El Cuervo è volato via: la storia del legame tra Papa Francesco e il suo San Lorenzo

Incastonato fra i quartieri di Villa Santa Rita e Villa Gral, Mitre, Caballito e Parque Chacabuco, Nueva Pompeya e Villa Soldati, Parque Avellaneda e Floresta, sorge il barrio Flores, quartiere centrale di Buenos Aires nel quale il 17 dicembre 1936 nacque Jorge Mario Bergoglio. Un agglomerato urbano sviluppatosi tutto intorno alla piccola chiesa di San José edificata sui terreni donati da Juan Diego Flores, dove venne poi istituita la parrocchia di San José de Flores. Partido autonomo della provincia, annesso al territorio della Città Autonoma di Buenos Aires solo il 14 ottobre del 1888 sviluppatosi lungo l’importante avenida Rivadavia, che attraversa tutta la capitale argentina e costeggiato dall’autostrada 25 de Mayo. Jorge, figlio di una famiglia appartenente alla piccola borghesia, aveva origini per metà piemontesi e per metà liguri. Ascendenze da un lato provenienti dall’astigiano, collocabili fra Monciàir, Montechiaro d’Asti, per parte di bisnonno e Bricco Marmorito di Asti, una frazione di Portacomaro, per parte di nonno. Dall’altro a cavallo fra la savonese Piana Crixia, una nonna, e Santa Giulia di Centaura a due passi da Lavagna, nel genovese per parte di nonno materno. A mettere tutti d’accordo pensava l’altra nonna, di radici vagamente alessandrine. Educato, studente di chimica, appassionato di sport, prese presto a seguire il padre Mario, ex giocatore di basket e tifoso del San Lorenzo de Almagro. All’età di quasi dieci anni, assieme al papà e ai fratelli Alberto e Oscar, assiste a un incontro di calcio del club de ‘Los Cuervos’ all’Estadio Viejo Gasómetro, nel barrio di Boedo - uno dei 48 barrios della capitale - proprio al confine tra Caballito e Parque Chacabuco, giusto all’incrocio fra Inclàn e Las Casas. Una struttura datata, inaugurata trent’anni prima, nel 1916, tutta in legno e ferro, dove oggi sorge un supermercato. Fu quello un giorno magico per José, che si innamorò per tutta la vita dei colori blu e rosso. Non solo perché la sua famiglia condivideva quella devozione, ma perché su quegli spalti antichi scoprì il misticismo dei tifosi, la fede di coloro che ogni settimana scommettevano il cuore sull'esito incerto di una partita. Da allora, da quel dì, da quel campionato vinto dal suo amato San Lorenzo, José incominciò a crescere fra preghiere e gol, tra messe e grida di vittoria o di rassegnazione. Il San Lorenzo non era solo una squadra: era una casa, un'estensione della propria identità. L’identità di un niño al quale piaceva rincorrere il pallone di stracci. Il cuoio all’epoca era costoso. E nonostante tutto era difficile permetterselo. Ma bastava un pallone di stracci perché i ragazzini del quartiere si divertissero e quasi facessero miracoli giocando nello spiazzo polveroso vicino a casa. A José piaceva giocare al calcio, ma non era tra i migliori; anzi, era quello che in Argentina chiamano pata dura . Per questo lo facevano sempre giocare come portiere. Quelli come lui era quasi come se avessero due piedi sinistri. Ma lui si consolava guardando quasi tutte le partite casalinghe del campionato del 1946, che il San Lorenzo avrebbe vinto pochi giorni prima del suo decimo compleanno, trascinata dal suo giocatore preferito. Che non avrebbe mai dimenticato. Negli anni a venire avrebbe eletto Pelé migliore di sempre e Maradona ‘poeta del calcio’, ma nessuno avrebbe mai sostituito nel suo cuore il centravanti di quel San Lorenzo de Almagro della sua infanzia: René Alejandro Pontoni, il cannoniere che trascinava ‘El Ciclón', il suo idolo. Leader di una linea di attaccanti irripetibile nella memoria fantastica di un ragazzino. Altro pronipote di italiani