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Corcione: "Il calcio italiano non è l'Italia"

Calcio

Massimo Corcione

Dopo il doppio confronto contro la Svezia, è ripartito il campionato con una certezza: la distanza tra una Nazionale che non parteciperà al prossimo Mondiale e il livello tecnico della Serie A. Massimo Corcione ci spiega quali sono state queste differenze 

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Mentre il calcio italiano prova a inseguire (con grande fatica) una nuova dimensione e una nuova credibilità, il campionato bussa violentemente alla porta e, dal campo, dimostra quanto sia stata distante la nazionale dal livello tecnico dominante. Siamo alla rivalutazione totale della vecchia serie A, i tempi in cui era celebrato come il torneo più bello d’Europa (e quindi del mondo) sono molto meno lontani di quanto non apparisse solo qualche stagione fa.

Uno dei simboli di questa restaurazione è Lorenzo Insigne, da Frattamaggiore: si identifica totalmente nel Napoli, interpreta con naturale spontaneità la parte del talento italiano, lui che nella partita della verità contro la Svezia non fu schierato neppure per un minuto. Una scelta che distrusse una potenziale attenuante: la colpa non può essere ascritta solo ai 246 stranieri che popolano le formazioni di A. Oggi la catastrofe (copywriter Carlo Tavecchio) è diventato un altro argomento utilizzato come capo d’accusa nel processo popolare istruito contro presidente federale e commissario tecnico, i due imputati per la solenne bocciatura, l’esclusione dalla coppa del mondo sessant'anni dopo il fallimento del 1958. Ventura è stato già condannato: l’esonero è una sentenza senza appello, ma è anche la soluzione più scontata e più ricorrente nel calcio. Ha pure una sua logica: per tutta la durata del girone eliminatorio il gioco proposto dal campionato e quello proposto dall'Italia sono sembrati sport diversi, sicuramente è stata diversa la gestione delle partite: nulla di ciò che viene insegnato, provato, attuato, modificato nei centri d’allenamento delle squadre di club ha mai trovato diritto di cittadinanza quando c’è stato da combattere in nome della Patria.

Il Napoli, l’Inter, la Roma, la Samp e pure la Juventus (nonostante le due sconfitte e una distanza insolita dalla vetta) praticano tutte le declinazioni del gioco senza che nessuna sia mai stata applicata quando si è giocato per qualificarsi al mondiale. Difficilmente si parlerà di tecnica e di tattica nei consigli che certificheranno l’ingovernabilità del mondo che ruota intorno al pallone. Non potrà essere ufficializzato l’incarico ad Ancelotti e probabilmente non si discuterà neppure di metodi e sistemi per rifondare le strutture di comando. Per fortuna ci sono allenatori e calciatori che con le loro squadre ancora ci divertono. Anzi, ora che si torna in Europa, hanno tutti un motivo in più per vincere: dimostrare che il calcio italiano non è l’Italia. Anche se questo rende tutti più tristi.