'Diving Horses': quando tuffarsi con i cavalli era uno sport

Non c’è nessuno che possa giurare che William Frank ‘Doc’ Carver fosse nato realmente nel 1840. È certa l’origine nella contea di Stephenson, in Illinois, in quel di Winslow, quando ancora lo Stato rappresentava un punto di partenza per le spedizioni dirette a Ovest, verso la California. Ma di lui si sa solo che un giorno ritornò dal Far West e iniziò a raccontare mirabolanti avventure di frontiera e incredibili incontri. La tesa del cappello a coprire i capelli lunghi, il baffo alla William Frederick Cody e un ricco curriculum tutto da verificare da tiratore scelto, cacciatore di bisonti, esploratore, pistolero, pare anche dentista , adottato dagli indiani che avevano attaccato la sua famiglia e gli avevano poi insegnato tutto sui cavalli. Da lì a diventare uno show-man iniziava un altro mistero. A chi aveva conosciuto il padre William Daniel, medico, e la mamma Deborah Tohapenes i conti non tornavano. Si sapeva che una sua sorellina, May, era morta ad appena due anni. E che aveva un fratello, William Pitt, che faceva l’agricoltore in Kansas. Ma l’abilità di William Frank ‘Doc’ Carver era stata tanta e tale che nessuno osò mai metterne in dubbio la storia. Anzi, ciò che raccontava di sé gli aveva consentito di plasmare un personaggio al quale ogni porta veniva spalancata e veniva dato ogni credito. Anche quando proponeva idee apparentemente bislacche. Come quella di fare tuffare da un trampolino uomini e cavalli assieme. A dirlo una follia, a farlo una genialata. Meglio però andare con ordine, ripartendo da un alto ponte eretto sopra il Platte River, in Nebraska, che -sotto il peso di Carver e del suo animale in fuga da alcuni banditi- un giorno pare fosse crollato. Sarebbe stato allora che Carver, secondo la sua narrazione, casualmente avrebbe notato la grande capacità del suo cavallo di cadere in acqua posizionandosi con gli zoccoli in avanti, ponendo la testa in atteggiamento idrodinamico, con la coda eretta per direzionare e fendere il vento. Fino all’attimo dell’impatto, sorprendentemente dolce, dentro l’acqua sottostante. L’intelligente cavalcatura, poi, stando ai racconti di Carver, avrebbe raggiunto la riva nuotando e conducendolo in salvo. Di qui la sorprendente idea di replicare quel tuffo, ma in maniera provocata: una trovata che avrebbe reso Carver straordinariamente ricco e famoso. Fin qui, la leggenda. Che rientra in tutte quelle pagine di narrazioni epiche che racchiudono le imprese di eroi stanchi come anche quel Buffalo Bill, finito a esibirsi nei Wild West Show, con il quale Carver vantava una lunga collaborazione. Sempre secondo le storie raccontate dal protagonista di questa vicenda, dalla decisione di lasciare Buffalo Bill al proprio destino e mettersi in proprio sarebbe poi nata una acerrima rivalità fra i due, mai documentata. Un dato è certo, invece. Il Carver diventato famoso in California come pistolero di precisione, sarebbe diventato immortale nella storia dell’entertainment americano proprio per via dell’originale e singolare lavoro svolto con i cavalli, che lo porterà in Europa e fino in Australia. Al suo ritorno in America, nel 1894 Carver debuttò a Saint Louis con una singola cavalla alla quale si imponeva di tuffarsi da sola. Un numero che mandò in visibilio il pubblico, ma che venne ampliato con l’aggiunta di una cavallerizza, la giovane Lorena Lawrence, che poi avrebbe preso anche il suo cognome lavorando nell’area show di Atlantic City. Lorena in breve tempo divenne parte consistente del successo di Carver, lanciandosi da oltre dieci metri di altezza, da piattaforme di legno, in una vasca d’acqua per la verità non profondissima. Lo show divenne presto famoso e affascinò il pubblico dal New Jersey al Missouri, dal Wyoming al Texas, raggiungendo il suo apice negli anni Venti, quando Atlantic City diventò sede fissa di una attrazione rischiosa per cavallo e cavaliere, ma richiestissima in fiere statali e di contea. Con le luci spente, il riflettore puntato in alto, con -in origine- la cavallerizza in morigerato costume da bagno in groppa a un cavallo e un mantello sulle spalle. In basso il pubblico a trattenere il respiro fino al primo movimento di zoccolo del quadrupede, teso a spostare il peso da un lato all’altro, lì a dodici o diciotto metri di altezza e in basso una minuscola pozza profonda non più di quattro metri. In ‘The Last