Viaggio nel cuore del sisma: quello che il Giro non ha visto

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Mario Cipollini pedala tra le macerie di San Gregorio, vicino L'Aquila
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Il nostro inviato Paolo Pagani da L'Aquila descrive l'impressionante scenario della città devastata dal terremoto del 6 aprile scorso: il racconto di tutto quello che il Giro non ha visto e non vedrà, mentre si slancia verso l’alto con la tappa del Blockhaus in questo mercoledì di caldo africano

di PAOLO PAGANI
Inviato a L'Aquila



Quello che il Giro non ha visto è il centro storico de L’Aquila, per esempio. Ieri, nel giorno del relax e dei massaggi ai garretti dei campioni, qualcuno per la verità aveva fatto qualcosa di diverso: una pedalata di testimonianza, di amicizia, di solidarietà. A Pettino, nomignolo tenero, da pettucio di pollo, periferia del capoluogo dell’Abruzzo.

Ma qua, qua nel cuore infartuato dal 6 aprile di un terremoto devastante e disonesto, qua è il vuoto. Puro. Assoluto. Impressionante. Il Giro qui non passa, il Giro ha dato quel che doveva (e che poteva) fra le tendopoli blu, sotto un sole giaguaro che fa scottare come lamiera i teloni della Protezione di Bertolaso. Il Giro, lungo questo corso Vittorio Emanuele spalmato di calcinacci e irto di putrelle per tenere su palazzi antichi e negozietti nuovi, o in piazza del Duomo, figurarsi, non può sognarsi di far transitare le sue pedivelle. Niente ammiraglie, niente carovana in questa geografia desolata.

Quello che il Giro non ha visto, e non vedrà mentre si slancia verso l’alto la tappa del Blockhaus in questo mercoledì di caldo africano, è una città fantasma. L’Aquila Centro, chiusa da posti di blocco e transenne dei Vigili del Fuoco, è off-limits a chiunque. E dà angoscia vera. Io passo dietro a un convoglio di pompieri, fra strade strette, zigzagando tra i sassi e il pavè uscito dalle sue sedi nel selciato. Passo di qua accompagnando il signor Ferella, la cartoleria più vecchia della città: dal 1919 in piazza del Duomo. Lui va, elmetto in testa e scorta dei Vigili del Fuoco, a rialzare la saracinesca due minuti per ritirare scatoloni vari. Riempie il baule della Renault familiare, saluta, ringrazia e fugge. Il Duomo, la testona decapitata, sta in piedi con due stampellone gialle, le gru da cataclisma.

Dice uno degli Angeli Custodi in polo amaranto, un vigile venuto dal Veneto: “Impressiona, emoziona passare qua dentro. I media non sanno raccontare fino in fondo. Non possono. Non si può. Bisogna venire di persona per rendersi conto che una città non c’è più. Che ci vorranno chissà quanti anni per tentare un ritorno alla normalità. E di notte è peggio: silenzio, buio e ronde dei carabinieri perché gli sciacalli non mollano. Oggi ho accompagnato un residente in centro, a casa sua. Ieri c’era un computer in salotto, oggi non c’era più. Qualcuno l’ha rubato. Ma si può?”.

Quello che il Giro non ha visto e non vedrà è questa signora bionda, che viene da Dresda, Germania, e tutti i giorni fa la spola tra L’Aquila e Roma, 130 km. Dorme nella capitale, di giorno corre in auto in Abruzzo per aiutare il trasloco di un’amica che ha dovuto lasciare casa, e vita quotidiana, con il terremoto. Dice il signor Ferella, uno che il Giro non lo incontrerà: “So che per anni non potrò rivedere casa, so che per anni dovrò cercare fortuna da qualche altra parte, chissà dove. Risentiamoci, ecco il mio telefono: se prima dell’inverno mi richiama, le so dire come va…”. Questo, il Giro non lo sa.