Candido Cannavò, la storia del giornalismo sportivo su carta rosa

Sono passati già 16 anni ma il nome di Candido Cannavò resiste ancora nell’immaginario collettivo come il direttore della 'Gazzetta dello Sport', quotidiano di cui fu alla guida per diciannove anni consecutivi, dal 1983 al 12 marzo 2002. Prima di intraprendere la carriera di giornalista era stato atleta di fondo e mezzofondo a livello nazionale ma a soli diciannove anni, nel 1949, in un’Italia che stava faticosamente uscendo dalla tragedia del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, decise di fare del suo amore per lo sport il lavoro di una vita, iniziando a scrivere sulle colonne de 'La Sicilia'. Nel 1955 fu ingaggiato proprio dalla 'Gazzetta dello Sport' come corrispondente dalla sua Sicilia. Si fece notare subito per le sue capacità umane e professionali e iniziò una rapida scalata che lo portò prima alla nomina di inviato speciale e poi, nel 1981, a quella di condirettore. Due anni dopo, Gino Palumbo gli lasciò definitivamente il timone del quotidiano. Un’eredità pesante, anzi, pesantissima. Palumbo era stato decisivo nell’evoluzione del giornalismo sportivo italiano, di cui rivoluzionò contenuti e linguaggi dalla sua nomina alla direzione della 'rosea' nel 1976. Secondo lui occorreva rivoluzionare il modo di comunicare le notizie: stando tra la gente, coinvolgendo i lettori e abbandonando quella scrittura fin troppo tecnicistica di cui Gianni Brera era stato maestro. Palumbo decise di dedicare le pagine del quotidiano di via Solferino alla storia degli atleti, evidenziando di più il loro lato umano attraverso le interviste ai protagonisti più importanti. Un giornalismo popolare che doveva raccontare con semplicità i fatti per farsi comprendere più facilmente dai lettori. In Italia, con Palumbo, s’impose un giornalismo popolare che ricordava quello inglese, sebbene non fosse incentrato e ossessionato dal pettegolezzo e dagli 'scandali di corte'. Palumbo rivoluzionò anche la grafica della 'Gazzetta dello Sport', con la prima pagina trasformata nella vetrina del quotidiano e l’impiego di grossi titoli di impatto immediato e facile interpretazione. Questa nuova linea editoriale fece volare la 'rosea' nel mercato editoriale, salendo al primo posto per vendite e numero di lettori. La tiratura salì rapidamente da 160.000 a 320.000 copie di vendita media giornaliera, mentre il numero di lettori medi passò da un milione e duecentomila, nel 1975, a oltre tre milioni nel 1983, facendo della Gazzetta il primo quotidiano nazionale. Il 12 luglio 1982, giorno successivo alla vittoria dell’Italia ai campionati mondiali di calcio contro la Germania, la Gazzetta batté ogni primato stampando quasi un milione e mezzo di copie, saturando tutte le possibilità produttive delle proprie rotative. Cannavò considerò sacra la linea editoriale del suo predecessore e la rafforzò, lasciando costantemente il quotidiano al primo posto del mercato editoriale italiano. Divenne molto popolare l’intervista della domenica ai personaggi del mondo dello spettacolo sulla partita più importante del campionato di serie A. I lettori apprezzarono i suoi editoriali così autorevoli e appassionati dove, di fronte alle imprese sportive più belle, non disdegnò un linguaggio anche epico. Contemporaneamente fu rigoroso e inflessibile sugli aspetti immorali dello sport, come il doping e il calcioscommesse. Non esitò a titolare: “Juve, nascondi quella coppa!”, all’indomani della vittoria dei bianconeri contro il Liverpool nella tragica serata dello stadio Heysel. Jury Chechi, il 'Signore degli anelli', ricorda spesso che ad Atlanta 1996, dove vinse la medaglia d’oro, Cannavò gridò: “He’s my son!”, “E’ mio figlio!”, pur di superare i controlli di sicurezza e abbracciarlo prima della premiazione. La 'Gazza' fu la sua seconda casa e gli italiani lo amarono pure per le sue appassionate apparizioni in tv che gli valsero anche una celebre parodia di Maurizio Crozza nel programma 'Quelli che il calcio'. Cannavò amò il ciclismo più di tutti gli altri sport e, come tutti gli italiani, si appassionò per le straordinarie imprese di Marco Pantani. 'Il Pirata' gli procurò gioia ma anche tanto dolore, nel 1999, per la sua squalifica dal Giro d’Italia per doping. Il direttore si sentì doppiamente tradito perché Pantani fu per lui un figlio, “una verità scolpita nella leggenda”. Non fu un tifoso di calcio, ma ebbe una grande amicizia con Giacinto Facchetti e con il presidente dell’Inter Massimo Moratti, con il quale si confrontò spesso sul mondo della solidarietà. Il 12 marzo 2002 lasciò la direzione a Pietro Calabrese. Cannavò, oltre alle grandi doti di giornalista, si distinse anche per il suo impegno sociale, a partire dai problemi sulla sua amata Sicilia e, dopo aver lasciato la direzione della Gazzetta, si appassionò alla storia dei detenuti e delle guardie carcerari, oltre che della realtà delle persone affette da disabilità. Entrò nella sezione del penitenziario milanese di San Vittore e raccontò vite straordinarie di persone comuni. Il 22 febbraio 2009 ci lasciò improvvisamente, all'età di 78 anni, dopo essere stato ricoverato per alcuni giorni all' Istituto clinico Santa Rita di Milano in seguito a una improvvisa emorragia cerebrale. Un mese dopo la sua scomparsa, il suo amato quotidiano decise di intitolargli la stanza del direttore. Il 2 gennaio 2010 il comune di Castellania, in provincia di Alessandria, paese natale di Fausto Coppi, a cinquant’anni dalla morte del mitico corridore italiano, gli dedicò il nome di una piazza, in ricordo del suo grande amore per il ciclismo.

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Candido Cannavò, la storia del giornalismo sportivo su carta rosa

Tommaso Liguori