineato per rendere bene c'è anche il gruppo. Com'è il vostro gruppo squadra? C’è un episodio che spiega meglio di mille parole lo spirito del vostro gruppo? “Quest’anno avevamo in squadra una giapponese, una cinese, due polacche, una americana, una brasiliana, una svedese e italiane che venivano da ogni parte dell'Italia. Immaginatevi cosa significa mischiare tutte queste culture insieme, tutte queste ragazze straordinarie insieme e fare inseguire un sogno a tutte loro. Prima di tutto, quello che ho fatto è rispettare ogni persona, le loro tradizioni, le loro volontà, i loro desideri e le loro passioni per poi cercare di unirle per raggiungere un obiettivo comune. Bisogna riuscire a valorizzare ogni singola persona ma mettendo al primo posto sempre il gruppo. Nessuno può sopraffare l’altro perché il gruppo viene prima di tutto. Solo quando riesci a far così si costruisce qualcosa di importante. Di aneddoti ne ho tantissimi. Penso a un personaggio come Zhu Ting, una persona molto chiusa, introversa, riservata ma anche molto simpatica… noi l'abbiamo fatta sentire a casa, si è divertita, ha sorriso come non aveva mai fatto in vita sua. Alla fine della stagione mi ha abbracciato due volte dicendomi ‘grazie’ due volte. Questo è il trofeo più grande per me”. In squadra ha tante grandi giocatrici, come si gestisce uno spogliatoio con così tante stelle? “Questa domanda me la fanno da tanto tanto tempo. Mi piace rispondere prendendo come esempio ua giocatrice come Joanna Wolosz. È arrivata con me 8 anni fa e non era la Joanna Wolosz che oggi tutti conoscono. Se io al tempo avessi chiesto chi fosse Joanna Wolosz, probabilmente nessuno o pochissimi l'avrebbero conosciuta. Joanna Wolosz è diventata Joanna Wolosz da noi. Quindi è vero che abbiamo tante campionesse, ma molte lo sono diventate da noi. È un qualcosa che ci viene riconosciuto anche da altri colleghi bravissimi. Ho letto un’intervista di Massimo Arbolini in cui ha detto: ‘A Conegliano le giocatrici riescono a esprimersi a un livello che non riescono a raggiungere da altre parti’. Il nostro è un contesto sano, in cui le giocatrici riescono a esprimere il loro massimo potenziale. Io cerco di mettere tutte le mie giocatrici a proprio agio, credendo molto in loro, dando fiducia a tutte quante, cercando di trattare tutte allo stesso modo. Anzi, pretendo di più da chi so che può dare di più. Per me non esistono differenze. Poi è ovvio che c'è chi gioca di più e chi gioca di meno. Però se tu sei sincero, se tu sei rispettoso, se tu tratti tutte allo stesso modo, dimostri che non fai preferenze e che pensi al bene della squadra. La sincerità è fondamentale con chiunque”. A proposito di campionesse, lei ha allenato anche Paola Egonu, che ricordo ha di lei? “Prima di tutto, ho un rapporto umano stupendo con lei. Ho avuto la fortuna di essere l’allenatore di Paola per tre anni. Lei è stata meravigliosa, è arrivata da subito con una grande grande volontà di mettersi alla prova. Voleva arrivare a Conegliano, voleva giocare con noi. Ci ha dato tantissimo. È stata una giocatrice fantastica e ha fatto tre anni di altissimo livello, quindi per me, personalmente, il giudizio come persona è fantastico. Il giudizio come giocatrice… è una delle giocatrici più forti del mondo e non sono io a dirlo, lo dicono i fatti. È ovvio che per essere al top, bisogna esserlo sempre. E non è semplice. Per rendere al massimo serve anche il contesto giusto, la squadra giusta, la condizione fisica, le compagne, le motivazioni… sono tutti fattori che secondo me fanno la differenza”. L'uomo prima dell'allenatore Vorremmo conoscere di più il Daniele Santarelli uomo, cosa fa nei momenti in cui sente la pressione salire? Ha un rituale o un ‘trucco mentale’? “Prima di tutto non sono scaramantico né superstizioso, però se devo fare qualcosa… provo a farla allo stesso modo. Non sono molto credibile, lo so . Diciamo che non sono uno che guarda molto a queste cose, però se qualcosa va bene quando la faccio, continuo a farla. Ad esempio, ho una mia ‘tradizione’ prima delle partite. Sul tablet ho l’app del Burraco e prima di ogni gara devo giocarci. Se non vinco la partita a Burraco, non vado neanche nello spogliatoio delle ragazze. Una volta ho fatto ritardo perché non riuscivo a vincere la partita. Sono andato giù e lo staff mi ha chiesto ‘Dani, come mai sei in ritardo?’. Ho spiegato loro che stavo perdendo a Burraco e che dovevo vincere a tutti i costi altrimenti la partita sarebbe andata male. Ho perso una serie di partite e mi ero innervosito ma alla fine ho vinto e mi sono rilassato ”. Se oggi potesse mandare un messaggio al Daniele Santarelli del primo giorno a Conegliano, cosa gli direbbe? “Che tutti i sacrifici che ha fatto torneranno con gli interessi. Tutte quelle ore di studio e tutti quei sogni inseguiti in gioventù alla fine porteranno i loro frutti. Gli direi di stare tranquillo e sereno perché quel Daniele sognatore faceva bene a sognare”. Abbiamo parlato dei sogni e degli obiettivi del Santarelli allenatore, Daniele invece che sogni e obiettivi ha come uomo? “Prima di tutto non vorrei cambiare, e questo per me è un presupposto essenziale. Non vorrei che le vittorie e i successi mi facciano cambiare in peggio. Vorrei rimanere sempre la stessa persona umile che penso di essere. Magari con qualche capello in meno e una barba un po' più bianca, ma lo stesso credulone e sognatore di sempre. Vorrei essere una brava persona, riconosciuta come tale prima che come bravo allenatore, perché la persona viene prima di tutto. Vorrei avere la mia famiglia un pochino più vicina, perché sono cose che poi non tornano più e non vorrei rimpiangerle”.

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Santarelli: "A Conegliano continuo a sognare come quando ero bambino"

Emiliano Tomasini