Massimiliano Rosolino, dalla cuffia al casco: "Mi gratifica la fatica"

Se non avesse fatto il nuotatore e non fosse diventato un campione, sarebbe stato uno showman di successo. Bello, simpatico, spigliato, la battuta sempre pronta: Massimiliano Rosolino ha tutto quello che serve per bucare il video. Lo abbiamo incontrato per farci un giro in bicicletta, che a fine carriera rappresenta lo svago prediletto di tanti sportivi e parlare un po’ di tutto. “La bicicletta è un po’ come il nuoto: o sei allenato o non sei allenato. Io non sono allenato, ma mi piace”. Dalla cuffia al casco, dal costumone alla tuta, dall’acqua all’asfalto. Il passaggio dal nuoto al ciclismo è stato quasi naturale. “Si fa sempre fatica, e a me piace la fatica. Un po’ come nel nuoto la fatica mi gratificava. Ho iniziato a fare un po’ di triathlon e alla lunga la bici ha preso il sopravvento. Mettere gli occhiali, infilarmi il caschetto, riempire la borraccia, fare rifornimento: tutte queste cose mi affascinavano. Poi scoprendo il chilometraggio, il dislivello, la compagnia, i paesaggi, la bici mi ha conquistato sempre di più. Che ciclista sarei stato? Una specie di Cipollini, uno sprinter. Non velocista puro, non mi dispiacciono le salite purché al massimo di 10 gradi, in discesa non sono un kamikaze. Diciamo un buon velocista”. Anche se la fatica di quando nuotava è inarrivabile per un comune mortale. “Facevo 70 chilometri a settimana, in un anno più di 2 mila, per vincere devi fare 10 mila ore, 40 mila chilometri: questo è il range che si fa, tutto questo per fare, alla fine, 200 metri forti”. Ma una linea tra un prima e un dopo non l’ha mai tirata. “E' vero, non ho mai annunciato ufficialmente il mio ritiro, pensavo sempre che sarebbe arrivata un’altra onda, e ho continuato ad allenarmi. Poi la parola ritiro mi metteva tristezza, scatta in automatico l’etichetta di ex. Anche la ex fidanzata dev’essere chiamata il mio grande amore di una volta ". Fino alla scorsa estate, Max era il nuotatore italiano con più medaglie olimpiche, a Parigi Paltrinieri lo ha superato: “Ma non rosico affatto, sono onesto: da un lato io ero un atleta straordinario perché spaziavo da 100 ai 1500 ai 200 e 400 misti, dall’altra parte devo riconoscere che la sua continuitá è qualcosa di impressionante”. Chapeau davanti a Paltrinieri, ma il prediletto di Rosolino si chiama Ceccon: “E' il nostro Phelps, da anni è così: è un pesce, ha un’acquaticità, una ecletticità, delle doti anche nascoste. E a differenza di Phelps, Thomas non ha ancora capito che può fare ancora di più. Ho visto un’immagine di lui che parlava con Sinner, la specie è quella”. E a proposito di Sinner: “Ancora prima che diventasse numero uno al mondo, leggevo nei suoi occhi il suo desiderio: io non voglio vincere un Grande Slam, io voglio diventare il numero uno. E ci è riuscito. A dispetto del basso profilo che lo contraddistingue, io me lo immagino che torna a casa e salta sul letto di gioia. A volte mi piacerebbe che si esaltasse di più, però è fatto così”. Ma una medaglia d’oro alle Olimpiadi Rosolino l’oro lo vinse nei 200 misti - a Sydney nel 2000 - quanto cambia nelle prospettive di un atleta e quanto lo destabilizza? “Io per fortuna quando vincevo qualcosa mi interessava tornare subito a nuotare e a vincere. Il mio allenatore mi diceva: 'devi aspettare, prenderti del tempo, devi desiderarlo ancora di più'. Io invece spingevo per tornare subito in vasca”. E i risultati gli hanno dato ragione.

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