emigrati, figlio di Hermenegildo Pontoni e Lucìa Scarafìa, orfano a soli quattro anni in una Santa Fé depressa, in un barrio - La Facultad - che offriva poco o nulla. Il lavoro a dodici anni e intanto il calcio grazie al fratello Juan Alberto, che lo portò con sé al Gimnasia y Esgrima. Poi il debutto nella sexta division, l’abbandono a causa delle difficoltà economiche, l’officina, il club che lo prega di tornare a giocare riconoscendone il talento. Infine l’esplosione, dopo una rigida cura dimagrante - aveva una forte tendenza a ingrassare se rimaneva inattivo - fino all’approdo al San Lorenzo nel 1945, del quale diventò un punto di riferimento insieme ai vari Farro e Martino. Di quel San Lorenzo Jorge Bergoglio imparò a memoria la formazione e non la dimenticò più. Crescendo fece il lavapavimenti nella fabbrica di calze dove suo padre lavorava come contabile, il buttafuori e, dai 14 ai 19 anni, lavorò in un laboratorio chimico, quindi entrò in seminario. Ma settant’anni dopo ricordò ancora perfettamente quella poesia che lo aveva incantato a dieci anni: Blazina, Vanzini, Basso, Zubieta, Greco, Colombo, Imbelloni, Farro, Martino, Silva... I Magnifici Dieci. E poi... c'era Pontoni. René Alejandro Pontoni, il centravanti, il marcatore del San Lorenzo, quello che trascinava il ‘Ciclón’, il suo preferito. Del San Lorenzo aveva anche la tessera nr. 88.235. E nell’Estadio Nuevo Gasómetro oggi c’è una statua di Papa Francesco. Perché quel pata dura era un seguace del club fondato nel 1908 da un sacerdote, padre Lorenzo Massa. Perché da bambino, mentre giocava nei potreros delle villas miserias di Buenos Aires, il giovane Bergoglio sognava l'attacco delirante di Rinaldo Martino, René Pontoni e Armando Farro, una linea offensiva che recitò per tutta la vita come recitò il Santo Rosario. Con quasi la medesima venerazione. Alternando in privato la veste talare, la mozzetta e la fascia bianca alla sciarpa con i colori de ‘los cuervos’ a cingergli il collo. E se tutto andrà secondo i piani, il nuovo campo del club gli sarà intitolato, cosa che ha confessato tempo fa di non gradire. Ma vallo a dire ai cuervos… "Non è mai stato solo uno di noi, ma sarà sempre uno di noi. Cuervo da bambino e da uomo... Cuervo da sacerdote e cardinale... Cuervo anche da Papa... Ha sempre trasmesso la sua passione per il Ciclón: quando andava al Viejo Gasómetro a vedere la squadra del ‘46, e poi quando cresimava Angelito Correa nella cappella della Ciudad Deportiva, quando riceveva le visite azzurre e granata in Vaticano, sempre con totale felicità..." , ha pubblicato il San Lorenzo sui social network. Del resto per José Bergoglio la passione sportiva è diventata la chiave per entrare in confidenza con gli altri. Un terreno comune al quale far riferimento per rendere ancora più immediati ed efficaci i propri insegnamenti. Diceva: “Per risolvere i problemi della vita bisogna guardare in faccia la realtà, pronti, come il portiere di una squadra di calcio, a parare il pallone da qualunque parte arrivi” . Ricordando, come nel videomessaggio in occasione dell’apertura degli ultimi mondiali, che “lo sport non è solo una forma d’intrattenimento, ma anche - e direi soprattutto - uno strumento per comunicare valori che promuovono il bene della persona umana e contribuiscono alla costruzione di una società più pacifica e fraterna”. Incastonato al centro di Buenos Aires, sorge il barrio Flores. Oggi c’è tristezza. Il ricordo di un bambino che correva dietro una palla di stracci stimola il pianto. E pure la palla, si è disfatta. El cuervo è volato via…

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El Cuervo è volato via: la storia del legame tra Papa Francesco e il suo San Lorenzo

Lucio Rizzica