Mancinelli: "In pedana si cresce davvero. Dietro un minuto di gara c'è molto di più"

Com’è nata l’idea di scrivere ‘I Love Gym. In pedana!’? “Non avevo mai pensato di scrivere un libro nella mia vita, ma poi è arrivata questa proposta di Salani, la casa editrice che mi ha seguito e mi sta seguendo, e l'ho abbracciata a pieno. Mi piace molto leggere, mi piace la carta e mi piaceva l’idea di dare ai ragazzi uno strumento diverso per seguire la ginnastica. E poi ho pensato che potesse essere interessante raccontare cosa accade dietro la pedana, dietro quel minuto e mezzo di gara. Perché in realtà dietro c'è tantissimo: ci sono giorni, settimane, mesi e anni di duro lavoro e ovviamente di relazioni, episodi e tanto altro. Ho pensato potesse essere di incoraggiamento per tante ragazze”. E qual è il messaggio che vuole lasciare alle giovani ginnaste con questo libro? Quali valori della ginnastica ritmica ha voluto trasmettere più di tutti in questa storia? “Penso che lo sport in generale, specialmente in questo periodo storico, possa trasmettere tanti valori fondamentali: la condivisione, l’amicizia e il lottare per realizzare i propri sogni senza sgomitare troppo. Quando serve è importante farsi avanti, ma è importante anche tendere la mano per vincere insieme. Ci sono tanti valori in questo libro, ovviamente trasmessi con un linguaggio per ragazzi, non è un libro difficile da leggere, ma il suo messaggio può arrivare a qualsiasi tipo di età. Tante mamme e tanti papà mi hanno scritto ‘l'ho letto e l'ho trovato bellissimo’, questa cosa mi ha fatto piacere perché dietro a ogni ginnasta c'è tutta una famiglia”. Le protagoniste del libro sembrano ispirate a persone reali: ci sono atlete o episodi autentici da cui ha tratto ispirazione? “Quasi tutto quello che c’è scritto nel libro è successo veramente . A partire dall'ambientazione stessa dei camp estivi dove è ambientato il libro. Mia figlia è appena tornata da un allenamento estivo di una settimana in montagna e mi ha raccontato che ha preso il trenino con le api… ci sono tanti riferimenti alla realtà. Nel libro racconto anche di alcuni momenti di attrito tra le ragazze, piccoli dispetti o sguardi che generano insicurezze, tutte dinamiche che in palestra e nella realtà sono continue. C’è anche un momento in cui queste ragazzine entrano in pedana e fanno una sorta di ‘gara’, una valutazione con dei giudici, ed è è molto bello perché ciascuna la vive in maniera diversa. C’è chi non vede l'ora di dimostrare tutto ciò che sa fare e chi invece ha molta paura. E ci tengo a dire che non per forza chi ha più coraggio è anche più bravo in pedana. A volte chi è troppo sicuro di sé rischia di perdere la concentrazione”. Alla luce di tutto questo e vista la sua esperienza da allenatrice, secondo lei quanto è importante l’educazione emotiva nello sport giovanile? “Molto. Credo che fare sport e fare molte gare aiuti moltissimo a crescere anche emotivamente, perché mettersi continuamente di fronte alle proprie paure e ai propri limiti è già di per sé un allenamento importante. Infatti, in particolare nell'alto livello, cerchiamo sempre di dare una programmazione di gare tale per cui la ginnasta piano piano diventi sempre più sicura. Ebbene sì, do un piccolo scoop: anche le grandi ginnaste hanno paura di entrare in pedana . Non è una cosa relativa solo alle piccoline, anzi, spesso le bambine riescono a essere più spensierate. Quando si iniziano ad avere i risultati, diventa più difficile mantenere la serenità”. E lei come era da atleta? Come è iniziata la sua avventura nella ginnastica ritmica e come è stata la sua esperienza da atleta? E poi come ha capito di voler diventare allenatrice? “Quando ho smesso ginnastica, avevo 18-19 anni, dissi che nella vita avrei voluto fare un lavoro in cui potessi sentire la stessa emozione che sentivo ogni volta che entravo in pedana. Non ho scelto di fare l'allenatrice da subito, anzi per un po' mi sono staccata dalla ginnastica perché avevo bisogno di interrompere un pochino questa disciplina. Però poi sono ritornata alla ginnastica perché rientrando in una palestra ho sentito che quella era a casa mia e che volevo stare lì. Non ero molto emotiva prima di entrare in pedana. Forse da piccolina sì, ma ricordo che un giorno che feci uno scatto mentale e di crescita che mi ha cambiata. È una cosa che non ho mai raccontato… Quando ho iniziato a essere un pochino più brava e avevo qualche difficoltà a controllare il peso dell'aspettativa, mi sono detta ‘Claudia, non pensare che sei tu a entrare in pedana, pensa che è una qualsiasi ginnasta X che entra e tu stai interpretando il suo ruolo’. E così ho iniziato a distinguere tra la Claudia che entrava in pedana e la Claudia di tutti i giorni. Questa stupidissima cosa mi ha aiutato molto a gestire la preoccupazione. Da lì è cambiato qualcosa e poi da più