Il viaggio nella polvere di Elena Gouliakova

San Pedro Garza García, Messico, nello stato del Nuevo León, è la città più ricca dell’America Latina. I suoi cittadini hanno il più alto PIL pro capite. Non tutti, ovvio. Alcuni quotidianamente affrontano una battaglia impari con la miseria e per lo più vivono per strada, trascinandosi dietro le loro poche e povere cose. Si arrangiano a volte grazie a piccole elemosine, altre attraverso gradite donazioni di privati generosi o di associazioni di assistenza. Ma la vita da indigenti certo non è facile; è triste, è precaria e la loro condizione non è soltanto un problema sociale rilevante. E’ una questione anche di dignità personale, di accettazione e di ruolo nella società. E di riflessione. Perché - se tantissimi decidono di annegare il proprio passato nell’alcool o nelle droghe - per altri la povertà assoluta è un profondo e continuo oggetto di indagine, di autoanalisi, spesso di crudele confronto con se stessi e tra ciò che si era prima e quel che si è diventato poi. In Messico ci sono circa cento milioni di utenti Facebook attivi su una popolazione complessiva di centotrentuno milioni di abitanti. Si può dire che quasi ogni messicano abbia un profilo social sulla piattaforma di proprietà di Mark Zuckerberg. Il che fa ragionevolmente ritenere che anche quasi tutta la città di San Pedro Garza García sia di fatto interconnessa, fatti salvi anziani, infanti e forse proprio indigenti. Anche perché criminali e narcotrafficanti anche loro chattano e pubblicano dei post. Ed è stato proprio uno di quei centoventitremila utenti malcontati , una ragazza, a fare un incontro davvero straordinario, ma anche molto malinconico, un giorno che - camminando lungo il Paseo Morelos, in direzione del Ponte de La Unidad che collega la città con Monterrey - ha scorto in un angolo della strada un volto noto. Era una donna seduta in terra, sola, avvolta in una felpa con cappuccio e una giacca nera e accompagnata da due cani. La ragazza, scorgendola, istintivamente esclamò sorpresa “Elena! Elena!...“, ma la donna non voltò neppure gli occhi nella sua direzione. Allora provò ancora, “Elena! Elena!...“ e questa volta ottenne per tutta risposta uno sguardo freddo, profondo, deciso, che sembrava dire “Non la conosco! Non la conosco! Mi lasci in pace”. Poi la donna - silenziosamente - voltò nuovamente gli occhi altrove, erano azzurri, spiccavano sotto i capelli dorati sporchi e arruffati. Chissà, forse avrebbe preferito poter rispondere “Mi ha scambiato per qualcun‘altra, sono una donna d’affari, sono una dirigente della Promoda Multimarcas, sono chiunque altra crede ma non chi ha pensato io sia…”. Ma quella donna invece non rispose nulla e tentò di rendersi invisibile. Come del resto era diventata oramai da tanti anni e non avrebbe mai pensato potesse diventare quando invece era una stella, e brillava nel firmamento dello sport con prospettive di successo a livello internazionale… Perché quella donna, incontrata casualmente un giorno come tanti, si chiamava e si chiama per davvero Elena. Per l’esattezza Elena Gouliakova. E di quella ragazza era stata tredici anni prima una attenta e premurosa allenatrice. La prima a portare a Nuevo León un personaggio del calibro di Eduardo Burguete Ayala, fondatore delle primissime piste e scuole di pattinaggio e hockey su ghiaccio dello Stato. Quel ‘Babi’ Ayala, pentathleta spagnolo, che aveva concluso al ventiseiesimo posto la prova olimpica individuale alle olimpiadi di Los Angeles del 1984 e all’ottavo quella a squadre e poi dedicatosi all’insegnamento dello sport. Quella Elena Gouliakova che era arrivata in Messico e si era affermata come una rinomata allenatrice di pattinaggio presso prestigiosi club della città. Già, perché Elena Gouliakova in Messico era arrivata dopo una brillante carriera che aveva toccato l’apice fra il 1998 e il 2000, triennio alla fine del quale si era trasferita in America Latina insieme al marito e allenatore Nikolay Suetov, per tenere lezioni di pattinaggio in club esclusivi di Monterrey. Lei, una promessa del pattinaggio artistico russo, tradito per i tour dell’‘Holiday on Ice’ nei quali volteggiava sulle piste d’Europa come una visione. Mescolando forza e