La Fussball Route di Berlino è un viaggio nella storia

Oltre il risultato, oltre i gol fatti, i titoli vinti e i giocatori allevati. La cultura sportiva di base non dipende dalle variabili, spesso ingannevoli. È qualcosa che sopravvive ai successi e alle delusioni, è qualcosa che resta, se ci sono le persone giuste. E nell’ufficio culturale della federazione calcistica berlinese, la Berliner Fussball-Verband, le persone giuste evidentemente ci sono. Alcune di loro ad esempio hanno definito un triplice itinerario calcistico che cerca di coprire i luoghi più interessanti o significativi della storia del calcio cittadino, senza la pretesa di completezza, considerando la stupefacente profondità delle vicende locali, che negli ultimi cento anni sono passate attraverso tre diversi modelli di gestione politica, quattro considerando, dal dopoguerra al 1989-90, la Repubblica Democratica Tedesca. Itinerari pensati per chi si muove a piedi o in bicicletta, con tanto di percorso GPS scaricabile, tutto all’indirizzo email http://fussballrouteberlin.de. Approfittando della finale di Coppa di Germania tra Stoccarda e Arminia Bielefeld, anzi VfB e Dsc, perché la tifoseria della prima non dice mai il nome Stuttgart e quella della seconda preferisce l’acronimo ad ‘Arminia’, abbiamo toccato le tappe che dal punto di partenza portano proprio all’Olympiastadion. Dei tre itinerari, giusto dirlo, è forse quello più generico e meno interessante, ricco di ricordi e luoghi suggestivi ma povero di calcio attuale, ma questo è quello che passa il convento, e la storia pazzesca che c’è a Berlino fornisce comunque spunti notevoli. PORTA DI BRANDEBURGO La partenza di tutti e tre i percorsi è dalla Porta di Brandeburgo, il celebre monumento che per alcuni decenni ha rappresentato uno dei punti di divisione - e unione - tra Berlino Est e Berlino Ovest. Chissà che il fatto che il nome tedesco sia ‘tor’, cioè porta ma anche ‘gol’, non abbia influito, ma di fatto questo è il luogo in cui, dai Mondiali 2006 in poi, ogni grande evento ha qui il suo punto di riferimento, dalle cosiddette Fan Zone per eventi direttamente ospitati dalla Germania ad allestimenti temporanei quando si gioca altrove ma c’è la possibilità di installare schermi giganti e chioschi. Va da sé che la magnificenza della Porta merita a prescindere, ricordando sempre che la quadriga in bronzo che la sormonta è rivolta verso il centro della città, quindi verso la zona che dal dopoguerra alla riunificazione del 3 ottobre 1990 è stata Berlino Est. IL REICHSTAG Scontata ed enigmatica anche la seconda tappa, a poche centinaia di metri. Piazza della Repubblica, il prato davanti al Reichstag, il Parlamento. Non vi è in realtà nulla di calcistico, ora, ma nel periodo tra la costruzione del Muro e il 2003, più o meno, in questo enorme spazio era normale veder giocare a calcio, che fossero partitelle improvvisate, allo spuntare di un pallone, a qualcosa di un pochino più organizzato da chi partiva apposta da casa con divise e si accontentava di utilizzare pile di abiti come porte. Spazio ce n’era e l’edificio, dopo la distruzione della Seconda Guerra Mondiale, era in perenne ricostruzione e rimodulazione, culminata nel 1999 con il completamento della cupola trasparente: quando però vi venne finalmente trasferito il parlamento della Germania riunificata si cominciò a guardare con meno benevolenza all’utilizzo del prato come ricreazione sportiva, e dal 2003 è in realtà vietata qualsiasi attività, in segno di rispetto verso la maestosità del luogo. Utilizzato solo, nel 2006, come sede di una riproduzione dello Stadio Olimpico, con una serie di schermi per la visione delle dirette. Era un’epoca, bisogna ricordarlo, in cui gli smartphone non esistevano ancora e la tecnica dello streaming era ancora in studio, per cui o schermi giganti o casa propria. LA CASA DI HERBERGER Un po’ più a sud, al numero 89 della Bülowstraße, raggiungibile con la fermata omonima della metropolitana , c’è la casa dove abitò dal 1937 al 1944 Sepp Herberger, il Ct che portò la nazionale della Germania Ovest alla vittoria nei mondiali 1954 in Svizzera. C’è una targa visibile alzando lo sguardo dal marciapiede e, su una lastra del pavimento, qualche informazione