grande ho iniziato a godermi le gare, mi piaceva proprio entrare in pedana e gareggiare. Volevo proprio dimostrare ciò che avevo imparato e riscontrare questo nelle ginnaste di oggi è molto difficile. Forse perché c’è più esposizione, sanno che andrà tutto su internet immediatamente e quindi sentono molto di più la tensione prima di una gara. C'è più paura di sbagliare perché c’è il timore di essere giudicate da internet, i social e tutto il resto. Ma anche oggi ci sono tante bravissime ginnaste e coraggiosissime”. Ha raccontato di aver sentito questo richiamo di casa per iniziare a fare l'allenatrice, ma c'è qualche allenatore o allenatrice a cui si è ispirata, qualcuno che l'ha convinta a intraprendere questo percorso? “Non ho un riferimento specifico, però il rapporto tra allenatore e atleta è una cosa che mi ha sempre incuriosito moltissimo. Quando ho capito di voler fare l’allenatrice ho iniziato a sentire che volevo trasmettere quello che avevo ricevuto da atleta e anche quello che avrei voluto ricevere. Volevo cercare di capire come far sì che un atleta crescesse da un punto di vista tecnico e anche umano, ovviamente. E poi io adoro i film di sport. Appena esce un film sullo sport, qualsiasi tipo di sport, devo vederlo. E mi è sempre piaciuta molto la modalità in cui nei film viene raccontato il rapporto tra allenatore e atleta”. Abbiamo già parlato dei social e anche lei un anno fa, più o meno di questi tempi, è diventata viralissima su tutti i social. Come ha vissuto quel boom di fama improvviso? “È stato molto inaspettato. Ancora oggi ogni tanto qualcuno mi ferma e nei palazzetti le bambine mi chiedono di scattare dele foto insieme. E questa è una cosa bella, perché penso che sia veramente importante avere dei punti di riferimento come allenatori. Non conta come sia accaduto, l’importante è che tutto questo abbia un valore. In quella situazione lì non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, perché nella vita di noi allenatrici è normale in campo internazionale fare i ricorsi. A volte si vince e a volte no, però è una pratica abbastanza normale. Non sapevo neanche di essere ripresa in quel momento, perché il palazzetto delle Olimpiadi era enorme e non avevamo contezza di quello che si vedesse da casa. Io proprio ero concentrata sul mio lavoro e basta. Quando è successo tutto quanto, mi sono detta ‘Se può servire alla ginnastica per avere più seguito, più tifosi, più bambine e bambini che si appassionano a questo sport… mi fa piacere’. E credo sia stato utile in questo senso”. Al di là di quell'episodio, ha un ricordo speciale legato a quest'ultima Olimpiade? “A Parigi ero con Sofia Raffaeli, Milena Baldassarri e Michele Ragni, il fisioterapista. Noi quattro veniamo dalla stessa città ed eravamo molto uniti, eravamo proprio una squadra. È difficile partire per un'Olimpiade con tutte queste persone con cui hai un legame fortissimo, perché normalmente partendo come team Italia parti con la tua ginnasta, però poi ci sono tutte persone più estranee. Entrare la prima volta nl villaggio olimpico è stato uno dei momenti più belli, perché lì trovi tutto il mondo unito. Tutti si salutano tra di loro e avverti la sensazione di essere amico di tutti. È bellissimo. Dicevo alle ragazze ‘Guardate che bello lo sport, guardate cosa può fare’. Le Olimpiadi nascono proprio per questo motivo: unire le persone. Sono una piccola rappresentazione della pace nel mondo in cui tutti si sostengono perché tutti sanno che stanno lottando con lo stesso scopo. Poi c'è chi vince e chi non vince, però è una competizione sana e questa cosa è molto bella. Ho questo ricordo di noi quattro che giriamo in bicicletta per il villaggio olimpico con questa forte sensazione di unità”. Ora inizia una nuova avventura come responsabile del CAT federale di Roma , cosa significa per lei questo nuovo inizio? “Stiamo iniziando questo nuovo percorso proprio in questi giorni proprio. I cambiamenti sono sempre belli ma dall'altra parte credo servano anche per riflettere. Sono contenta di avere la possibilità di lavorare con tante atlete. Sono ginnaste selezionate che hanno già raggiunto un alto livello, lo scopo è cercare piano piano di portarle a esprimere sempre di più le loro peculiarità e il loro talento. Da quest'anno in varie in alcune regioni d'Italia sono nati questi centri di addestramento e nello specifico questo di Roma è gestito proprio dalla Federazione Nazionale, quindi è un bel progetto. C'è grande entusiasmo, c'è grande partecipazione. Questi centri sono fatti per aggregare le atlete e per riuscire piano piano ad avere momenti di condivisione, cosa che a volte nel nostro sport manca. Ci sono tante società in competizione l'una con l'altra, come è giusto ed è importante che ci sia, però il momento dello scambio un pochino manca. Spero che questo nuovo progetto possa veramente