“Dimentica la paura”. Niccolò e il terrore di vincere
Altri SportL'INTERVISTA Campriani, oro a Londra 2012 nella carabina 3 posizioni, ha raccontato in un libro appena uscito ("Ricordati di dimenticare la paura") come ha sfatato il "tabù dell'ultimo colpo". Con l'aiuto della famiglia, di uno psicologo e di un collega
di Roberto Brambilla
“Io la paura non l'ho vinta, l'ho semplicemente accettata”. Niccolò Campriani, è il campione olimpico della carabina tre posizioni a Londra 2012. Oro e argento ai Giochi, un titolo mondiale, tre europei, il 26enne ingegnere di Sesto Fiorentino è stata una delle sorprese azzurre a Londra. Ma i successi del tiratore nascono da una delusione (la mancata qualificazione alla finale di Pechino 2008) e dall'accettazione del più grande nemico di un'atleta: la paura. Un percorso verso l'oro raccontato in "Ricordati di dimenticare la paura", libro-autoritratto edito da Mondadori e uscito il 16 aprile.
Manca un solo colpo alla fine. Il cuore batte più forte, i muscoli sono tesi, è difficile controllare l'arma per puntare. In quei momenti di cosa ha paura l'atleta?
"Ha paura un po' di tutto, di vincere, di perdere, di deludere se stesso e quelli che ti stanno intorno, tecnici, famigliari. Per i tiratori, come anche per i golfisti, la tensione è paralizzante, soprattutto perchè chi spara è da solo e sa che è lui il “problema” e allo stesso tempo la via d'uscita".
Ma questa paura si può vincere o ci si può solo convivere?
"Forse né uno né l'altro, nel mio caso la paura dell'ultimo colpo, o dello stare in pedana, l'ho semplicemente accettata. Partendo dall'idea che quelle sensazioni, le pulsazioni al massimo, il respiro corto, sono qualcosa di positivo, vogliono dire che sono vivo, l'importante in gara è non pensarci".
Ricordati di dimenticare la paura allora, come dice il titolo del suo libro..
"Sì, a Londra quello che ho fatto è stato concentrami solo su me stesso e sul gesto che stavo per fare, cercando di sparare nella maniera migliore possibile staccandomi da quello che avevo intorno. Perchè a differenza di altri sport, nel nostro se uno fa il meglio possibile, cioè tutti 10.9, ha vinto. E poi mi ripeto che l'ultimo colpo è come gli altri, siamo noi che gli diamo l'etichetta" di decisivo".
Per imparare a dimenticare la paura è andato negli Stati Uniti dove si è laureato e ha incontrato due persone importanti per questo percorso lo psicologo e campione olimpico Edward Etzel e il collega Matthew Emmons che per la paura ha perso due ori già vinti..
"Con Matt ci siamo allenati insieme per mesi prima di Londra 2012, ci siamo dati consigli tecnici ma soprattutto lui mi ha insegnato che dalle paure e dagli errori si può sempre trovare qualcosa di utile e uscirne più forti. Una sera a cena sul suo sbaglio di Atene 2004 (dove in testa alla gara colpì il bersaglio a fianco ndr) mi ha confessato che probabilmente aveva perso una medaglia ma che senza quell'errore non sarebbe stato l'atleta e l'uomo di oggi. E aveva ragione. Io senza lo sbaglio di Pechino non sarei il Niccolò di adesso. Sportivamente e soprattutto umanamente".
Molti grandi atleti (Agassi, Schwazer) hanno dichiarato di odiare lo sport che fanno, lei ha vinto tutto quello che c'è da vincere, cosa la fa continuare?
"Per me ogni giorno è una sfida. Mi piace sparare e non mi alleno solo per stare in testa a una classifica ma per fare il meglio possibile, magari per cercare “quel colpo perfetto fatto senza intenzione” di cui ho spesso parlato con Edward Etzel. L'importante non è sparare per vincere o conquistare una medaglia, la vittoria è un mezzo non il fine".
“Io la paura non l'ho vinta, l'ho semplicemente accettata”. Niccolò Campriani, è il campione olimpico della carabina tre posizioni a Londra 2012. Oro e argento ai Giochi, un titolo mondiale, tre europei, il 26enne ingegnere di Sesto Fiorentino è stata una delle sorprese azzurre a Londra. Ma i successi del tiratore nascono da una delusione (la mancata qualificazione alla finale di Pechino 2008) e dall'accettazione del più grande nemico di un'atleta: la paura. Un percorso verso l'oro raccontato in "Ricordati di dimenticare la paura", libro-autoritratto edito da Mondadori e uscito il 16 aprile.
Manca un solo colpo alla fine. Il cuore batte più forte, i muscoli sono tesi, è difficile controllare l'arma per puntare. In quei momenti di cosa ha paura l'atleta?
"Ha paura un po' di tutto, di vincere, di perdere, di deludere se stesso e quelli che ti stanno intorno, tecnici, famigliari. Per i tiratori, come anche per i golfisti, la tensione è paralizzante, soprattutto perchè chi spara è da solo e sa che è lui il “problema” e allo stesso tempo la via d'uscita".
Ma questa paura si può vincere o ci si può solo convivere?
"Forse né uno né l'altro, nel mio caso la paura dell'ultimo colpo, o dello stare in pedana, l'ho semplicemente accettata. Partendo dall'idea che quelle sensazioni, le pulsazioni al massimo, il respiro corto, sono qualcosa di positivo, vogliono dire che sono vivo, l'importante in gara è non pensarci".
Ricordati di dimenticare la paura allora, come dice il titolo del suo libro..
"Sì, a Londra quello che ho fatto è stato concentrami solo su me stesso e sul gesto che stavo per fare, cercando di sparare nella maniera migliore possibile staccandomi da quello che avevo intorno. Perchè a differenza di altri sport, nel nostro se uno fa il meglio possibile, cioè tutti 10.9, ha vinto. E poi mi ripeto che l'ultimo colpo è come gli altri, siamo noi che gli diamo l'etichetta" di decisivo".
Per imparare a dimenticare la paura è andato negli Stati Uniti dove si è laureato e ha incontrato due persone importanti per questo percorso lo psicologo e campione olimpico Edward Etzel e il collega Matthew Emmons che per la paura ha perso due ori già vinti..
"Con Matt ci siamo allenati insieme per mesi prima di Londra 2012, ci siamo dati consigli tecnici ma soprattutto lui mi ha insegnato che dalle paure e dagli errori si può sempre trovare qualcosa di utile e uscirne più forti. Una sera a cena sul suo sbaglio di Atene 2004 (dove in testa alla gara colpì il bersaglio a fianco ndr) mi ha confessato che probabilmente aveva perso una medaglia ma che senza quell'errore non sarebbe stato l'atleta e l'uomo di oggi. E aveva ragione. Io senza lo sbaglio di Pechino non sarei il Niccolò di adesso. Sportivamente e soprattutto umanamente".
Molti grandi atleti (Agassi, Schwazer) hanno dichiarato di odiare lo sport che fanno, lei ha vinto tutto quello che c'è da vincere, cosa la fa continuare?
"Per me ogni giorno è una sfida. Mi piace sparare e non mi alleno solo per stare in testa a una classifica ma per fare il meglio possibile, magari per cercare “quel colpo perfetto fatto senza intenzione” di cui ho spesso parlato con Edward Etzel. L'importante non è sparare per vincere o conquistare una medaglia, la vittoria è un mezzo non il fine".