aggiuntiva: qui, come in altri luoghi di questo percorso, per motivi di praticità non è stata installata la colonnina informativa che vedremo altrove. Herberger di fatto fu l’allenatore della nazionale in due diversi momenti storici: iscrittosi al Partito Nazista nel 1933, al termine di una carriera da giocatore durata 16 anni, tra il 1932 e il 1936 fu assistente del celebre Otto Nerz, che non solo al partito si era iscritto prima dell’ascesa di Adolf Hitler al potere ma era entrato anche nelle SA, l’organizzazione paramilitare di supporto ridimensionata poi nel 1934. Anche per questo, dopo le negative prestazioni della nazionale alle Olimpiadi 1936 fu sostituito da Herberger - aveva in realtà sempre detto di voler fare un passo indietro a prescindere - e morì poi da prigioniero nel 1949 nel campo di concentramento di Sachsenhausen, gestito dai sovietici. Herberger dovette lasciare la casa nel 1944, quando cominciarono i bombardamenti, e tornò dalle parti di Mannheim, nel sudovest, dove del resto era nato. Come si può immaginare, non tutti gradirono il suo passato, una volta terminata la guerra, e con il sistema sportivo che era stato volutamente smantellato dagli Alleati per cancellare ogni traccia del recente passato, ma fu considerata un’attenuante il fatto che nella sua vita avesse sempre, quasi ossessivamente pensato al calcio e solo al calcio, atteggiamento accentuato dal settembre 1936 quando la responsabilità della nazionale fu prevalentemente sua, con un affiancamento iniziale di Nerz, parzialmente accontentato nel suo desiderio di poter comunque dare una mano. Anche se il suo stile era molto diverso: secondo Nerz, gli allenamenti dovevano essere qualcosa di militaresco e rigido, tanto che un suo giocatore un giorno aveva detto “non ci lascia neanche il tempo di andare in bagno”, mentre Herberger assunse un atteggiamento più moderato, pur nella sua ossessività di uomo che parlava di calcio sempre e con chiunque. BREITSCHEIDPLATZ Procedendo verso ovest, nel quartiere di Charlottenburg, fermata della metro più vicina Zoologischer Garten, c’è la piazza chiamata Breitscheidplatz, all’ombra di uno dei più importanti monumenti berlinesi, la Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, chiesa in memoria dell’Imperatore Guglielmo I , danneggiata durante la Seconda Guerra Mondiale e lasciata volutamente in piedi con tutti i danni visibili, come monito e avviso. È la chiesa dalla cui cima l’angelo Damiel osserva la città, nelle prime scene del film ‘Il cielo sopra Berlino’. Fosse stato lassù sabato, avrebbe visto in piazza migliaia di tifosi del Vfb, che lì aveva fissato il luogo del raduno, allestendo anche un palco con musica, presentatore, personalità varie, come accade sempre in questi casi. La peculiarità del luogo è che è generalmente qui che si radunano i tifosi dell’Hertha in occasioni speciali, e non per nulla nell’adiacente centro commerciale c’è anche uno dei negozi del club: del resto, siamo in piena Berlino occidentale, e proprio sotto la chiesa inizia, proseguendo poi per oltre tre chilometri verso ovest, il Kurfürstendamm, la via che in passato rappresentò il cuore berlinese delle arti e dei divertimenti e oggi, più prosaicamente, è piena di negozi e boutique. Poche decine di metri più a nordovest, sulla Hardenbergstrasse, c’è stato per alcuni decenni ‘Holst am Zoo’, un vivacissimo pub-ristorante a tema calcistico aperto da un personaggio controverso come l’ex calciatore e vicepresidente dell’Hertha, Wolfgang Holst, che alla sua scomparsa, nel 2010, trascinò di fatto con sé la vocazione sportiva e iconoclasta del locale, meta in passato di grandi nomi come Eusebio, Fritz Walter, Uwe Seeler, Berti Vogts e, fuori dal calcio, gli attori Klaus Maria Brandauer e Horst Buchholz e il cantante Udo Jürgens, il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca Willy Brandt e Franz Josef Strauss, storico leader politico bavarese. ATHLETIK-SPORTZPLATZ L’incrocio tra la Droysenstrasse e la Sybelstrasse, poco a sudovest della stazione di Charlottenburg, richiede molta fantasia, e magari gli occhi chiusi. Anche qui infatti, per motivi pratici e logistici, manca la colonnina informativa, per cui bisogna essere preparati. Più o meno a questo incrocio