"È possibile sconfiggere il doping", intervista esclusiva al numero 1 della WADA

esclusiva

Olivier Niggli, numero uno dell’agenzia mondiale antidoping, parla a Sky Sport 24, in un’intervista esclusiva in onda oggi alle 18.30 e alle 21 e realizzata da Eleonora Cottarelli. Dai passi avanti fatti verso uno sport senza doping, alla posizione sulla cannabis, al caso Schwazer, passando da Tokyo fino alle Olimpiadi italiane del 2026. Lo speciale disponbile anche on demand

Una lunga intervista esclusiva ad Olivier Niggli, in cui il numero uno dell’agenzia mondiale antidoping parla di progetti, del sogno di sconfiggere il doping nello sport, del caso Schwazer e della posizione dell’agenzia rispetto all’uso della cannabis da parte degli atleti. E poi dell’Olimpiade appena conclusa, fino a Cortina 2026. In onda oggi su Sky Sport 24 alle 18.30 e alle 21.00 e disponibile on demand.

I passi avanti dell’antidoping

“L’idea che l’antidoping sia un passo indietro rispetto al doping deriva dal fatto che quando ci sono nuovi prodotti serve tempo per testarli”, spiega lo svizzero a capo della Wada nell’intervista esclusiva in onda oggi su Sky Sport 24 e realizzata da Eleonora Cottarelli. “Da 10 anni a questa parte, però, abbiamo accordi con le società farmaceutiche e questo ci permette di avere un controllo maggiore su ciò che viene sviluppato. Possiamo testare le nuove molecole alcuni anni prima che vengano immesse sul mercato e nei nostri laboratori abbiamo macchinari che utilizzano sistemi di rilevazione all’avanguardia. Anticipiamo l’analisi e questo ci permette di conoscere in anticipo le sostanze che potrebbero essere utilizzate impropriamente. Oggi dico a chi vuole barare che se pensa di essere così in vantaggio sulla ricerca antidoping si sbaglia davvero”. 

Obiettivo: educare i giovani atleti, in tutto il mondo

“C’è poi un aspetto chiave per avere un effetto a lungo termine: educare, in ogni parte del mondo, i ragazzi, i giovani atleti affinchè possano fare le scelte giuste. Prima ancora di parlare di positività, di test, di punire chi fa uso di doping dobbiamo lavorare per dare agli atleti che iniziano un percorso sportivo i giusti strumenti perché possano prendere da soli decisioni le decisioni che riguardano questo argomento.

 

Il mio sogno è quello di organizzare un programma educativo che abbia basi solide e farlo in particolare in quei paesi in cui ci è più difficile avere acceso a queste informazioni. Per noi è una priorità aiutare quei Paesi meno sviluppati per fare in modo che elevino i loro standard così gli altri atleti che provengono da zone in cui ci sono maggiori possibilità come l’Europa, l’Italia ad esempio, siano certi di poter avere accanto a loro quando inizia una gara un avversario che ha subito gli stessi controlli. Al momento non tutti i paesi sono ancora allineati nella lotta al doping.

 

Lo sport non è vincere a tutti i costi, lo sport è costruire relazioni, è amicizia. Già attorno agli 8 anni si possono trovare le parole giuste per spiegare i valori e lo spirito di praticare un’attività sportiva. E poi si deve proseguire sulla strada dell’educazione diventando più tecnici, entrando nel dettaglio degli effetti che il doping ha per la salute di una persona. Conoscere i rischi che corri in prima persona, sulla tua pelle, ti porta a non credere alle persone che ti suggeriscono di prendere la pillola rossa o la pillola blu perché capisci che non solo è scorretto, ma è pericoloso. Per noi è fondamentale sapere che nel caso in cui un atleta si trovi davanti a una scelta difficile, perché sappiamo che accade anche se vorremmo che non fosse così, abbia la consapevolezza per potere dire NO, non prenderò quella sostanza”. 

Lavorare in anticipo per essere sempre un passo avanti

“L’idea che l’antidoping sia sempre un passo indietro rispetto al doping deriva dal fatto che si pensa sempre ai nuovi prodotti che escono sul mercato e che serva tempo per testarli. Ma da dieci anni a questa parte, grazie ad un accordo con le case farmaceutiche, abbiamo accesso alle nuove sostanze che vengono prodotte ancora prima che vengano immesse sul mercato. Questo ci permette di lavorare in anticipo sulle molecole che vengono scoperte. I nostri laboratori studiano e analizzano in anticipo tutte queste nuove sostanze. Adesso, quando c’è un nuovo prodotto sul mercato, e qualcuno pensa di percorrere la strada del doping ed essere in vantaggio sull’antidoping, dico che si sbaglia”.

