Perché dobbiamo tutti ringraziare Marco Belinelli

Il posticipo di lunedì 8 dicembre ha chiuso la giornata numero 10 di Serie A: è stato il match che ha permesso alla Virtus Bologna di agganciare Brescia in testa alla classifica battendo Tortona ma, soprattutto, è stata la #BeliNight. Una serata di celebrazione alla Virtus Arena, un “Grazie Beli” partito dai 10mila di Via della Costituzione e arrivato in tutte le case d’Italia. Marco Stefano Belinelli da San Giovanni in Persiceto, cresciuto nelle giovanili della Virtus Bologna, una delle cantere più forti d’Italia, soprattutto nella generazione di quelli nati negli anni ‘80. Belinelli è un cinno che nasce dalle 'Vu Nere', che vince campionati giovanili e diventa più volte Mvp delle competizioni di categoria. Perché, soprattutto da piccoli, chi ha talento si scopre subito. È già professionista dal 2001 con la Virtus di Ettore Messina e Manu Ginobili, passa alla Fortitudo nel 2003 e vince il suo primo scudetto nel 2005, quello del tiro di Ruben Douglas. Attraversa l'oceano, spende 13 anni in NBA - tra Golden State, Toronto, New Orleans, Chicago, San Antonio, Sacramento, Atlanta e Philadelfia - e poi il ritorno, ovviamente a Bologna, per chiudere un cerchio, alla Virtus Segafredo. Chiudere e vincere. Perché questa è un po’ la storia di Belinelli, e in generale dei vincenti: veni, vidi, vici. Ma, ancor più importante, ama. “Ciò che conta è amare questo sport come ho sempre fatto io, fare sacrifici e credere sempre e comunque nei propri mezzi. Penso che questa sia la cosa più importante. E il consiglio che posso dare ai giovani”, ha dichiarato a Sky Sport proprio in occasione della Beli Night. Certo, è altresì importante rispettare il gioco, l’avversario e le persone, al punto da essere rispettati dentro e fuori dal campo. Questo è quello che la maggioranza chiama 'Legacy'. “Beli per me è stato un grande esempio soprattutto per quanto riguarda la sua capacità di adattarsi alle varie situazioni, perché lui nasce come stella in Italia ma si è ritrovato tante volte in situazioni che non erano facili, dove magari doveva giocare meno, poi si è ritrovato a giocare di più, poi in quintetto, poi a fare panchina e questo è difficilissimo da atleta. Ha appassionato questo sport, ha fatto stare sveglie generazioni intere di notte per vederlo giocare in NBA, ha raggiunto il sogno di tutti quelli che iniziano a giocare, l'ha realizzato e lo ha fatto soprattutto attraverso la passione”. Parole di Andrea Bargnani, che con Beli ha condiviso gli anni in azzurro e quelli a Toronto al di là dell’oceano. Il Mago ha centrato un’altra caratteristica 'Belinelliana': la capacità di adattarsi. E adattarsi, nel suo caso, vuol dire capire e poi riuscire. Ce l’ha insegnato lui nel 2014, abbracciando il Larry O'Brien Trophy: “Alla fine ho vinto”. “Beli è il capitano ideale, generoso, non parla mai a sproposito. Come è selettivo nelle sue amicizie, nelle sue frequentazioni, lo è altrettanto nel modo di porsi, però è una persona speciale, sa catturare l'attenzione”. Lo dice Luca Banchi, attuale Ct della Nazionale e suo allenatore in Virtus prima dell’era Ivanovic. Ha sempre saputo stupire con cose che a lui risultavano semplici, che per noi comuni mortali invece erano l’apoteosi. Come quella volta che fece un 360° in schiacciata in maglia ClimaMio Bologna, prima la città, tutta Italia poi a bocca aperta davanti alle prodezze di quel ragazzino che volava in campo. Quello era il Beli del 2006, 19 anni fa. Forte, atletico, sfacciato. Il Beli del 2025 è diverso. Sempre forte, più maturo, uomo dentro e fuori dal campo. “Quando mi rifiutavo di mangiare lui mi è stato molto vicino, mi diceva ‘mi raccomando mangia, mi raccomando bevi’, che sono le cose più importanti in questo momento, mi è stato accanto come fosse un fratello maggiore”, ha raccontato Achille Polonara sempre durante la Beli Night. Dopotutto, dopo 24 anni di carriera tra Serie A, NBA, Eurolega e ritorno, il succo è sempre quello e non riguarda solo i 28x15 metri del parquet. Per Marco Belinelli sarà sempre un veni, vidi, vici. Et ama. Perché quando hai 10.000 persone a cantare per te, un popolo italiano che veste ancora la tua maglia e i bambini che urlano il tuo nome mimando un tiro da tre, allora sì che hai costruito la tua legacy. E forse il Belinelli del 2014 non l’avrebbe detto, forse nemmeno quello del 2001, allora nel 2025 lo facciamo noi: “Alla fine hai vinto”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Perché dobbiamo tutti ringraziare Marco Belinelli

Giulia Cicchinè