La gara in acque libere di Dakar-Gorée è molto più che una competizione

Ha una vita abbastanza agiata Dinis Dias, ma ciò che più gli sta stretto è quel dovere accontentarsi di una quotidianità fattasi oramai monotonia mentre il mondo cambia. Dinis è un figlio del XV secolo, un’epoca segnata dalle spedizioni verso l’ignoto alla scoperta di terre nuove, ricca di novità geografiche. Intorno a sé Dinis avverte i presupposti di una vera e propria rivoluzione storica, anzi antropologica. E freme, ha voglia di partecipare, di essere della partita. È giovane e vigoroso e non può restare a guardare mentre la Terra Nota si amplia. E a chi gli chiede perché si agiti così tanto risponde che “non ce la fa più a vedersi invecchiare in uno stato di benessere e di riposo”. Mosso da questa eccitazione, Dinis prende il coraggio a due mani e in breve organizza un viaggio di esplorazione. Si auto investe del grado di capitano, acquista una caravella e – in compagnia di un manipolo di uomini, non tutti portoghesi come lui – punta dritto verso il nulla assoluto, in fondo al quale si cela la punta più occidentale dell’Africa. Nel 1445 Dinis si avventurerà oltre la foce in piena del fiume del Senegal e toccherà un punto della costa a circa 800 km a sud di Cabo Blanco. Là dove oggi è il margine occidentale della baia dei Levrieri. Scoprendo un’area ricca di rigogliosa e fitta vegetazione, alla quale darà nome di Capo Verde. Una penisola che oggi è parte del Senegal. Per arrivarvi era partito da un altro luogo scoperto un anno prima, il 1444, l’isola di Gorée, da lui ribattezzata ‘Palma’. Che, quando poi, nel pieno delle guerre coloniali, sarà conquistata dagli olandesi verrà rinominata ‘Goede Reede’, ovvero ‘la buona rada’. E tale rimarrà fino al 1° novembre 1677, data di arrivo dei francesi, ai quali per lungo tempo poi gli inglesi tenteranno di sottrarla, battagliando fino al 1802, quando verrà firmata la pace di Amiens. Così dal 1804 al 1817 l’isola di Gorée diventa territorio della Corona Inglese, prima di essere restituita alla Francia. Per ben tre secoli – suo malgrado – l’isola di Gorée si trova così al centro di una dolorosissima tratta di schiavi. Su quella rotta infatti vennero trasportati in catene migliaia di africani diretti soprattutto in America, al porto di St. Louis, punto di convergenza dei negrieri arabo-musulmani ed europei. Uomini sequestrati in Gambia, in Benin, in Ghana e nella Saint Louis del Senegal. Ma nonostante il grande traffico di galee e caravelle, sull’isola di Gorée non si fermarono più di 1500 soggiogati, almeno stando a quanto ci ha tramandato lo storico Philip D. Curtin, professore nella Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland. Ma tanto sarebbe bastato perché la casa a Gorée di Anna Colas Pépin, nipote di Anne Pépin, venisse ribattezzata la ‘Casa degli Schiavi’. Anna Colas Pépin era una donna d’affari euro-africana, figlia di Nicolas Pépin, membro di spicco e assai influente della comunità di Signare, che investì in terreni e edifici a Gorée in collaborazione con le autorità francesi. E proprio in quella casa fu ricevuto nel 1842 Francesco d'Orléans, principe di Joinville, in visita a Gorée nel 1842, una scena raffigurata dal celebre acquerellista Édouard Auguste Nousveaux. Dal 1978 Gorée è patrimonio mondiale dell’Unesco e tappa obbligatoria nei viaggi africani dei presidenti degli Stati Uniti. Barack Obama, visitandola, dirà che “Gorée è un testamento per capire cosa può succedere quando non siamo vigili nel difendere i diritti umani”. Il clima a Gorée è sereno, frizzante, ricco dell’allegria che portano i turisti sbarcati dai traghetti che si avviano più volte al giorno dalla piccola Gare Maritime de Dakar, vicina al porto commerciale della capitale senegalese. Su questo lembo di terra, che dista circa tre chilometri dalla costa della città, l’esperienza coloniale francese ebbe fine solo nel 1960. Da allora la ‘Maison des esclaves’ è meta di pellegrinaggio, set fotografico e oggetto di curiosità. Per la morbosità di quanti vogliono sapere di più su quel palcoscenico assurdo del ‘black holocaust’, il cui maggiore storico è Boubacar Joseph Ndiaye. Secondo il quale invece ben più di un milione di schiavi transitò da lì. Un dato ben differente, dunque, e anche più realistico, da quello ipotizzato da Curtin, e dunque più credibile e meno assolutorio. Una Casa dominata dalla austera presenza di un castello e non molto distante dal Relais de l’Espadon, antica residenza del governatore francese a Gorée, poi diventata un albergo e oggi abbandonata. L’aria che si respira a Gorée sa ancora di quell’incrocio prospero e viscido di funzionari e commercianti, di soldati e schiavisti che vivevano in una cornice da sogno nel ‘custodire’ un prezioso deposito di ‘ebano umano’ di sofferenze e lacrime. Sventurati ammassati in cunicoli oscuri che culminavano nella ‘Porta del non ritorno’. Era da lì, da quel trampolino sull’Oceano, che gli schiavi appena acquistati venivano lanciati sulle ‘negriere’ in attesa di affrontare l’Atlantico. Chi non era stato prescelto rischiava di trascorrere fino a tre mesi in quella ‘Maison’, messo all’ingrasso perché raggiungesse il peso sufficiente per potere affrontare la traversata senza eccessivi rischi. I ribelli e gli invendibili, sempre incatenati, venivano invece gettati in mare. Storia che si confonde con il mito, leggende e racconti sui quali ancora oggi dibattono gli esperti, narrazione tuttavia potente e stimolante. Il passato dell'isola così orribile che si scontra con il tratto di mare affrontato a nuoto e simbolo della determinazione umana. La ricorrenza Perché ogni anno, a settembre, il pensiero ritorna a quei tre secoli di orrore. Quando il Senegal si anima per ospitare uno degli eventi sportivi più attesi del Paese, la iconica traversata Dakar-Gorée in acque libere alla quale si iscrivono non meno di un migliaio di partecipanti. Una sfida lunga cinque chilometri tra la spiaggia della Voile d'Or e l'isola di Gorée. Una festa popolare che riunisce atleti, famiglie e spettatori, suddivisa in due categorie: un percorso lungo 5,2 chilometri per i nuotatori di club e un percorso di 4,5 chilometri per gli altri. C’è chi si allena tutto l’anno per poter essere in forma perché questa è la più grande sfida per i senegalesi. È una sorta di ‘classica’ ma è anche un modo per incontrare gente, per divertirsi un po'. La cosa più importante è arrivare alla fine: non capita tutti i giorni di attraversare a nuoto il tratto da Dakar a Gorée e la bellezza dell’impresa in fondo è arrivare a portarla a termine. Il direttore di gara storico è Biram Diop, che aiuta i meno esperti a pulire gli occhialini o foraggiarsi con qualche biscotto… “La Traversée à la nage Dakar-île de Gorée non è solo una gara di nuoto… È un omaggio a coloro che sono rimasti ribelli, rifiutando il loro destino di schiavi invece di nuotare verso la loro libertà, la loro resistenza e la capacità dello spirito umano di superare le avversità”. Annuisce al suo fianco Nicolas Haque, giornalista al seguito della manifestazione di quest’anno, “questo tratto di Oceano Atlantico che separa Dakar da Gorée è di importanza storica. L'isola era un importante snodo per la tratta degli schiavi africani, dove uomini, donne e bambini africani venivano catturati e imbarcati su navi dirette in America. Alcuni, incatenati, cercarono di fuggire e di raggiungere a nuoto la terraferma in acque infestate dagli squali”. Secondo gli organizzatori, l'evento rappresenta sempre ‘un buon palcoscenico’ per i giovani nuotatori, tanto più per quanti si preparano ai Giochi Olimpici Giovanili, che si terranno in Senegal nel 2026. “Questa traversata Dakar-Gorée è davvero emozionante ed è una sfida per tutti”, come afferma Lamine Ndoye, vicepresidente della Federazione Nuoto Senegalese. “È una buona iniziativa. Ora tocca al governo potenziare il settore del nuoto e promuovere maggiormente questo evento. Abbiamo visto nuotatori di tutte le età: ci sono bambini di 7 e 8 anni e persone di 65 anni. È un'attività positiva per la salute e l'economia dell'isola di Gorée”. Una richiesta accolta dai cenni di assenso da parte del presidente della