Diving Horse in America’, Cynthia A. Branigan, futura attivista per i diritti degli animali e scrittrice e all’epoca bambina di soli undici anni, scrive “non avevo la sensazione che il cavallo avesse paura… mi sembrava solo che stesse prendendo in considerazione la situazione, godendosi il suo momento sotto i riflettori…”. Quel cavallo, che si chiamava ‘Powderface’, accompagnato dal rumore delle onde che andavano a infrangersi sullo Steel Pier di Atlantic City, a un tratto si mosse e galoppò in discesa oltre il bordo della piattaforma. Poi cavallo e cavaliere rimasero sospesi in aria come per magia, prima di scomparire sotto l’acqua della pozza, che si sollevò fra mille schizzi e in un fragore di applausi. ‘Powderface‘ riemerse scrollandosi di dosso l’acqua, la donna scivolò giù dalla sua schiena, gli inservienti corsero ad asciugarli entrambi. Sorrisi. Ormai presentata a tutti come figlia di Carver, Lorena divenne ben presto la principale attrazione dello show e ben presto un numero sempre crescente di cavalli venne addestrato a saltare giù, tra le sempre più vive proteste degli animalisti e continue supervisioni delle associazioni incaricate di verificare l’appropriatezza delle procedure che, a quell’epoca, rispettavano tutti i criteri previsti. E particolarmente imponevano di accudire amorevolmente e con grande considerazione proprio i cavalli. Non è noto se gli equini trovassero effettivamente divertente o soddisfacente buttarsi giù da quindici metri a rischio di spezzarsi le zampe ed essere ‘finiti’ sul posto, in cambio di strigliate, coccole, biada e paglia. Di certo pare non essere realistico che essi venissero costretti a saltare attraverso l’impiego di pungoli o marchingegni di apertura a sorpresa. L’incidente E francamente non doveva essere piacevole neppure per i cavalieri e le cavallerizze piombare in acqua da grandi altezze, seduti su animali del peso di 7-8 quintali e rischiando l’osso del collo. Alcuni di essi rimasero fatalmente vittime di gravi incidenti, uno dei quali occorse al diciannovenne Oscar Smith, morto nel corso dello show il 17 febbraio del 1907, probabilmente per il contraccolpo ricevuto dalla testa del cavallo nel momento dell’impatto con l’acqua. Un incidente che si verificò durante lo spettacolo ‘The Great Carver’ all’Electric Park. Il ragazzo del Colorado era eccitato di essere una stella dello show in quella che oggi è la sede della VIA Maintenance, all’angolo fra W. Myrtle Street e N.Flores Street, proprio nei pressi di San Pedro Park, in Texas. Si prevedeva un mese di repliche, con un’impalcatura alta dodici metri e una piscina profonda quattro. A comando la piattaforma veniva abbassata e cavaliere e cavallo ‘si tuffavano’. Prima dei cavalieri si era tuffato persino un fox terrier che si era arrampicato sulla torre dei cavalli. Quel giorno faceva caldo, si sfioravano i trenta gradi. La folla accorse numerosa pagando quindici centesimi per un ingresso. Lo show sarebbe durato due ore e mezzo: inizio con ‘Doc’ Carver a dimostrare le proprie abilità di tiratore, poi dei cavalli imbizzarriti, quindi la ‘mucca ribelle Bossie’. Oscar Smith era molto bravo e promettente, Carver lo chiamava ‘il campione di cavalleria del mondo’. Oscar quel giorno sostituiva Lorena, che era ‘indisposta’. Portò ‘Little Powderface’ sulla piattaforma, salutò il pubblico, poi il tuffo fra urla e applausi. Pochi istanti dopo riemerse solo il cavallo. Lo spettacolo andò avanti. Il corpo di Oscar fu trasportato a Glenwood, da una zia. L’incidente a Oscar Smith non fu l’ultimo di quella gravità nello show di Carver. È nelle cronache -ad esempio- anche quello di Sonora Webster, che aveva sposato nel 1928 Al Floyd Carver, figlio e principale erede di ‘Doc’ dopo la sua morte avvenuta l’anno prima. Sonora era stata cooptata attraverso un annuncio e anche la sorella Arnette Webster French diventò in seguito una tuffatrice, quando Sonora aveva già subìto un grave distacco della retina in conseguenza di un tuffo sul suo Red Lips, presso lo Steel Pier. Sonora, pur senza più vedere, continuò tuttavia ad andare a cavallo e fare immersioni fino al 1942. Annette disse che “cavalcare era per Sonora la cosa più divertente che esistesse e adorava farlo. Non voleva rinunciarci. Una volta in groppa non c’è altro da fare che tenersi stretti. È il cavallo ad avere il comando”. A sottintendere che bastavano quegli occhi. La carriera di Carver proseguì