Perché il 'movimento' Italbasket non si misura a Riga

La qualificazione della nazionale italiana agli ottavi di finale, fino a ieri oggetto di spasmodico interesse, oggi è già nel dimenticatoio. Il tema è stato infatti rimpiazzato nel ciclo narrativo dalla curiosità per l'accoppiamento. Una volta stabilità l'avversaria dell'Italia, argomento principe diventerà il pronostico della gara a eliminazione diretta, il cui esito manderà a sua volta il valore percepito degli azzurri in orbita o a picco. Una parte di questo processo è insita nella natura di Eurobasket, specialmente man mano che ci si avvicina alla fase knockout. Un'altra, però, ha a che fare con l'abitudine a considerare il risultato dell'ultima gara giocata come l'unico metro di giudizio. Non solo e non tanto della squadra, ma di una fantomatica e mitologica creatura chiamata ‘movimento’. Un vezzo al quale molti, anche fra chi ha responsabilità importanti, indulgono. Salvo poi deprecarne le conseguenze non gradite. Le abitudini però, e anche le coazioni a ripetere, si possono cambiare. Senza voler costringere chicchessia ad abbandonare i propri riflessi condizionati, invito a ragionare su un paio di questioni. La prima ha a che fare con il senso complessivo della manifestazione. Il torneo prevede cinque partite per girone per eliminare un terzo delle squadre. Quella tra le sedici superstiti che vince quattro gare diventa invece campione continentale. Nessuno vuole sostenere che si vinca per fortuna o per accidente. Allo stesso modo, però, la classifica da 1 a 16 non è una sentenza definitiva sul valore delle squadre, e men che meno dei ‘movimenti’. L'eliminazione diretta su gara secca è una gran cosa in termini di emozioni e di divertimento, ma la sua brutalità permette solo di vivere altri dieci giorni di bella e crudele pallacanestro. Il resto va valutato nelle sedi competenti, che richiedono tempi e approcci diversi. Per questo ritengo che, coscienti o incoscienti che siano, gli sforzi di epicizzare, banalizzare, sopravvalutare e sottovalutare risultati e comportamenti sia fuori luogo. Qualsiasi vizio o virtù della pallacanestro italiana non muterà a seconda che la nazionale a Riga giochi una partita o che ne vinca quattro. Non è relativismo, né cerchiobottismo, ma semplice senso critico. Chiaro, un buon risultato sarebbe una bella e importante iniezione di entusiasmo, così come una sconfitta prematura rappresenterebbe un ideale secchio d'acqua gelata su quell'entusiasmo. Parigi 1999, Stoccolma 2003 e Atene 2004 non hanno però trasformato il ‘movimento’ dal brutto anatroccolo che non è al cigno che non sarà . Quelle vittorie sono splendidi ricordi per chi le ha ottenute e ottimi esempi per chi studia la materia. Nulla di più, nulla di meno. Non deciderò quindi a Riga, a seconda del punteggio di una partita, se l'Italbasket ha sconfitto gufi e disfattisti, ha gettato un cuore immenso oltre all'ostacolo o ha perso un'occasione irripetibile contro avversarie modeste. Invece che al risultato, con relativa collettivizzazione della vittoria e privatizzazione della sconfitta, guarderò alle piccole cose, le uniche che si possono migliorare in una ‘rumba’ del genere. È un'eccellente notizia, ad esempio, che giocatori con poca esperienza, non solo Niang e Diouf, si siano conquistati spazi importanti grazie agli allenatori e ai compagni. Allo stesso tempo, se l'Italia vanta il 14° attacco della manifestazione in termini di punti per possesso esiste un problema tecnico conclamato. Nessuno può risolverlo in due giorni, a partire dallo staff tecnico . Alcuni errori concettuali, però, sono stati ripetuti troppe volte a Limassol. In Lettonia mi aspetto uno sforzo collettivo in campo e in panchina, senza limitarsi alla lettera del proprio ruolo. Basterà per un grande risultato? Non lo so, e a dirla tutta neppure mi interessa. Per noi di Sky Sport, abbonati inclusi, Eurobasket finisce comunque il 14 settembre.

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Flavio Tranquillo