tra due vie tranquille, con molti alberi, sorgeva la parte settentrionale dello stadio, l’Athletik-Sportplatz, che il 23 e 24 novembre 1899 ospitò due partite tra una selezione berlinese e una inglese, composta in parte da dilettanti. Il campo, compreso di tribunette, era nato per iniziativa di un fotografo-editore inglese cresciuto in Germania, Andrew Pitcairn-Knowles, fondatore nel 1895 di una rivista di fotografia sportiva. Le due partite finirono 13-2 e 10-2 per gli ospiti, i primi esponenti delle sile britanniche a giocare nell’Europa continentale, che poi proseguirono il tour a Praga, battendo una mista austro-tedesca 8-0 infine Karlsruhe, dove vinsero 7-0, anzi ‘solo’ 7-0 perché, secondo il parere di un cronista dell’epoca riportato dallo scrittore Uli Hesse-Lichtenberger nel suo libro ‘Tor!’, verso fine trasferta gli inglesi avevano cominciato a risentire dell’eccesso di alcool consumato. C’era un legame tra Berlino e Karlsruhe, nella persona di Walther Bensemann, un gigante del calcio delle origini. Nato il 13 gennaio 1873 a Berlino in una famiglia benestante di origine ebraica, aveva studiato in Svizzera e lì aveva conosciuto quello sport con la palla proveniente dall’Inghilterra ma considerato in Germania, dove spopolava la ginnastica, come una specie di passatempo per debosciati. Era stato uno dei primi a portarlo in patria e aveva fondato a Karlsruhe, appunto, un club, l’Internationaler FC Karlsruhe, che vinse poi anche un titolo ed esiste tuttora, come Karlsruher FV, in una lega minore. Aveva poi contribuito a fondare un altro club a Francoforte e messo le basi per una diffusione del calcio a sud poi a nordest, Berlino appunto. Anglofilo e pressoché trilingue, tanto che nel 1901 andò poi a insegnare francese e inglese in alcune scuole in Inghilterra, compresa una a Birkenhead, nella penisola del Wirral di fronte a Liverpool, che gli permise di approfondire ulteriormente la sua cultura calcistica. In occasione delle due partite di Berlino aveva preparato una bellissima accoglienza per gli ospiti, grazie al sostegno economico di un amico, il futuro segretario della FIFA Ivo Schricker: carrozze a cavalli avevano portato la comitiva inglese dalla stazione al migliore hotel cittadino dove, all’ingresso, erano stati salutati dall’inno God Save the Queen . Bensemann, che morì nel 1934 in Svizzera dove era fuggito dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, nel 1920 aveva fondato la rivista sportiva tuttora più diffusa, kicker, scritto in minuscolo: nome inglese, in omaggio alla sua lingua preferita, la lingua del calcio. SCHLOSSHOTEL GRUNEWALD Ancora calcio, ancora da immaginare, più che vedere. Si scende dalla metro alla stazione Grunewald, ci si gira all’uscita dall’edificio per ammirarne la facciata, gioiello di sapore antico, si fanno due fermate in direzione sud col bus 186 e, attraversata la strada, al numero 10 della Brahmsstrasse spunta dopo una lunga staccionata protetta da siepi lo Schlosshotel Grunewald, elegantissimo rifugio che nel 2006 fu la base della nazionale allenata da Jürgen Klinsmann, divenendo il centro di convergenza di media di tutto il mondo e di un viavai inusuale per questo quartiere silenzioso ed elegante, in palese contrasto con il caos di gran parte della città. Non si può entrare, e non c’è nemmeno qui la colonnina informativa, disdicevole in un ambiente così raffinato. Ed era raffinato anche nel 1974, quando qui venne ospitata la nazionale della DDR, quella che poi sconfisse la Germania Ovest nel memorabile incontro di Amburgo del 22 giugno, in un clima però di segretezza al limite del paranoico. DEUTSCHLANDHALLE Abbiate pazienza, avevamo premesso che il percorso numero 3, quello tra Porta di Brandeburgo e porte dello Stadio Olimpico, era il meno interessante. E anche la sesta tappa lo conferma. Qui bisogna scendere alla stazione Messe Süd, detta anche Eichkamp, una di quelle che servono il complesso fieristico e, se si arriva dal centro, uscire sulla destra, attraversare la strada, proseguire per un centinaio di metri oltre un parcheggio e, lungo un marciapiede sul lato sinistro della strada chiamata Messedamm, scorgere una colonnina informativa. Che dice semplicemente come qui sorgesse, fino al 2011, la