La partita di calcio che fermò la Guerra: la storia della Tregua di Natale del 1914

Nei primi anni del Novecento, una volta provocate le dimissioni del suo ‘Cancelliere di Ferro’ Otto von Bismark, che era stata la figura chiave nell’unificazione della Germania nel 1871 e artefice di una reale e profonda politica di alleanze europee che aveva consolidato l’Impero tedesco e poi mantenuto il complesso nuovo equilibrio geopolitico che si era creato, l’Imperatore Guglielmo II fu preso da una irrefrenabile febbre espansionistica. Dopo avere promosso larghe riforme sociali, si era intestardito nell’idea di rafforzare l’esercito e creare una grande flotta per costituire un vasto impero coloniale, con particolare sbocco in Africa. La sua smania egemonica lo portò in breve a contrasto con l’Inghilterra, poi con la Russia, quindi con la Francia mettendo in pericolo quella stabilità che inizialmente era sembrato potesse durare all’infinito. L’incapacità politica del ‘Kaiser’ fu così ambivalente che, a un certo punto, non fu più possibile riuscire a distinguere dove terminasse il suo desiderio di pace e dove iniziasse il suo sconfinato militarismo. La sua grande esitazione spinse l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia e innescò un domino fatale che -dopo l’attentato di Sarajevo nel quale trovarono la morte l'arciduca erede al trono d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este e la moglie Sophie Chotek von Chotkowa, condusse allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il 28 luglio 1914 quella che -inizialmente- fu definita ‘la guerra europea’, ebbe inizio. Nessuno poteva immaginare che quel conflitto si sarebbe ben presto allargato alle colonie britanniche, ai giapponesi e agli Stati Uniti e che nello spazio di cinquantadue mesi sarebbe diventato il più grande conflitto armato combattuto della storia, almeno fino ad allora. I tedeschi speravano in un conflitto breve e vittorioso, ma l’attacco russo da est lo trasformò in breve in una dolorosa e logorante guerra di trincea. Già solo nei primi quattro mesi di battaglie, l’Impero austro-ungarico aveva perso 227.000 uomini. E 170.000 caduti li contava la Serbia dopo la riconquista di Sarajevo, che aveva riportato la linea del fronte ai confini pre-bellici, come se nulla mai fosse accaduto fino a lì. Fra i civili scoppiò un’epidemia di tifo che fece almeno 150.000 vittime. Intanto la guerra infuriava anche nel Mar Mediterraneo e negli Oceani, mentre -con la coscienza che sarebbe stata tutt’altro che breve- la praticità degli uomini convinse gli eserciti contrapposti nelle diverse e tante trincee a cercare di trattare su momentanee tregue per osservare un minimo di cessate il fuoco che consentisse di recuperare i rispettivi feriti, i caduti che giacevano nella cosiddetta ‘Terra di Nessuno’ che separava i due territori difesi dagli opposti schieramenti, magari anche riparare alla buona le stesse fortificazioni difensive e fare un po’ di ricognizione -laddove possibile- sulle posizioni nemiche. Ci fu almeno un caso, documentato, lungo l’immensa linea del fronte, di un soldato britannico che prese in prestito un attrezzo da alcuni sàssoni volenterosi per rinforzare il proprio filo spinato. Intanto si avvicinava tra colpi di cannone e grida di disperazione il primo Natale sotto il fuoco nemico, da ambo le parti. Si racconta che la prima vera Tregua Ufficiale del 1914 iniziò con una funzione congiunta amministrata da un cappellano britannico e da uno studente di teologia tedesco a fare gli onori di casa, dopo che le due parti avevano avvisato gli ufficiali di alto rango, che naturalmente sulle prime avevano insistito per riprendere immediatamente la guerra. E come raccontò un capitano dei Royal Welch Fusiliers scampato a quella follia: "Alle 8.30 sparai tre colpi in aria e issai una bandiera con la scritta 'Buon Natale', poi salii sul parapetto. Qualcuno dall’altra parte appese un lenzuolo con la scritta 'Grazie', poi il capitano tedesco apparve sul parapetto. Ci inchinammo e salutammo, scendemmo nelle nostre rispettive trincee, lui sparò due colpi in aria e la guerra ricominciò". A pensarci sembra una fiaba di