con successo. E la storia questa volta, non la leggenda, registra uno scontro vero con il circuito di Buffalo Bill. Nel corso del tour europeo, Carver arrivò ad Amburgo, in Germania, proprio poco prima di Cody, pretendendo e ottenendo di potersi esibire in esclusiva con le poche luci elettriche disponibili allora. Era il 1890. La sua richiesta venne esaudita. E Cody fu così costretto a esibirsi al buio. Il che aumentò la feroce ostilità fra i due. Carver perfezionò ben presto il proprio Wild Show creando due squadre di tuffatori, così da potersi esibire in due piazze diverse in contemporanea. Tutto andò a gonfie vene fino a quando la salute non cominciò a scricchiolare e -durante un viaggio a Omaha, in Nebraska- non gli arrivò la notizia che il suo cavallo preferito era annegato dopo un’immersione nell’Oceano Pacifico. Da lì in poi Carver entrò in depressione, fino alla morte, a Sacramento, in California, il 31 agosto 1927. Ma attraverso il figlio la sua intuizione gli sopravvisse a lungo, fino al 1942 quando l’attività chiuse i battenti. Anche lo show con i suoi prosecutori declinò fino a venire cancellato del tutto nel 1978, quando una progressiva perdita d’interesse da parte del pubblico e accese critiche degli animalisti portarono il sindaco di Atlantic City a vietarlo. Cynthia A. Branigan ricorda che “era una di quelle cose che c’erano sempre state e nessuno si era mai fermato a pensare ‘ma è giusto?’…”. La risposta la diede Joseph Aaron Lazarow, con un provvedimento che resse fino al 1993, quando in modo timido nel ‘93 prima e nel 2012 poi si provò a riportare in auge la disciplina. Tredici anni fa il tentativo venne frenato proprio allo Steel Pier. In quell’occasione i sostenitori del benessere degli animali presentarono una petizione perché non venissero più organizzati spettacoli di ‘Diving Horse’. L’allora presidente della ‘Humane Society of Usa’ Wayne Pacelle, attivista animalista, commentò dicendo che si trattasse finalmente di “una fine misericordiosa per una idea colossalmente stupida”. Ma tra chi giura seriamente che anche i cavalli si divertissero e chi tira un sospiro di sollievo le polemiche non si placano tuttora. Anche se oggi come oggi può apparire molto più logico pensare che per una creatura delle dimensioni e agilità di un cavallo, l’altitudine di questi trampolini andasse vista e considerata in proporzione. Cosa che però purtroppo non riusciva ad applicarsi, sempre e comunque, ai loro malcapitati cavalieri. Ma è indubbio che cavalli e cavalieri fossero legati da un grande rapporto di fiducia e di affetto. Anche se oggi quei tuffi sembrano essere eticamente poco accettabili, l’improbabile esibizione del tuffo equino dal molo d’acciaio è andata avanti per decenni, dapprima come popolarissima forma di intrattenimento per gli americani dalla fine del 1800 fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, poi quasi come show sportivo, infine come elemento di business puro e semplice per parchi a tema. La performance in realtà durava pochi secondi e veniva ripetuta dalle 2 alle 6 volte al giorno, 7 giorni su 7. E, clamorosamente, non sono riportati incidenti per quanto riguarda i cavalli, ma solo -come detto- per i loro cavalieri. Un successo nato da un avventuriero o forse solo da un mistificatore amante dell’esagerazione, un bugiardo patologico, un comprimario del glorioso e selvaggio West, un impresario del sensazionale. Quando le cose e la sensibilità cambiarono e questi spettacoli non incontrarono più i desideri degli americani e i permessi della legge, molti cavalli fino ad allora impiegati nelle esibizioni vennero venduti al miglior offerente, finendo spesso, purtroppo, nei mattatoi. Il passaggio da tutto a nulla fu esageratamente veloce. Nella memoria rimangono racconti e fotografie in bianco e nero di tempi lontanissimi. E tanti interrogativi. Sulla vera vita di ‘Doc’, su quanto fosse per davvero suo figlio Al, su che fine abbia fatto il referto autoptico di Oscar Smith, sui veri rapporti con Buffalo Bill, su quante fratture e ferite si siano contate durante gli show. Una disciplina audace, amazzoni e cavalieri esperti, una folla che cercava il piacere del brivido e della scommessa. Un’incredibile storia americana durata un secolo. Finché Charles Bukowski non ha urlato al mondo che però “i cavalli non scommettono sugli uomini”.

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Lucio Rizzica