Robinho da stella nascente a stella caduta: com'è la sua vita in carcere

Il ‘Complexo Penitenciário de Tremembé’ si trova nell’interno dello Stato di São Paulo, in Brasile, a circa un paio d’ore dall’aeroporto internazionale di Guarulhos, lungo la direttrice di São José dos Campos. La sua intestazione completa è ‘Penitenciária Doutor Tarcizo Leonce Pinheiro Cintra’, meglio conosciuta come ‘P1 de Tremembé’ o ‘Penitenciária 1 da Vale do Paraíba’. Comunque la si voglia chiamare, rimane sempre un carcere di massima sicurezza super-affollato e relativamente moderno, inagurato il 22 novembre del 1990, riservato a soli detenuti di sesso maschile e unico nel suo genere in questa regione del Brasile. E’ di fatto il settimo complesso penitenziario più grande dello Stato, potendo contare su ben 38.940 metri quadrati di superficie disponibile. Di molto inferiore al maggiore in assoluto, che rimane il carcere femminile di ‘Sant’Ana’, nella capitale, che addirittura misura 108mila metri quadrati di aree costruite. Il ‘P1 de Tremembé’, tuttavia, non manca di nulla: sei padiglioni, un settore rieducativo e di lavoro, un’area mensa e parlatorio, un’area scolastica, una ricreativa, un magazzino, una zona di sviluppo e le aree riservate agli agenti federali. Ma nonostante tutto questo spazio, e una ‘clientela selezionata’ ci sono più detenuti che posti disponibili. Ad oggi nel ‘Complexo Penitenciário de Tremembé’ si trovano quasi 1.500 reclusi, all’incirca 700 in più di quanti la prigione potrebbe contenerne. E diventa difficile persino l’inserimento di un nuovo detenuto, che segue sempre lo stesso iter: una permanenza da 10 a 30 giorni in una prima cella di isolamento, dopo aver ricevuto gli abiti da recluso ed essere stato sottoposto alla rasatura dei capelli, quindi l’attribuzione del posto nel padiglione a seconda del livello di pericolosità. Più è alto il numero del padiglione più è elevata la pericolosità del soggetto. I padiglioni non possono comunque comunicare fra loro. Infine, l’inserimento nelle celle di 9 metri quadrati ognuna, ovviamente in compagnia di altri reclusi, ma sotto regime di osservazione per altri venti giorni. E’ lo stesso ‘percorso di ambientamento’ al quale tutti vengono indirizzati e al quale - proprio un anno fa - venne sottoposto anche Robson De Souza Santos, detto ‘Robinho’, pupillo prediletto di Pelé - che lo portò al Santos nel 1996 all’età di dodici anni - e vincitore di una Coppa America e due Confederations Cup, per 108 partite stella anche del Milan , oggi semplice carcerato con matricola e routine rieducativa. Sì, è passato un anno da quel 22 marzo 2024 in cui la Polizia Federale lo ha arrestato dopo il rigetto della richiesta della difesa, da parte del giudice della Corte Suprema , di sospendere l’esecuzione di una condanna a nove anni per stupro, comminata al calciatore dal tribunale di Milano nel 2017 e che - per decisione della magistratura brasiliana - Robinho sta scontando nel suo Paese. Quando gli agenti lo hanno raggiunto, il campione si trovava nella sua villa di Guaruja, sul litorale paulista, era con la famiglia. Forse non si attendeva che gli eventi potessero precipitare così drammaticamente per lui. Nato a São Vicente, cresciuto a Santos, per la prima volta fu costretto a guardare quei luoghi con altri occhi. La Delegacìa sbrigò tutte le formalità in poche ore, poi il giudice Fux -che era di turno al momento della presentazione dell’istanza d’urgenza di scarcerazione da parte dell’avvocato José Eduardo de Alckmin, per poter presentare il ricorso una volta lette le motivazioni della sentenza - bocciò il documento, convalidando l’immediata carcerazione di Robinho, tornato in Patria dall’Italia. E libero da diverso tempo, nonostante la pendenza con la giustizia ancora da scontare. Un peso di sicuro - nella decisione - lo ebbe proprio questo rientro in Brasile del calciatore, ormai ex, ben cosciente di essere uccel di bosco dopo la condanna definitiva in Italia grazie al divieto di estradizione concesso dal Brasile ai propri cittadini. La condanna si riferiva a fatti risalenti al 2013, dopo la denuncia di una giovane albanese conosciuta in una discoteca di Milano, ritenuta in sentenza ‘incosciente’ a causa dell’abuso di alcool e facile preda di Robinho e di altri quattro complici. Tutti gli imputati si erano invece difesi definendo la vittima consenziente e cosciente. I sette anni trascorsi tra la condanna e l’arresto avevano fatto il resto, pesando non poco sulla decisione del giudice Fux, che condì la sentenza con la frase: “Robinho dev’essere arrestato in modo che possa cominciare a scontare la pena”. Era la sera del 21 marzo 2024. Si era in un’aula fredda del Tribunale Supremo Federale. Il tempo di Robinho era scaduto. Ma un occhio di riguardo quel giudice lo mantenne, decidendo di inviare Robinho a scontare la pena a Tremembé, per tutti diventato da tempo ‘il carcere dei famosi’, con la sua ‘Penitenciária 2 - Dr. José Augusto Salgado’ annessa al ‘Complexo’. E’ qui che la giustizia brasiliana ha riunito nel tempo i principali protagonisti della cronaca nera, ma già anche del gossip e dei delitti mediatici, autori di crimini clamorosi e per questo un po’ più noti dei poveri disgraziati che quotidianamente arrivano in manette davanti ai magistrati. Dall’ex poliziotto killer Ronnie Lessa all’infanticida Alexandre Nardoni, dall’imprenditore Fernando Sastre ai diabolici Suzane Richtofen e Cristian e Daniel Cravinhos che trucidarono Manfred e Marìsia Richtofen, dal sequestratore e femminicida Lindemberg Alves al parricida Gil Rugai, dall’assassina Anna Carolina Jatobà all’uxoricida Elize Matsunaga, per le quali è aperta un’ala femminile. Tutta brava gente. A Tremembé, strano destino e strano paradosso, fu rinchiuso per un certo periodo di tempo anche l’ex portiere di calcio Edinho, figlio proprio di Pelé, arrestato e condannato per traffico di droga e riciclaggio di soldi, poi scarcerato nel 2019. Da allora il carcere di Tremembé è cambiato, adesso si possono studiare inglese, teatro, religione, musica, tenere attività pratiche. E ci sono imprese esterne che contattano la prigione in cerca di mano d’opera industriale e commerciale, gestite dalla Funap . Ci si può rifare una vita. Ma certo non è un club esclusivo. Robinho, i cui nuovi ricorsi a novembre e a febbraio presso il Supremo Tribunal Federal sono stati ancora respinti, non potrà lasciare il carcere neppure in semilibertà e prima di poter eventualmente accedere a un regime più blando, dovrà attendere - per una nuova richiesta - il 2026. Intanto ogni giorno scopre nuovi ‘clienti’ della ‘‘Penitenciária 2’, come il medico violentatore Roger Abdelmassih che abusò di trentanove pazienti sedati o Jaqueline Moraes che assassinò il marito con cinquantasei pugnalate. E la cosa non è entusiasmante, specie, se per trascorrere il tempo, in prigione ci si affida a una sorta di ‘Tinder’ artigianale. Robinho e gli altri detenuti, infatti, si sono organizzati con una sorta di messaggeria per mettere in collegamento l’ala femminile con l’ala maschile, distanti fra di loro circa cinque chilometri. Tra le due strutture ci si organizza per organizzare ‘incontri privati’ scambiandosi foto e descrizioni. E’ un modo per far passare giornate lunghissime in celle che nel P2 misurano fra gli 8 e i 15 metri quadrati, quando aggiustare radio ed elettrodomestici o leggere libri non basta più. E parlare con medici, politici e altri ‘delinquenti eccellenti’ finisce solo con il rimestare la minestra di un futuro a breve termine ristretto fra quattro mura marce. La difesa di Robinho continua a sostenere che la decisione dei giudici di omologare la sentenza italiana sia del tutto incostituzionale e a insistere per una revisione del provvedimento da parte della Corte Suprema, ma al momento non ci sono spiragli. Del resto le conclusioni del Pm Stefano Ammendola sembrano chiare: la notte di quel 22 gennaio 2013, Robinho avrebbe fatto bere la 23enne albanese al punto da renderla incosciente e lui e i suoi ‘complici’ l’avrebbero poi violentata a turno senza opposizione in un guardaroba di un locale della movida milanese, dove la giovane festeggiava il suo compleanno. Nella sentenza, le cui motivazioni sono uscite ma pare che solo i difensori di Robinho non le abbiano lette, si legge che sono evidenti “particolare disprezzo e brutale umiliazione nei confronti della