I bambini di Kyiv che continuano a giocare a calcio sotto le bombe

23 gennaio 2024, Kyiv, ore 7:30 del mattino. Le sirene iniziano a suonare. Le bombe stanno per arrivare. Di nuovo. Non è una novità. La guerra è ormai parte del quotidiano. Anzi, è la normalità. Anche se alla paura non ci si abitua mai. Questa volta uno dei razzi russi cade sul centro sportivo della Lokomotiv Kyiv, dove presidente, dirigenti, allenatori, staff tecnici, giocatori, ragazzi e bambini provano ad andare avanti nonostante la guerra. Dove fare sport e continuare a giocare a calcio significa lottare per la propria libertà. Alle ore 08:00, trenta minuti dopo l’arrivo delle bombe, c’è in programma un allenamento dei bambini. Fortunatamente, nessuno di loro è ancora arrivato al centro sportivo. Sono però già presenti sei allenatori, arrivati in anticipo per preparare il campo. Appena le sirene iniziano a suonare, corrono nel rifugio antibombe presente nel centro sportivo. Uno di loro, Mikhail Donskoy, non riesce a salvarsi e perde la vita. Gli altri cinque sono gravemente feriti. Il centro sportivo è distrutto. La struttura risulta completamente irrecuperabile: non si può neanche provare a ricostruire. A raccontarci tutto questo è Oleksandr Yehorov, presidente della Lokomotiv Kyiv. Tra il 30 maggio e il 2 giugno è stato in Italia, in Sardegna, con l’Under 14 del suo club per partecipare al Torneo Manlio Selis, una competizione internazionale di calcio giovanile giunta alla 28ª edizione. Pochi giorni in cui i ragazzi ucraini hanno potuto vivere lontano dalla guerra. Presidente, iniziamo da questo torneo in Italia: che esperienza è stata? “Per prima cosa vorrei ringraziare i colleghi italiani e chi ci ha invitato a questo torneo. Per i nostri bambini è fondamentale ricevere un supporto psicologico ed emotivo. Quando siamo arrivati in Italia, le persone ci chiedevano: ‘Perché i vostri bambini non sorridono? Perché hanno lo sguardo così triste?’. Prima di tutto erano molto stanchi: il viaggio fino in Sardegna è durato oltre 36 ore perché non ci sono voli su o da Kyiv. Abbiamo viaggiato in treno e in autobus fino in Polonia, da lì siamo andati a Francoforte e infine in Italia. La cosa che più colpiva le persone era lo sguardo dei nostri ragazzi e quegli occhi tristi pieni di paura. I bambini ucraini sono abituati a vivere nella paura, senza sapere se un drone colpirà la loro casa oggi o domani. Alcuni di loro hanno già perso familiari e amici. Uno dei bambini presente in Italia ha perso il padre. Un altro ha il padre nell’esercito e poco prima del torneo ha ricevuto la notizia che è disperso. Non sappiamo se sia vivo o no. Eppure, quel ragazzo è venuto lo stesso per giocare e rappresentare l’Ucraina. Questi sono esempi della forza e del coraggio del nostro popolo. I nostri ragazzi sanno che devono resistere, essere forti, difendere la loro terra. Siamo felici di aver ottenuto anche buoni risultati: siamo arrivati terzi nel nostro girone, abbiamo pareggiato con il Levante , poi una vittoria, e infine la sconfitta contro l’Atalanta che ci ha impedito di andare in semifinale. Ma se aveste visto quei ragazzi piangere dopo la sconfitta... volevano vincere, credevano davvero di potercela fare”. Ma il risultato sportivo in questo caso è l’aspetto meno importante, giusto? “Certo. Questo torneo ha dato loro cinque giorni di ‘normalità’. Hanno avuto l’opportunità di vedere il sole, il mare, abbracciare bambini e ragazzi di altri Paesi. L’Atalanta ha regalato loro le maglie. Questo è lo sport, questa è l’amicizia. E per i nostri bambini è una forma di guarigione psicologica ed emotiva, perché la Russia ha rubato la loro infanzia. Questi bambini e ragazzi vissuto tre anni e mezzo di guerra e continuano a farlo”. Torniamo a quel 23 gennaio 2024, dopo che il vostro centro sportivo è stato distrutto cosa avete fatto? “Abbiamo provato un grande dispiacere. Non solo il nostro centro sportivo è stato distrutto, un nostro allenatore ha perso la vita. Mikhail lavorava con noi da 15 anni. Fortunatamente nessun bambino era presente nel centro sportivo, ci consola questo. Attualmente, dato che il centro è completamente distrutto, ci alleniamo all’aperto. Abbiamo campi da calcio all’esterno, ma ovviamente allenarsi fuori in inverno è molto difficile: in estate possiamo allenarci e giocare, ma in autunno e inverno fa troppo freddo. È un grande ostacolo per il club, ma siamo coraggiosi e i ragazzi sono forti. Abbiamo circa 700 ragazzi nella nostra accademia a Kyiv, è una delle più grandi dell’Ucraina. Oggi nel club abbiamo molti ragazzi provenienti da diverse regioni, anche da territori occupati come Mariupol, Donetsk, Lugansk e Kherson. Per loro la