natale, eppure è vero. Come è vero che i tedeschi rivestissero i parapetti delle loro trincee con alberi di Natale in miniatura e una mappa delle trincee che stavano osservando la pace temporanea perché non le si attaccasse. Al giorno d’oggi le guerre si combattono in un modo diverso, ma a quei tempi gli uomini erano ancora più protagonisti. E c’è molta umanità nascosta nella sospensione spontanea di uno dei più grandi conflitti del XX secolo. Anche nel fronte occidentale della Prima Guerra Mondiale, nelle Fiandre, si passò in trincea la vigilia di Natale. I soldati tedeschi da una parte e quelli britannici e francesi dall’altra erano disposti nelle proprie postazioni, con la guerra che si era già portata con sé complessivamente oltre un milione di vittime. Da mesi il prezzo per conquistare pochi metri erano incalcolabili carneficine: autentiche missioni suicide. L’alto comando tedesco provò a risollevare l’umore dei soldati autorizzando al fronte la presenza del tenore Walter Kirchhoff, mandato in trincea a cantare per i soldati. Nessuno si sarebbe mai atteso però che dalla trincea anglofrancese si sollevasse un applauso nel silenzio dopo poche note intonate dal cantante. Un soldato scozzese, estasiato dalla bellezza di quella voce, lo aveva riconosciuto. Lo aveva già applaudito a Parigi dove era andato a sentirlo da spettatore. Quello fu un momento magico. Di forte contrasto con la desolazione, l’odore acre della guerra e il grigiore della morte che colorava tutto intorno. Invano trattenuto dai soldati tedeschi, Kirchhoff uscì dalla trincea coraggiosamente e attraversò la ‘Terra di Nessuno’ senza smettere di cantare. Qualcuno timidamente lo seguì. Dall’altra parte balzò fuori lo scozzese e anche altri soldati gli andarono dietro. I due gruppi di ‘nemici’ si trovarono l’uno di fronte all’altro mentre Kirchhoff ancora cantava. Si abbracciarono e decisero una tregua informale per il giorno di Natale. La voce si sparse lungo le altre trincee, tutti presto ne furono coinvolti. Fu in quel momento che da uno zaino militare inglese saltò fuori un pallone. Bastò uno sguardo, un cenno d’intesa, i soldati si organizzarono e si divisero in due squadre lasciando in terra i fucili. No, non ci pensarono due volte e decisero di fidarsi gli uni degli altri. E iniziarono un altro tipo di guerra, una guerra pacifica. Una partita di calcio. I commilitoni delimitarono il terreno di gioco, gli elmetti e i cappotti segnarono i pali delle porte e l’eterna rivalità tedesca e inglese venne ribadita dando dei calci a un pallone. Solo che questa volta tutto era diverso, quegli uomini erano nemici ma complici, si odiavano perché gli avevano detto che dovevano odiarsi ma in campo si rincorrevano e si abbracciavano felici, si sparavano addosso fino a poche ore prima e si sarebbero uccisi a vicenda di lì a poche ore ancora, ma sotto il profilo umano stavano giocando e si stavano divertendo insieme. Tantissimi anni dopo un cantante, un mito della musica, il leader dei ‘Doors’ Jim Morrison, avrebbe detto che ‘un giorno anche la guerra si sarebbe inchinata al suono di una chitarra’. Da quel giorno del 1914 sono passati centoundici anni e purtroppo non è ancora mai successo. Eppure quel dì la guerra si inchinò per qualche ora a un pallone. Al fischio finale, la partita era sul 3-2 per i tedeschi. Ma il fischio non era quello di un arbitro, ma di un obice austro ungarico sparato dal Quartier Generale, indignato per quella cagnara indecorosa. Per i signori della guerra l’atrocità era la partita di pallone, non la battaglia e il massacro al quale obbligare nuovamente i soldati. E la stampa britannica e quella tedesca censurarono quel momento di ‘tregua simbolica’ e lo fecero senza alcun rispetto per il risvolto umano e privi di ogni ‘pietas’, intesa come rispetto, giustizia, lealtà verso chi metteva in gioco la propria vita quotidianamente anche per chi al caldo scriveva con supponenza di pallottole mai viste né sentite fischiare da vicino. La pietra tombale su quel momento di felicità la mise da New York, ancora più distante dai colpi di mortaio, il ‘New York Times’ che ispirò la condanna dell’opinione pubblica verso