vittima”. Il processo si era chiuso in primo grado nel 2017 e nel 2020 erano state pubblicate sui media brasiliani delle intercettazioni, che avevano indotto il Santos - il 10 ottobre - a rescindere il contratto col giocatore. Nel 2020 la sentenza italiana era infatti diventata definitiva in Corte di Cassazione. Non sembra - a ben vedere - che per Robinho si prepari un futuro migliore del passato recente e dell’ultimo Natale vissuto in cella. Robinho è dal marzo 2024 a Tremembé, nove giudici su undici hanno deciso che fosse giusto così. Non possiede i requisiti per un congedo, non può per ora fare altro che adattarsi a una realtà che per ‘l’erede designato di O’Rey’ è tutt’altro che onorevole. Prova a consolarlo Vinìcius Nunes, che ha ucciso il fratello e ha incontrato la Moraes dopo un appuntamento al buio : “se riesci a organizzarti anche qualche appuntamento passa prima, anche se Jaqueline non era come in foto, mi ha fregato, è più grassa”. Al massimo queste storie di rendez-vous ‘consentiti’ aiutano a sorridere un po’. Ma Robinho non si sente come Nunes, non si sente come gli altri. Sa di avere sbagliato, ma nove anni sono lunghi da passare e a volte gli sembra quasi di impazzire. E il personale di sicurezza che fa da ruffiano e messaggero - a dire la verità - non gli è neppure simpatico. L’unico momento di felicità è offerto dall’ora d’aria , nella quale ci si può dimenticare di dover dividere lo spazio della cella con assassini, stupratori, rapitori, seviziatori e politici corrotti. I 400 e più reclusi del padiglione delle celebrità si riversano allora nel campetto alle spalle dell’area di pertinenza delle Guardie Federali. E’ lì che il Dna di Robinho, quello che non è mai stato riscontrato sulla vittima e che gli fa protestare la propria innocenza torna fuori prepotente. Smette i panni del radiotecnico e dell’archivista/bibliotecario e torna ad essere un funambolo con la palla tra i piedi. Dopo un anno di carcere non ha perso il suo smalto. Anche se alla prima partitella ha un po’ esagerato con i doppi passi e le finte e lo hanno bruscamente falciato. Andando a terra fra ghiaia e polvere avrà di sicuro ripensato all’erba morbida calcata in carriera, alle ore di giardinaggio alle quali si è iscritto in carcere e ai ’10 moduli del programma di educazione al lavoro e alla cittadinanza’ appena completati per ottenere punti in buna condotta. Forse è anche per quello che avrà guardato il campo con l’occhio di un esperto, mentre si alzava senza protestare. Un ‘battesimo’ va sempre accolto con intelligenza e ci si deve adeguare. Per ogni 12 ore di lavoro si riduce la pena di un giorno, ogni giornata da ‘buono’ avvicina alla semilibertà. E la semilibertà renderebbe più sopportabili i prossimi anni. Anche per la famiglia. A Tremembé vengono a trovarlo solo i parenti di primo grado. Oggi ha 41 anni, divide la cella con un ventunenne che ha indotto un coetaneo ad auto mutilarsi e a suicidarsi. Gli fa paura quel mondo che c’è fuori. Specie ora che non può essere vicino a Robinho jr. Il figlio 17enne che una volta al mese va a trovarlo e gli porta cibo, indumenti, giochi da tavolo, materiale per scrivere e riviste. Mario Rosso, il suo nuovo avvocato dice che “tiene la testa bassa e procede con calma. È un detenuto esemplare e non ha avuto problemi con gli altri detenuti. Si tiene impegnato”. Binho non si dà pace, ma la verità processuale dice che è colpevole. Robinho era una ‘stella nascente del calcio brasiliano’ che venti anni fa era ritenuto tra le più grandi promesse del panorama calcistico mondiale, insieme a Lionel Messi e Zlatan Ibrahimović e considerato uno degli attaccanti più forti del pianeta. L’indolenza, la scarsa propensione al lavoro, il disordine tattico hanno fortemente limitato il suo enorme potenziale. Un anno dopo il suo arresto e l’ingresso a Tremembè, credo abbia compreso che prima del 2033 non verrà liberato. Saranno il rigore, il lavoro e la costanza a restituirgli la libertà. Un contrappasso. Da famoso al carcere dei famosi. Da stella nascente a stella caduta.

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Robinho da stella nascente a stella caduta: com'è la sua vita in carcere

Lucio Rizzica