Pashalieva: "L'Italia è da sempre fonte di ispirazione. È un onore essere qui"

È la prima volta che Sky Sport ha la possibilità di intervistarla in questa nuova veste; quindi, ci piacerebbe conoscerla meglio come persona e sapere un po' di più del suo incarico. Vorremmo si presentasse al nostro pubblico. “Certo. Mi chiamo Mariela Pashalieva, ho iniziato a praticare ginnastica ritmica a sette anni e a undici sono entrata nella squadra nazionale juniores della Bulgaria. Ho avuto l’opportunità di partecipare al primo Campionato Europeo Juniores con la squadra nazionale bulgara: in quell’occasione abbiamo vinto tutte le medaglie, è stato un grande successo. Poi sono entrata nel gruppo nazionale bulgaro e nel 1988, a Helsinki, sono diventata campionessa europea. Poco dopo ho lasciato l’attività agonistica per proseguire gli studi presso l’Accademia Nazionale dello Sport in Bulgaria, iniziando anche la mia carriera come allenatrice. Nel 2004, dopo le Olimpiadi di Atene, sono diventata assistente allenatrice della nazionale bulgara, ruolo che ho ricoperto per due cicli olimpici: Pechino e Londra. In seguito, ho deciso di lasciare il contesto nazionale e, dal 2013, sono diventata la responsabile tecnica della Nazionale svizzera”. Si aspettava di diventare la nuova allenatrice dell’Italia? “No, per me è stato davvero una sorta di ‘wow’ nella mia vita. Tutti conoscono il livello della squadra italiana e, personalmente, da anni traggo ispirazione da loro: per me la nazionale italiana ha sempre proposto programmi straordinari, originali nella musica, nella coreografia e nello stile. Tutto questo rispecchia profondamente anche la mia personalità”. È stato come un sogno che si avvera? “Sì, a essere onesta penso che tante allenatrici sognino di guidare la nazionale italiana. Anch’io, lo ammetto, qualche volta ho immaginato come sarebbe stato, se ne avessi avuto la possibilità. E adesso eccomi qui, e mi sto davvero godendo ogni momento con queste ragazze meravigliose”. La squadra italiana ha una grande eredità e anche una grande pressione, per via della storia recente e dei risultati ottenuti. Lei arriva ora: non crede che per avviare un cambiamento ricominciare con un gruppo nuovo sia un’opportunità migliore? Forse è più semplice partire quasi da zero. “Sì, credo di aver capito cosa intende. Quando sono arrivata, ho incontrato delle ragazze straordinarie. Per me non era importante se facessero già parte del gruppo o se stessero iniziando un nuovo ciclo ora con me, ciò che contava davvero era vedere in loro sufficiente motivazione. E l’ho vista. Mi sono sentita subito positiva – non sorpresa, perché si tratta della nazionale italiana, quindi è normale aspettarsi il massimo – ma davvero felice: ho trovato ragazze con un elevato senso di responsabilità, con una motivazione e un desiderio fortissimo di far parte di questa squadra. E quando si ha la fortuna di lavorare con atlete così, tutto il processo di allenamento diventa un po’ più semplice, anche se il livello è molto alto e il carico di lavoro è davvero impegnativo”. Quale sarà il suo contributo, il suo stile di insegnamento? “Ho una mia filosofia di lavoro. Per me tutto deve basarsi sulla fiducia. La fiducia tra allenatrice e atlete è fondamentale. È importante anche la comunicazione e, ovviamente, il rispetto reciproco. Non dobbiamo mai dimenticare che lavoriamo con persone, con esseri umani, non con macchine. Ognuna ha emozioni, può avere problemi. Parte del compito dell’allenatore è proprio questo: saper cogliere quelle emozioni e saper adattare l’allenamento al momento e allo stato d’animo dell’atleta”. Ha parlato di rispetto. In questo periodo, l’etica nello sport è un tema centrale. Per lei, qual è il confine tra rispetto e prestazione? “Sicuramente, a volte, quando conosci bene le potenzialità delle tue atlete, devi stare molto attenta a come stimolarle, a come guidarle per ottenere il massimo. A volte, specialmente quando sono stanche, sentono di aver già dato tutto. Ma con il giusto dialogo, con una buona motivazione, può succedere che al tentativo successivo tirino fuori qualcosa in più. E allora ti rendi conto che, con la giusta spinta, si può migliorare ancora un po’”. Quindi rispetto e motivazione. Ma anche musica e arte. Quale sarà il suo impatto tecnico o artistico sulle prestazioni delle ragazze? “Ogni musica ha un suo carattere, una sua personalità, uno stile. Anche questo è un obiettivo dell’allenamento: riuscire a esprimere l’emozione, il carattere dell’esercizio attraverso la musica. Per questo lavoriamo con coreografi e maestri di danza classica, figure fondamentali per la costruzione coreografica. Grazie al loro contributo possiamo lavorare bene anche sull’espressione artistica e sull’aspetto emotivo”. Abbiamo assistito a una sessione di danza. È un elemento fondamentale? “Assolutamente sì, il balletto è la base. Ogni giorno abbiamo una lezione di danza classica, e anche di danza moderna. Siamo davvero fortunate ad avere professionisti così preparati che supportano il lavoro della squadra”. Guardando avanti: questo sabato ci sarà la World Cup a Milano, poi il Mondiale a Rio e poi Los Angeles. Cosa dobbiamo aspettarci da questa squadra e dal suo lavoro? “L’obiettivo per Milano… beh, se le ragazze riusciranno a presentare il programma al meglio – e per ‘meglio’ intendo senza errori – sarà fantastico. Il nostro obiettivo in allenamento è proprio questo: che siano concentrate e che riescano a portare l’esercizio senza sbavature. Il mio allenatore diceva che non bisogna parlare di punteggi durante gli allenamenti. Il traguardo, per noi, è riuscire a dare il massimo possibile, ogni volta. E questo è anche il nostro obiettivo in gara. Non ci fissiamo mai su posizioni o medaglie: vogliamo solo dare il meglio”. Abbiamo iniziato con la sua presentazione. Concludiamo con la sua filosofia: quale sarà la difficoltà più grande da affrontare, e quale sarà il suo punto di forza? “Inizio dal punto di forza. Per me è fondamentale il parere delle ragazze. Mi piace parlare con loro, confrontarmi, coinvolgerle nel processo di allenamento. A volte lascio che siano loro a scegliere tra opzioni diverse, e insieme decidiamo i prossimi passi. Non è sempre facile, ma credo che in questo modo si cresca molto. La fiducia è tutto: se un’atleta si fida della sua allenatrice, tutto diventa più semplice. Naturalmente io sono qui da appena due mesi e mezzo e anche le ragazze, come me, hanno bisogno di tempo. Ma credo che stiamo andando nella direzione giusta”. Ultimissima domanda: ha mai pensato a un nuovo nome per questa squadra? “Un nuovo nome? No! Mi piace quello attuale. In palestra ci sono farfalle ovunque. È un marchio, un simbolo. È qualcosa di unico. Non c’è bisogno di cambiare tutto. È importante rispettare anche ciò che di buono arriva dal passato. E se chi arriva può aggiungere qualcosa di nuovo per migliorare, allora è perfetto”. Ah, dimenticavo: come si dice farfalla in bulgaro? “Peperuda!” Mariela Pashalieva esplode in un sorriso. Eccolo un nuovo nome. Non è cambiato, parla solo un’altra lingua. Ora lasciamo che torni a volare.

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Sara Cometti