quei soldati, dimenticando che fossero intanto degli uomini, che fosse Natale, che fossero lontani dalle proprie case, la cui vita fosse appesa a un filo senza una ragione né un motivo personale e pure senza comprendere realmente cosa significasse ‘sopravvivere’ e combattere in quelle condizioni al fronte. Situazione sconosciuta anche ai graduati e ai funzionari degli eserciti, che combattevano quella sanguinosa guerra osservandola su una mappa, come fosse un rudimentale RisiKo! senz’anima, ma soprattutto senza schizzi di sangue e cervello. Alcuni soldati che avevano giocato la partita di calcio si salvarono dalla pena capitale solo perché le perdite erano alte, alcuni dei reggimenti che erano sul posto in quella tregua improvvisata vennero trasferiti altrove. Alla fine quella guerra durerà quasi cinque anni e si porterà via ventiquattro milioni di vite. Ma la ‘tregua di Natale’, diventò una leggenda fra i soldati, tanto quanto la richiesta ufficiale di tregua che era stata invece respinta a Papa Benedetto XV. E da quanto poi raccontarono i superstiti di quella maledetta Prima Guerra Mondiale, benché nessun accordo ufficiale tra i belligeranti fosse stato pattuito, nel corso del Natale del 1914 circa 100.000 soldati francesi, britannici e tedeschi furono coinvolti in un certo numero di tregue spontanee lungo i rispettivi settori di fronte nelle Fiandre: i tedeschi presero a mettere candele sul bordo delle loro trincee e su alcuni alberi nelle vicinanze, iniziando poi a cantare alcune tipiche canzoni natalizie; dall'altro lato del fronte, i britannici risposero iniziando anche loro a cantare e dopo poco tempo soldati dell'uno e dell'altro schieramento presero ad attraversare la terra di nessuno per scambiare con la controparte piccoli doni, come cibo, tabacco, alcolici e souvenir quali bottoni delle divise e berretti. In molti casi gli episodi di fraternizzazione proseguirono anche la mattina di Natale incontrandosi a metà strada e scambiandosi doni e scattando foto ricordo; ma anche organizzando decine di altre improvvisate partite di calcio tra i militari tedeschi e quelli britannici. Bruce Bairnsfather raccontò: “Non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo... Notai un tenente tedesco, ed essendo io un po' collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni [della divisa]... Presi la mia tronchesina, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio... mentre un mio soldato tagliava i capelli a un ‘nemico’, tranquillo mentre la macchinetta si insinuava dietro il suo collo”. Un membro del battaglione di Griffith, Bertie Felstead , riferì di un incontro di calcio disputato il giorno di Natale tra tedeschi e britannici, interrotto dopo mezz'ora a causa della rabbiosa reazione degli ufficiali. Il comandante di compagnia, Sir Iain Colquhoun delle ‘Scots Guards’ , fu sottoposto a corte marziale per aver disobbedito agli ordini che vietavano tregue con il nemico. Giudicato colpevole e ammonito ufficialmente, fu reintegrato nel suo incarico dal comandante del BEF Douglas Haig; l'atto di clemenza fu probabilmente dovuto alla parentela di Colquhoun con il primo ministro britannico Herbert Henry Asquith. Il sociologo Alessandro Dal Lago, autore del seminale ‘Descrizione di una battaglia’, sottolinea come il calcio, per sua natura, sia la rappresentazione rituale di un conflitto di tipo bellico tra squadre avversarie, che ricalca la dicotomia amico-nemico individuata in ambito politico da Carl Schmitt. Beh, nel 1914 per una volta quella rappresentazione si rovesciò e divenne -incompresa dalla alte sfere- la sublimazione rituale di quel conflitto, sfociando nell’esaltazione della libertà di poter rincorrere la stessa palla spalla a spalla con il nemico, trasformatosi improvvisamente in compagno di giochi. Certo, ‘con le divise di un altro colore’, come canterebbe Fabrizio De André, ma ‘con lo stesso identico umore’ prima di rituffarsi nell’unico gioco mortale in cui entrambe le squadre sono destinate purtroppo a perdere.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

La partita di calcio che fermò la Guerra: la storia della Tregua di Natale del 1914

Lucio Rizzica