produrre un cambiamento da questo punto di vista. La condivisione permette di far crescere le ginnaste e fa crescere anche a noi come allenatori. Ci sono tante cose che devo ancora imparare, bisogna studiare tanto e nel confronto si impara più velocemente. Io adesso sto lavorando con delle persone e cerco sempre di prendere quello che mi può servire e che mi piace per migliorare. E allo stesso tempo di dare ciò che può servire agli altri. Spero di riuscire a creare un luogo in cui possano crescere tante ginnaste da tutti i punti di vista, umano e tecnico. Io sarò sempre a loro disposizione, poi anche le ragazze dovranno fare il loro”. Nel complesso come vede l'evoluzione della ginnastica ritmica italiana negli ultimi anni? Cosa c'è da fare secondo lei per migliorare ulteriormente il movimento? “La ginnastica ritmica negli ultimi anni è cresciuta tantissimo, quando ero piccola io c'era proprio un ritmo diverso. È aumentato tantissimo il numero dei tesserati, sono aumentate tantissimo le società e è aumentato tanto il livello. Al momento l’Italia è nei primi tre posti al mondo per quanto riguarda la ginnastica ritmica. Ma per mantenere e alzare il livello, servono strutture sempre migliori e adeguate. Un primo aspetto da migliorare è il tempo, perché tante palestre non sono dedicate solo a questo sport e spesso è difficile riuscire ad allenarsi per tante ore perché non c’è abbastanza tempo a disposizione. Servono palestre alte, perché il nostro sport prevede il lancio degli attrezzi e molte palestre hanno il soffitto troppo basso. La Federazione sta facendo un ottimo lavoro e sta spingendo in questa direzione. Spero che ci sia sempre più attenzione affinché veramente possiamo avere a disposizione delle strutture ‘pure’ per continuare a mantenere questo ritmo e questo livello, perché è molto bello. La nostra fortuna è che le bambine amano questo sport. C’è la musica, c’è la danza, c’è la tecnica, è uno sport molto artistico. A volte chi è entrato in palestra durante un nostro allenamento ha detto ‘Mamma mia, sembra di essere in un sogno’. L’Italia ha raggiunto un buonissimo e altissimo livello, però i livelli per essere mantenuti vanno incrementati e bisogna studiare e approfondire in maniera continua”. Ha una routine o un rito personale prima delle competizioni importanti? “La mia scaramanzia è cercare di non essere scaramantica . Tendenzialmente noi sportivi abbiamo tutti tante ‘manie’ scaramantiche. Quando va bene una gara, in molti cercano di ripetere le stesse cose e gli stessi movimenti; io invece quando capisco che mi sto fissando su una cosa e che do ‘troppo potere’ all'esterno, cerco di ritornare a me stessa e elimino quell’abitudine. Però ognuno ha il suo, ci sono tante ginnaste scaramantiche e tante allenatrici scaramantiche e va bene così. Io rispetto la scaramanzia, credo che ognuno debba fare ciò che gli permette di essere il più sereno possibile mentalmente”. Dalle sue parole sembra le piaccia avere sempre tutto molto sotto controllo nello sport, anche nella tua vita di tutti i giorni è così? “Sì, questa cosa del controllo ce l'ho anche nella vita, assolutamente. Però è una cosa su cui lavoro e che cerco di limitare. Come tutte le cose, ha aspetti positivi e negativi. Sono molto organizzata e precisa ma di contro quando qualcosa mi sfugge di mano… è un casino. Però sicuramente nello sport c'è bisogno di disciplina, che non deve essere un controllo ossessivo. Lo sport mi ha insegnato che posso preparare tutto nei minimi dettagli ma non posso sapere quale imprevisto capiterà. L’importante è saper reagire bene agli imprevisti. Ho imparato a essere più aperta agli imprevisti”. Imprevisti permettendo, che progetti ha per il futuro? Magari un secondo libro… “Ci saranno sicuramente due nuovi episodi del libro, dovremmo pubblicare tra qualche mese il secondo ma non posso spoilerare nulla. Però sì, uscirà un secondo volume e poi anche un terzo. L'altro giorno ero in giro a Roma e una bambina mi si è avvicinata e mi ha chiesto ‘Quando esce il secondo? Devo assolutamente capire che cosa succederà!’. Mi sono emozionata e sono stata contentissima. Che una bambina aspetti un libro è una cosa stupenda”. E se invece avesse l’opportunità di parlare con la Claudia bambina, cosa le direbbe? “Vorrei dirle che è bellissimo realizzare i propri sogni, ma è importante farlo arrivandoci felice, perché sennò non te li godi. Le direi che il percorso è la cosa più bella. Sembra una cosa scontata, ma penso che non lo sia. Le consiglierei di assaporare il percorso, di apprezzare anche i fallimenti e di non cedere alla sconfitta, perché è ciò che ti permette di arrivare al tuo sogno e di godertelo. Le direi che sta facendo tutto bene, ma che anche se non dovesse raggiungere quel suo sogno... va bene lo stesso!”.

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Emiliano Tomasini