Sconfiggere il doping: giusto sognare che sia possibile

Sconfiggere il doping è un sogno, un obiettivo o una possibilità? “Penso che si debba sognare che è una cosa possibile. Per sconfiggere il doping bisogna lavorare ogni giorno con due obiettivi: renderlo sempre più complicato a chi voglia farne uso imbrogliando e proteggere gli atleti puliti. Dobbiamo ambire a garantire che tutti gli atleti che partecipano a una competizione siano uguali alla partenza e che tutti si ritrovino a gareggiare in qualsiasi campo avendo fatto tutti gli stessi test, con lo stesso programma di controllo e che possano essere certi di competere con le stesse possibilità”.

Giochi Tokyo più puliti di sempre? Certezza solo tra qualche anno

Il numero di test che sono stati fatti nei mesi precedenti all’olimpiade di Tokyo è stato il più alto rispetto a qualsiasi altra edizione olimpica. E questo ci rassicura. Però non ho la sfera di cristallo: il futuro ci dirà le risposte su questi Giochi perché le provette degli atleti testati vengono conservate per un periodo lungo (10 anni) e questo è molto importante, è un deterrente. A distanza di tempo, alcune medaglie di Londra 2012 sono state revocate. Chi bara o imbroglia deve sapere che se adesso non è stato trovato positivo non è detto che questo non accadrà in futuro. E credo che questo sia un messaggio molto forte. Spero che questo non accadrà, ma la scienza si evolve, si trovano nuovi test. Verranno fatti altri esami sulle provette dei medagliati di Tokyo e allora sapremo se sono stati davvero i giochi più puliti di sempre”.

Russia? Spero abbia imparato la lezione

“Non si può parlare né di vittoria, né di sconfitta. E’ solo triste ciò che è accaduto in Russia. Ed è triste soprattutto per gli atleti russi perché molti di loro erano all’interno di un sistema in cui non avevano sceltaQuello che noi abbiamo fatto è stato applicare le regole, la giustizia ha fatto il suo corso e le conseguenze di quello che è stato scoperto hanno portato all’esclusione della Russia a Tokyo.

 

Quello che spero per il futuro, e voglio essere ottimista, è che questa sia stata una lezione. Una lezione che hanno imparato e che questo non accadrà più, non solo in Russia, ma in qualsiasi altra parte del mondo. Che non ci sarà più alcun potere che avrà la tentazione di organizzare un sistema in cui gli atleti vengono forzati a fare uso di doping. Perché le prime vittime, in tutto questo, sono stati gli atleti che non hanno avuto altra scelta.

 

Adesso dobbiamo guardare al futuro: la Russia è una grande nazione, con una grande importanza a livello sportivo. Hanno un sistema antidoping che funziona e noi vigileremo per avere la certezza che questo funzioni in maniera indipendente. C’è una nuova generazione di atleti russi che non hanno assolutamente nulla a che vedere con quanto accaduto in passato e che fanno parte di un sistema pulito. L’obiettivo è che, quando questi atleti partecipano ad una competizione, siano rispettati dagli avversari e non vengano visti con sospetto”.

Caso Schwazer, bisogna distinguere tra giustizia sportiva e penale

 

“È importare fare una distinzione sul caso Schwazer: la giustizia italiana ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a suo carico. Il diritto penale è una cosa, possono decidere quello che vogliono e fa parte della giurisdizione italiana. La giustizia sportiva, che è quello che ci riguarda quando si parla di antidoping, e non di giustizia penale, ha reso nota la sua decisione tempo fa, già a Rio.

 

Il signor Schwazer ha portato le sue istanze per contestare la decisione della giustizia sportiva in più sedi: dal Tas, il tribunale arbitrale dello sport, al tribunale federale svizzero: e la sua difesa è sempre stata respinta, è sempre stata ribadita la sua colpevolezza. Il processo seguito dalla giustizia sportiva è stato molto più scrupoloso nel guardare alle prove. La giustizia ordinaria, in questo caso, guarda solo all’aspetto penale, analizza una parte molto ristretta delle prove: queste due strade non si sovrappongono.