bellezza. Incarnando il sogno che ogni giovane pattinatrice desiderava diventare. Talentuosa ed elegante, artistica e non competitiva. La grazia sul ghiaccio l'aveva resa una star. Infine approdata nell’afoso e probemlatico Messico, con un compagno ogni giorno sempre più diverso da come lo aveva conosciuto e amato, fino al divorzio - nel 2006 - che aveva buttato all’aria tutto: la creazione di un a vera accademia di pattinaggio artistico in un paese dove il ghiaccio era uno sconosciuto. In pochi mesi ogni sogno svanì. Il divorzio frantumò il suo mondo, il Deportivo San Agustín e il Club Alpino Chipinque chiusero. Le collaborazioni con altre scuole dello Stato cessarono. I rapporti con l'Associazione Statale di Sport Invernali e la Federazione Messicana di Pattinaggio su Ghiaccio e Sport Invernali, alle quali si era iscritta, si incrinarono. A nulla le servì oramai avere la nazionalità messicana, se non a sentirsi ancora più sola. Tanto da rifiutare a chiunque di aiutarla a uscire dal buco nero nel quale stava entrando e rintracciare i suoi parenti in Russia. Per Elena entrare in una profonda depressione fu quasi naturale. Iniziò a soffrire di crisi d’ansia e a odiare quella Elena che era felice nell’accompagnare sui pattini i bambini messicani che, con gli occhi sgranati e pieni di entusiasmo, per la prima volta provavano a muovere i primi passi sotto la sua guida. Dietro la porta tetra del dolore e dell’autodistruzione, in breve, Elena chiuse anche quel nuovo palcoscenico. Tolse così a sé stessa e alla comunità ogni sogno e ogni speranza di successo, avvitandosi in una spirale di tormenti indicibili. Fu avvistata ovunque: fu vista vagare per le strade di Tepatitlán, Jalisco. Fu incontrata che camminava per le strade di Monterrey. Venne segnalata nei vicoli bui di Villahermosa, Tabasco. Poi ancora a Nuevo León. E a Guadalajara, dove fu denunciata per vandalismo. La solidità psicologica di Elena fu messa a dura prova e il crollo emotivo e mentale sopraggiunse in poco tempo. Venne accusata di danneggiamenti a una proprietà privata nel quartiere Valle del Mirador di Monterrey. La visita medica evidenziò una schizofrenia paranoide e fu ricoverata nel reparto psichiatrico del penitenziario federale di Topo Chico, poi chiuso nel 2019 dopo anni di problemi di sovraffollamento e condizioni insalubri. In quel carcere, dove i detenuti vivevano in condizioni precarie e scarsa o assente presenza di acqua, luce e ventilazione nelle celle, il suo caso venne alla luce dopo che i media diedero risalto a una rivolta che divenne notizia nazionale. Grazie al sostegno dell'attuale governatore dello stato, Samuel García, all'epoca deputato del Movimento Cittadino, la skater fu rilasciata: “Ci troviamo di fronte al problema di una straniera -per quanto anche di passaporto messicano- che si trova in carcere per apparenti motivi di salute mentale". Ma avendo perso casa e rifiutando ogni aiuto, Elena incominciò a vivere come ‘sintecho’, senzatetto. Lei, i suoi cani e un carrello della spesa, di quelli che si affittano nei supermercati. García lavò la propria coscienza con un appello ai messicani: “Se vi capita di incontrarla, aiutatela, è gentile e ama stare in compagnia”. E aggiunse… “Parla fluentemente spagnolo e inglese, e se parlate un po' di russo, sarà felice di sentirvi dire "Privet"! Ma non desidera ricevere alcun tipo di assistenza per l'alloggio o per tornare nel mondo del pattinaggio artistico". Un po' come dire ‘fatele pure l’elemosina, non dovrete certo farvene carico’. Oggi Elena continua a combattere le proprie battaglie invisibili e silenziose sola in strada. Da allora, la sua vita ha preso una piega straziante, ma nonostante tutto il suo sguardo non ha perso di dignità. Neppure quando si ciba usando posate di plastica e tirando su qualcosa da una misteriosa scatola bianca. Non sono più i tempi degli applausi, dei volteggi, dei riflettori e dei sogni. Sopravvive alla vita e alle avversità. Si ritrae se qualcuno la riconosce. Poco prima di Natale del 2024 vagava dalle parti di Paseo Morelos. Oggi chissà. Ha imparato ad amare la pioggia, avendo perso il piacere dei colori dell’arcobaleno.

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Lucio Rizzica