L'EDITORIALE. Campione di boxe e di vita, ha lasciato un patrimonio a tutti: a chi lo ha visto combattere sul ring e a chi lo ha visto abbattere ogni tabù. Ragioni fortissime per non dimenticare mai Cassius Clay che divenne Muhammad Ali
di Massimo Corcione
Comincia ora la parte più difficile: raccogliere l’eredità di Cassius Clay e di Muhammad Ali messi insieme, evitare che vada disperso nel tempo che verrà lo straordinario patrimonio che in settantaquattro anni ha dispensato a tutti noi, a quelli che sono riusciti a vederlo sul ring – forte fortissimo ma non imbattibile – a quelli che sono stati abbagliati dal carisma che irradiava anche quando ha sfidato e battuto tutti i tabù, che prima di lui, hanno condizionato, fino ad annullarla, la vita di chiunque dovesse convivere con la malattia. Che poi, per chi è stato il più grande nello sport, diventa una contraddizione insopportabile. Le immagini che in queste ore hanno inondato i nostri schermi – dagli smartphone alle maxitv – hanno riproposto un atleta inafferrabile, con il corpo e la mente che viaggiavano in perfetta sincronia a velocità umanamente irraggiungibile. Come fa a fermarsi una macchina così perfetta? Kinshasa, Zaire, 1974: la boxe avrebbe potuto fermarsi lì, la storia è diventata leggenda, chi aveva pensato il copione aveva rinunciato alla trama più scontata: non c’erano il bianco e il nero, ma il buono Ali e il cattivo Foreman. E nessuno avrebbe scommesso sul buono.
Si è scritto e detto che il colpo più micidiale di Muhammad Ali è stata la parola, da anni era stato costretto a farne a meno, eppure nessuno ha lanciato messaggi più chiari. Dire che il mondo è migliore grazie a lui, come ha sentenziato il presidente Obama, forse è una concessione alla retorica del ricordo, ma racconta gran parte della verità. Ha gridato con forza il suo no alla guerra, ha preferito finire in cella piuttosto che accettare il compromesso, nel nome della pace ha cambiato religione, ha conquistato l’amicizia dei potenti della terra, senza guardare alla maglia che indossavano, al colore della loro pelle, ha messo insieme Maradona e Pelé, il Papa e il Dalai Lama, Reagan e Clinton, che ricorderà al mondo chi è stato Muhammad Ali nel giorno dell’addio, venerdì a Louisville. Da solo ha rappresentato i punti cardinali della nostra marcia, ha tracciato la via anche per il futuro. Una ragione in più per non dimenticarlo.