Lokomotiv è diventata una seconda casa. La distruzione del centro è stata un duro colpo per tutti, perché molti di questi ragazzi dicevano: ‘È la seconda volta che perdiamo tutto’. Quel giorno abbiamo scritto subito sui gruppi dei genitori e dei ragazzi dicendo: ‘Non ci fermeremo’. E quello stesso giorno abbiamo organizzato gli allenamenti su campi alternativi. Vorrei anche sottolineare che lo scorso anno il club ha festeggiato i 105 anni, è stato fondato addirittura prima del Lokomotiv Mosca. Il primo match fu giocato nel 1919 proprio dove è caduto il razzo”. Continuando da subito le vostre attività avete mandato un messaggio chiaro ma cosa significa per voi continuare a giocare a calcio in mezzo alla guerra? “È difficile spiegarlo a parole. Andiamo avanti nonostante le numerose difficoltà. Capita spesso che durante una partita suoni l’allarme aereo, più o meno una volta ogni due partite, e dobbiamo fermare tutto e correre nei rifugi. Restiamo lì due o tre ore, aspettando che i razzi vengano intercettati o che cadano da qualche parte. Poi torniamo in campo e finiamo la partita. Così ci alleniamo. Così giochiamo. Così viviamo. Ora, mentre stiamo parlando , a Kyiv è da 10 ore che suona l’allarme aereo. La Russia sta inviando droni da guerra e ‘Shahed.’ Ho parlato con il nostro direttore sportivo e mi ha detto che non possiamo iniziare i tornei programmati perché c’è ancora l’allarme. È domenica, il giorno con più partite ma difficilmente si giocherà. La vita è estremamente difficile non solo per il nostro club ma per tutta l’Ucraina. La Russia ci terrorizza attaccando strutture civili come la nostra. Vale la pena ricordare anche che lo stesso giorno dell’attacco la Russia ha dichiarato sui media di aver distrutto una base militare: una falsità totale. Quel giorno c’erano 700 bambini che guardavano con i propri occhi la distruzione. La stampa internazionale era lì e ha potuto vedere con i propri occhi che non c’era alcuna base militare, ma un centro sportivo. La Lokomotiv è un club di calcio di 105 anni che cerca di sopravvivere alla guerra e che accoglie centinaia di bambini sfollati che hanno già perso le loro case, i loro club e i loro cari”. Cosa vi spinge ad andare avanti? Che speranze avete per il futuro? “Viviamo di speranza. Speriamo che la guerra finisca presto. Speriamo che l’Ucraina venga ricostruita. Speriamo di poter andare verso un mondo democratico e civile, lontano dal controllo russo. Speriamo che l’anno prossimo potremo allenarci senza allarmi e sirene. Speriamo di tornare a giocare questo torneo in Sardegna, andare in semifinale e magari anche in finale. Tra i nostri 700 ragazzi, molti già giocano in club europei tra Spagna, Italia, Germania, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. La Lokomotiv è diventata una rete che si estende in Europa. Speriamo di mantenere e rafforzare questi legami con altri club europei e con organizzazioni internazionali. Non parlo solo di aiuti economici, ma di tornei, incontri, partite amichevoli… eventi che permettano ai nostri ragazzi di trovare un po’ di serenità e di incontrare nuovi amici. Questo è ciò che serve. In Sardegna i nostri ragazzi hanno trovato tutto questo. Pace, relazioni umane, un esempio di normalità”. E noi come possiamo aiutarvi? “Sicuramente la comunicazione è importantissima. Raccontare quello che succede davvero è fondamentale. Dopo che i media hanno parlato dei nostri problemi, abbiamo ricevuto diversi aiuti. Un club tedesco ci ha inviato attrezzature, magliette, materiale per motivare i bambini a non mollare. Questo è un aiuto importante: dare loro speranza. Due anni fa abbiamo perso il nostro pullman, distrutto da un missile russo a Kharkiv. Fortunatamente i ragazzi erano nei rifugi e nessuno ha perso la vita. Poi l’anno scorso un altro missile ha distrutto il centro sportivo, ma grazie alla comunità internazionale stiamo ricevendo aiuto per ricostruire lo stadio. Eventi come questo torneo in Sardegna sono un esempio concreto di aiuto. Abbiamo trovato amicizia, attenzione e normalità. Ogni gesto è importante. Anche questa intervista lo è. E vi ringraziamo. Voglio ringraziare tutta la comunità internazionale e i media per il sostegno. La propaganda russa racconta continuamente menzogne. Ma la verità si può vedere parlando con questi bambini. Ascoltando le loro storie, guardando le foto, vedendo la distruzione reale dei nostri club, teatri, scuole e asili. Guardando i loro occhi. In questo momento ogni tipo di supporto è benvenuto: parole, visibilità, affetto, ascolto. Anche solo questo è già un enorme gesto di aiuto per i nostri ragazzi”.

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Emiliano Tomasini