 

Noi non siamo coinvolti nella raccolta delle provette e per noi il risultato di quell’indagine è chiuso da tempo. La giustizia sportiva ha lavorato in maniera molto scrupolosa: c’è stata un’udienza, sono stati sentiti testimoni, analizzato le prove, sono stati chiamati degli esperti e tutto questo ha portato alla sua condanna.  La giustizia ordinaria si occupa solo del decidere se aprire o meno un’investigazione penale e il processo è molto diverso: non sono stati sentiti testimoni, alcuni esperti sono stati richiesti, ma solo su temi molto specifici e possiamo dire che per molti aspetti non può essere considerato un vero giudizio quello che ne esce, ma solo una decisione di non procedere a un’investigazione. E questo è molto diverso rispetto ad un processo in cui c’è diritto d’appello e un contraddittorio tra le parti. È molto delicato e per questo bisogna stare attenti a non confondere i due piani.

 

Non ho mai parlato direttamente con il signor Schwazer e nemmeno con il suo allenatore, il signor Donati, con cui c’è stato solo uno scambio di mail. Noi siamo qui per proteggere gli atleti puliti, siamo qui per assicurare che un sistema equo sia applicato in tutto il mondo. Il signor Schwazer ha usato tutte le possibilità legali in suo possesso, il sistema ha lavorato correttamente e bisogna accettare quanto è emerso. Mi dispiace per lui, ma dobbiamo accettare e rispettare le regole e rispettare ed essere rigorosi quando le prove portano in una certa direzione”. 

Non possiamo dispiacerci, ma guardare alle prove

Umanamente non le è mai venuto un dubbio? “Abbiamo centinaia di casi ogni anno e non possiamo permetterci di porci interrogativi e dubbi sulle regole e soprattutto sulle prove che emergono, prove che, come in questo caso, sono molto chiare. Non possiamo ragionare a livello umano, parlare di sentimenti, dispiacerci: dobbiamo guardare a quali sono le prove, cosa significa in termini di regolamento, quale è l’esito e, in base a questo, dobbiamo applicare il nostro regolamento per ogni singolo individuo, esattamente nella stessa maniera in ogni parte del mondo. Questo è fondamentale se vogliamo proteggere gli atleti puliti: con Schwazer non abbiamo fatto altro che applicare lo stesso sistema che applichiamo con qualsiasi altro atleta. Per quanto riguarda il signor Donati, con cui abbiamo lavorato in passato, ora non abbiamo più alcun tipo di rapporto. E’ sempre stato un fautore della lotta al doping, ma sfortunatamente in questa storia ha deciso che la sua visione potesse essere l’unica possibile e noi non possiamo essere d’accordo su questo. Noi pensiamo che le prove portino in un’altra direzione e sfortunatamente non è più possibile avere con lui una conversazione razionale su questo argomento”.

Su cannabis dobbiamo discuterne ancora. Ci affideremo alla scienza

“Abbiamo ricevuto richieste da parte di atleti, atleti di alto profilo, di riconsiderare la nostra posizione riguardo alla cannabis. Questo non è un tema nuovo, se n’è già discusso parecchie volte nel corso degli anni. Ci sono posizioni diverse tra un paese e all’altro su questa sostanza: in alcuni stati è considerata una sostanza illegale, in altri è stata legalizzata. Per noi come Wada non può essere bianco o nero: dovremo trovarsi con più esperti per discuterne ancora. Il tema per noi è legato strettamente allo sport e allora in questo senso analizzeremo se la cannabis deve rimanere nella lista delle sostanze vietate o se ci sono ragioni per cui questa posizione debba essere rivista. Ci affideremo alla scienza, a chi lavora in questo campo e il prossimo anno ne discuteremo con il nostro comitato esecutivo e il nostro board. Per il 2022 posso dire che la cannabis rimarrà ancora tra le sostanze vietate”.

Milano-Cortina 2026, a Roma laboratorio antidoping di livello assoluto

“Quando ci si avvicina ai Giochi Olimpici i contatti tra le varie istituzioni aumentano. Nei prossimi anni molti atleti, molte nazioni, verranno in Italia per allenarsi e prepararsi e quindi c’è un grande lavoro da fare da parte dell’antidoping in Italia: devono assicurarsi che il sistema sia forte e abbia una buona capienza per raccogliere molti test.

 

A Roma c’è un laboratorio antidoping di assoluto livello con cui abbiamo lavorato nel corso degli anni e questo sarà molto importante per arrivare preparati ai Giochi. Poi, durante la manifestazione, sarà molto impegnato a testare un numero di gran lunga maggiore di provette rispetto a quanto viene fatto di solito ed analizzarle in un tempo molto breve. Tutto questo volume di lavoro e rapporti sta crescendo man mano che i Giochi si avvicinano…e non manca poi molto”.

La lunga intervista esclusiva di Eleonora Cottarelli ad Olivier Niggli, numero uno della WADA, da seguire oggi su Sky Sport 24 nelle edizioni delle 18.30 e delle 21 e disponbile on demand.