Cintura nera per tutti: se il judo non ti fa sentire down

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Un corso di "judo integrato" dove i ragazzi down vengono coinvolti nelle attività (foto da associazione Il Cerchio)
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LA STORIA. E' tra gli sport più praticati dai ragazzi con questa sindrome. In Italia è ormai una realtà con corsi per disabili, campus estivi, tornei. Perché la concentrazione richiesta sviluppa le capacità cognitive. Ecco dove, come, con chi. LE FOTO

di Alessandro Puglia

Amore faticoso. “Fanno un paio di minuti di lezione, poi giocano. Bisogna aituarli a trovare le motivazioni.  Renderli autonomi. Anche nell’allacciarsi la cintura o le scarpe”. Giuseppe Piazza, cintura nera dal 1973, non ha timori a descrivere la fatica e la soddisfazione di chi, da quasi 40 anni, dopo aver lasciato i campionati agonistici, pratica come insegnante il judo adattato per ragazzi disabili.

Un insegnamento che nasce nel 1968 in Francia e arriva in Italia negli anni ’80, con il maestro di Giuseppe Piazza, Cesare Barioli, coinvolgendo due club: Il Club Bu-Sen di Milano e l’Eisho. Oggi viene praticato in un centinaio di palestre, con corsi di due, tre sedute a settimana e campus estivi. Lo sviluppo delle capacità cognitive, attraverso il metodo della concentrazione, rende questo sport, figlio della filosofia orientale, tra i più indicati per i ragazzi con sindrome di down. A scoprirlo, fu il maestro Claude Combe: “Nel 1983 insieme ad altri colleghi eravamo a Grenoble, dove il maestro Combe faceva dei corsi specifici di formazione per ragazzi disabili. Un centro immerso nel verde, popolato da ragazzi con sindrome di down”.

Barioli fu il pioniere del judo adattato in Italia. “Non ero in polemica con lui. Ma avevo subito avvertito l’esigenza che questi ragazzi non dovessero restare chiusi nel loro mondo, così ho pensato al judo integrato. Uno, due ragazzi down in un corso normale. Certo, è faticoso”.

Era la Milano dal cuore in mano quella che ricorda il maestro Piazza: “Sono arrivato a Milano, da Randazzo, un piccolo paesino alle pendici dell’Etna, con una bellissima cattedrale. Avevo sedici anni. A 18 anni ho cominciato a fare judo, coinvolto anche dagli amici che mi dicevano: ‘Vieni a fare la lotta giapponese’. Oggi per me quest’attività rappresenta un punto d’arrivo.  Mi sono posto due obiettivi: mettere un ragazzo nelle condizioni di normalità e cercare di coinvolgere la società civile. Le differenze non devono farci paura”.

Negli anni d’oro del Club Bu-Sen a Milano passavano personaggi importanti del judo come Marcello Bernardi, cintura nera e pediatra: “Il judo è un allenatore della mente.  È l’arte e l’impiego controllato delle proprie risorse. Il judo permette al disabile di sviluppare la propria fiducia in sé, gestire la propria energia, specie durante il contatto fisico, lo stare in gruppo e il miglioramento delle capacità motorie e cognitive”. Tutto secondo quella che è la definizione tradizionale di judo: “amicizia e mutua prosperità”.

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