Deutschlandhalle, un impianto coperto costruito per le Olimpiadi 1936 e abbattuto nel 2011. Qui, dal 1971, si giocarono i seguitissimi campionati indoor, in pratica calcio a sei, che nel giro di quattro giorni in gennaio mettevano di fronte le migliori squadre e i migliori giocatori, fermi da fine dicembre per la sosta invernale della Bundesliga e delle altre categorie. Furono anni di enorme successo per la formula, forse oltre le previsioni dell’ideatore Heinz Warneke, futuro presidente dell’Hertha vincitrice della prima edizione, ma verso la fine degli anni Novanta l’onda passò, in parte per timore di infortuni sul campo sintetico, in parte perché sui canali televisivi tedeschi si cominciavano a vedere partite di campionati stranieri e dunque il calcio indoor non era più l’unico sfogo per chi si sentiva in astinenza. E non è un caso che la colonnina informativa affronti anche il tema del calcio nei media: a poca distanza c’è la Funkturm, la Torre della Radio, un suggestivo edificio, tra i più riconoscibili della città. MOMMSENSTADION Oh, finalmente un luogo di calcio riconoscibile e attivo. Uno stadio storico dedicato ad… uno storico, Theodor Mommsen, nome peraltro notissimo a chi abbia fatto studi classici, e ‘copiato’ da una vicina palestra. L’indirizzo è Waldschulallee 34-42, e per arrivare basta lasciarsi alle spalle la colonnina della Deutschlandhalle, tornare a Messe Süd, attraversarla, uscire dal lato opposto, quello adagiato alla collina, e svoltare a destra, magari girandosi anche qui per dare un’occhiata all’edificio, rimasto pressoché inalterato negli ultimi cento anni in quanto protetto dalle belle arti ed ignorato dai bombardieri alleati negli ultimi anni di guerra, anche se probabilmente è la seconda circostanza che ha permesso la prima, e non viceversa. Lo stadio si intravvede quasi subito, al termine di un vialetto pedonale di un centinaio di metri circondato da cespugli e alberi che sfortunatamente, nei giorni di partita, assolvono al compito di toilette improvvisata, come peraltro capita a qualsiasi macchia verde che abbia la malasorte di sorgere nei pressi di uno stadio tedesco. È l’effetto delle cospicue bevute del pre- e post-partita, che non sono assolutamente uno stereotipo o un luogo comune, ma una solidissima, anzi liquidissima, realtà. Messo alle spalle l’olezzo, il Mommsenstadion si presenta con riflettori alti e una tribuna principale, lunga 104 metri, di aspetto maestoso e particolare. Fu infatti costruita nel 1930 in stile Bauhaus, funzionale ed elegante, unico impianto sportivo edificato secondo i canoni architettonici della scuola stilistica nata proprio in Germania, anche se ufficialmente l’architetto, l’ungherese Fred Forbat, dal movimento era uscito quasi subito. Particolari le due scalinate ai lati opposti, ospitati in torri sporgenti rispetto all’edificio principale, come è particolare anche il nome, ovviamente. Qui gioca il Tennis Borussia, fondato nel 1902, che ora è in quinta lega ma in passato è stato un club decisamente importante, con una forte partecipazione della locale comunità ebraica, perlomeno fino a metà anni Trenta. Ne fu giocatore, e allenatore, Herberger, tra il 1926 e il 1923, e una sua frase è incisa su una targa, svelata il 28 marzo 1997, centenario della nascita: “elf freunde müsst ihr sein”, dovete essere undici amici. Esortazione rivolta ai futuri eroi dei Mondiali 1954, anche se pare che non fosse altro che la ripresa di uno slogan coniato nel 1919 da Richard Gerulatis, il primo tecnico specifico della nazionale. Il più famoso giocatore del Tennis Borussia, o TeBe, è stato forse nel dopoguerra Karl-Heinz Schnellinger, che arrivò nel 1974 dal Milan ma non poté impedire la retrocessione del club in seconda serie. Il Mommsenstadion ospitò partite dei Giochi Olimpici del 1936 ed è stato campo di allenamento della Germania nel 2006 e Austria lo scorso anno, nel primo caso tra l’altro in un clima di totale segretezza, favorito dal fatto che è possibile far scendere i giocatori dal pullman con la protezione di un giardinetto che in parte oscura la vista. La capienza, che in passato fu anche di 36.000, è ora stata ridotta a circa 11.000 spettatori, ospitati in gran parte nella tribuna principale, e