Piscitella: "Vi racconto Luis Enrique a Roma e quel 4-0 all'Inter"

Hai esordito in Serie A in un Roma-Inter 4-0 con Luis Enrique in panchina, che ricordi hai di quel 5 febbraio 2012? “Tutto è iniziato qualche giorno prima. Facemmo una partita con la Primavera, se non sbaglio contro il Bari, e mi ricordo che lui, insieme a tre-quattro giocatori della prima squadra, era lì a vedere la partita. Vincemmo con molti gol di scarto, io giocai molto bene e qualche giorno dopo la società mi chiamò per dirmi di andare ad allenarmi con i ‘grandi’. Io credevo di fare solo qualche allenamento per far numero e poi di tornare in Primavera la domenica. A fine settimana, il sabato, arrivano le convocazioni di Luis Enrique e Daniele De Rossi mi disse che ero stato convocato. Io pensavo scherzasse, ma ero davvero nella lista dei convocati. Ero felice ma pensai ‘Andrò in tribuna, contro l’Inter…’. L’esordio non era assolutamente nei miei pensieri. Invece andai in panchina, la partita si mise a nostro favore e sul 3-0 il mister mi mandò a scaldare. A circa 15 minuti dalla fine mi fece entrare. Fu bellissimo perché era completamente inaspettato, prima non mi aveva detto nulla. Entrai e servii l’assist a Bojan per il 4-0. Poi tutto lo stadio si mise a cantare ‘Piscitella facci un gol’, indimenticabile”. E dopo quella partita cosa ti disse? “Mi fece i complimenti ma non ci fu molto tempo per parlare, perché dopo tre giorni giocavamo a Catania il recupero di una di una partita che era stata precedentemente interrotta per pioggia. E lì mi fece un’altra sorpresa: mi mise titolare. Venne da me prima della partita, mi rinchiuse in uno stanzino e mi disse: ‘Non mi interessa se ti alleni con noi solo da una settimana, giochi questa partita perché te lo sei meritato’. Mi spiegò che puntava molto sul mio uno contro uno e che dovevo sempre puntare l'avversario. Poi aggiunse: ‘Stai tranquillo, se ti serve qualcosa, ti giri verso la panchina e io ci sono’. Mi fu molto d'aiuto, perché al tempo il Catania era una squadra forte, c’erano grandi giocatori come Papu Gomez e lo stadio era molto caldo. Lui mi tranquillizzò molto e giocai bene. A fine partita vinsi anche il premio di ‘uomo partita Sky’. Fui molto contento”. Infatti, nonostante dei risultati non di altissimo livello, tutti giocatori di quella Roma ancora oggi parlano benissimo di lui. C’era un legame speciale tra voi e lui? “Sì. Lui aveva un rapporto speciale soprattutto con Totti e De Rossi e non serve spiegare perché. Erano i due pilastri dello spogliatoio e lui si confrontava spesso con loro. Ma in generale con tutti aveva un rapporto fantastico. Lui era sempre dalla parte di noi giocatori, era come se fosse uno di noi. Durante gli allenamenti e le partitelle spesso e volentieri giocava anche lui. Allenatore e squadra erano un tutt'uno. Totti diceva sempre ‘Io con lui posso giocare fino a 45 anni’ per il tipo di calcio che proponeva e per la persona che era. A noi veniva spontaneo tirare fuori qualcosa in più per lui. Quando ci comunicò la sua la sua decisione di andarsene non fu un momento bello per noi. Io ero rimasto alla Roma per lui, mi aveva chiesto di restare anche se avevo un’offerta dell’Inter. Quando andò via mi crollò il mondo addosso”. Cosa ha significato Luis Enrique per la tua carriera? “Lui è stato l'artefice della mia carriera. Mi ha lanciato nel calcio che conta, gli devo praticamente tutto. Ogni tanto mi fermo a pensare e mi chiedo ‘chissà come sarebbe andata se lui non fosse andato via…’. Avevamo un rapporto speciale, ci siamo continuati a sentire anche negli anni successivi e io non ho mai perso l'occasione per ringraziarlo, anche se a volte mi sono pentito di non averlo fatto nella maniera che desideravo. Al tempo avevo 18 anni e a volte avevo qualche timore… non volevo essere troppo invadente”. Cosa lo rende unico secondo te? “Lui viveva per il calcio ma ciò che lo rende unico è la sua capacità colmare il gap che di solito esiste tra allenatore e giocatori. A me ha impressionato la sua capacità di entrare nel cuore e nella mente di ogni giocatore. Dopo Roma, ha fatto benissimo ovunque è andato e ha vinto tantissimo, questo riesce a farlo solo chi sa entrare nella testa e soprattutto nel cuore dei giocatori”. Quindi tu ti aspettavi avrebbe fatto questo tipo di carriera? “Io ero molto giovane e non avevo ancora un metro di paragone tra lui e altri allenatori. Come allenatore non potevo giudicarlo ma come uomo non avevo dubbi su di lui. Se un allenatore riesce a fare quello che faceva lui a livello umano, per forza di cose raggiungerà dei risultati così importanti. Un po’ come Ancelotti. Tanti dicono ‘Sì, ma Ancelotti ha allenato sempre squadre forti’. Però io penso che lui i traguardi li raggiunga grazie al rapporto che crea con i suoi giocatori. Infatti se guardiamo le interviste dei suoi giocatori, tutti dicono la stessa cosa: ‘È un maestro a livello di gestione e di rapporti’. Questo, secondo me, ha fatto la differenza anche per Luis Enrique”. Ricordi un evento in particolare in cui è emersa questa sua capacità di stringere un legame con voi giocatori? “Uno in particolare no, era più un atteggiamento generale. Faceva una cosa che a me non è mai capitata di ritrovare con tutti gli allenatori che ho avuto successivamente. Prima di ogni allenamento ci riunivamo nello spogliatoio e lui chiedeva a noi: ‘A che ora volete fare domani? Volete fare mattina o pomeriggio?’. O ancora: ‘Qualcuno di voi domani ha un impegno?’. I ritiri erano sempre facoltativi e ci lasciava molta libertà. Anche prima di partite importanti ci chiedeva sempre: ‘Cosa preferite fare? Volete partire il giorno prima o il giorno stesso?’. Qualcosa di unico. Dimostrava di avere fiducia nel gruppo e ci faceva sentire squadra, perché prendevamo tutte le decisioni insieme. Tutto questo ti portava a dare sempre quel qualcosa in più in campo. Lui ti dava tanto in settimana e tu volevi fare altrettanto”.

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Emiliano Tomasini