FSNS, Magatte Dièye. Più che Dakar, con il suo traffico impressionante, le case in stile coloniale costruite dai francesi e i segni di una globalizzazione che si è insinuata ovunque, è proprio l’isola di Gorée a beneficiare in modo positivo di questa iniziativa annuale. Il sindaco dell'isola, Augustin Senghor ritiene “che in fondo è così che trasmetteremo ai nostri figli, ai nostri giovani, la memoria del nostro passato ma anche l'amore per il mare e la cultura del nuoto. Perché penso che in Senegal non dovremmo avere problemi a individuare... una piscina per giovani nuotatori, perché abbiamo il mare ovunque". Né a cercare lontano tracce del passato di resistenza al colonialismo aguzzino. La traversata Dakar-Gorée fu per questo inaugurata in omaggio alle vittime della schiavitù che, nonostante la resistenza, cercarono di nuotare verso la libertà. Ed è sempre stata un evento ricorrente, fatta eccezione per gli anni del Covid , tradizionalmente in calendario l'ultima domenica di settembre. Contribuisce a promuovere il nuoto in Africa occidentale e fa parte di una campagna globale di salvataggio contro gli annegamenti. Per tutti l’obiettivo finale è poter pronunciare la fatidica frase “J'ai fait Dakar-Gorée”. Nel corso degli anni il punto di partenza è cambiato allungando talvolta la distanza di gara fino ai 7 km. L'idea della traversata venne a un gruppo di giovani nuotatori, per lo più goreani, che volevano celebrare San Carlo, patrono di Gorée: Samba Ndoye, Ibra Kare, Hachim Badji, Mohamed Diop, Karim Thioune e Mbaye Ndiaye organizzarono così la prima traversata, il 15 ottobre 1985, nell'ambito dell'Anno Internazionale della Gioventù, con 30 nuotatori in gara su 3,5 km di distanza. Dopo una sospensione di 3 anni tra il 1990 e il 1992, l'organizzazione della gara ha deciso di aprirsi maggiormente agli amatori e il numero di partecipanti si è rapidamente moltiplicato. Nelle prime edizioni, i nuotatori partivano da una barca all'uscita del porto di Dakar. Oggi dalla spiaggia. E così, da un toccante ricordo di un periodo oscuro della storia umana, si è arrivati alla celebrazione della resilienza e della ricchezza culturale della diaspora africana. Alla traversata partecipano adesso nuotatori da tutto il mondo, attratti dalle sue condizioni impegnative e dal suo significato simbolico. La Dakar-Gorée Swim è una sorta di pellegrinaggio nel quale i partecipanti navigano nelle acque insidiose tra la terraferma e l'isola, immersi in un paesaggio plasmato da secoli di sofferenza. La nuotata è la testimonianza della capacità dello spirito umano di superare le avversità e di trovare speranza anche nelle circostanze più difficili. È immenso il peso storico che queste acque portano con sé. La traversata non è solo un passaggio di resistenza, ma un attraversamento di memoria, rispetto, fratellanza. Un omaggio al trionfo della giustizia, proprio mentre le bracciate vengono consumate di fronte al profilo di Dakar, dove ancora oggi colpisce il contrasto tra i quartieri destinati agli schiavi in partenza per le Americhe e le ville eleganti dei trafficanti. Per lo svolgimento della gara, l'ingresso e l'uscita dal porto di Dakar sono interrotti per quasi 4 ore. Solo le imbarcazioni della stazione marittima di Dakar effettuano più rotazioni per far scendere i 5.000 spettatori che accolgono i nuotatori all'arrivo. I trionfatori della traversata sono oramai delle autentiche stelle: dal vincitore delle ultime tre edizioni Ousseynou Diop, alla vincitrice 2025 Seynabou Cissé Ba al suo primo successo nella categoria femminile. Ai pluricampioni Samba Ndoye , Malick Fall, Adama Thiaw Ndir e le indimenticabili Zeïna Sahelí , Soda Camara o Yaye Diadou Diagne. Dallo schiavismo a una gara per la libertà che invogli giovane generazioni allo sport, il cammino è tracciato e procede spedito oramai da quarant’anni. Dice un proverbio wolof che “nessuna strada porta a un albero senza frutti”, neppure se è fatta d’acqua…

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La gara in acque libere di Dakar-Gorée è molto più che una competizione

Lucio Rizzica