sabato, nel giorno della nostra visita, si giocava la finale di Coppa della Berliner Fussball-Verband tra BFC Dynamo, il club nato nel periodo della Germania Est ma ora in quarta serie, e l’Eintracht Mahlsdorf, di quinta serie. Tutto esaurito, polizia ovunque considerando la reputazione dei tifosi del BFC, uscito vittorioso e dunque ammesso automaticamente al primo turno di coppa nazionale di metà agosto. La finale era una delle 20 previste sabato, con inizio a scalare tra le 12.30 e le 17.30, tutte trasmesse in diretta con la formula del passaggio tra un campo e l’altro: è il celebre Finaltag der Amateure, il giorno delle finali dilettantistiche, che ha portato anche a qualche sorpresa, come la vittoria ai rigori del Lokomotive Lipsia, neocampione della quarta serie nordest, sull’Erzebirge Aue, di terza serie. Una nota importante: la colonnina informativa, posta di fronte ad una delle scalinate ellittiche, invita ad approfondire il nome di Julius Hirsch, un attaccante di famiglia ebraica che nel Tennis Borussia non giocò mai, ma che pur avendo vestito per sette volte la maglia della nazionale e aver combattuto nell’esercito tedesco nella Prima Guerra Mondiale l’1 marzo 1943 fu deportato ad Auschwitz-Birkenau e morì in una camera a gas probabilmente nel giorno di arrivo. OLYMPIASTADION. E I SUOI FRATELLI Tre luoghi in uno, tre luoghi e due possibili fermate della metropolitana, da selezionare con attenzione. Perché sono uguali ma diverse: quella a sud del complesso olimpico si chiama Olympiastadion ed è per i treni della S-Bahn cioé del trenino veloce, quella est si chiama Olympia-Stadion ed è servita dalla U-Bahn, la metropolitana, oltre ad essere architettonicamente molto bella e caratteristica, costruita nel 1913, rifatta per i Giochi del 1936 e ristrutturata più volte. La prima, delle due fermate, porta, salendo verso nord, direttamente al primo luogo, ora chiamato Coubertinplatz: qui sorgeva il Deutsche Stadion, edificato per le Olimpiadi 1916 che non furono mai disputate a causa della guerra. Inaugurato nel 1913, era in realtà un impianto di forma ellittica con pista di atletica, pista da ciclismo e piscina, proprio per un utilizzo multisportivo che penalizzava proprio il calcio, con campo separato dalle tribune proprio dalle strutture riservate alle altre tre discipline. Fu abbattuto nel 1934 per fare spazio allo Stadio Olimpico, tra i simboli dell’ambizione hitleriana di avere una serie di edifici maestosi e memorabili: e l’Olympiastadion, che nonostante alcune ristrutturazioni conserva la struttura originaria, comprese le monumentali statue disseminate lungo il perimetro, di maestosità potrebbe dare lezioni, per come è stato mantenuto e ammodernato senza lesioni alle caratteristiche più tipiche. Come le luci delle scalinate, che ricordano la forma di un braciere. L’effetto aumenta quando ci si affaccia a vista del terreno di gioco: che è parecchi metri sotto il livello del terreno, per cui lo stadio, da dentro, appare molto più grande di quanto non sia da fuori, dove pure è imponente. C’è stato però il concreto pericolo che questa meraviglia venisse abbattuta, per l’importanza che aveva sotto il nazismo, o che per lo stesso motivo venisse lasciata al proprio destino, abbandonata per cadere a pezzi poco alla volta, e per fortuna alla fine prevalse il buon senso. Qui l’Italia ha vinto i Mondiali 2006, qui è stata eliminata dalla Svizzera negli Europei 2024, qui si giocano fisse dal 1985 le finali di Coppa di Germania, compresa quella di sabato sera, un tutto esaurito da oltre 74.000 tra VfB e Dsc, che avete seguito in diretta con il commento di Pietro Nicolodi. E appena a nord, nascosti parzialmente alla vista degli spettatori, che del resto hanno più la tendenza a guardare verso lo stadio che alle proprie spalle, ci sono alcuni impianti sportivi lungo la Hanns-Braun-Strasse: sono quelli detti Olympiapark, con piscina, campo da hockey su prato, campi da calcio, la sede del museo sportivo, gli uffici dell’Hertha e pure lo Stadion auf dem Wurfplatz, utilizzato dalla seconda squadra, che gioca in quarta serie, la Regionalliga Nordost.

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La Fussball Route di Berlino è un viaggio nella storia

Roberto Gotta