Ken Aston, la storia dell'arbitro che inventò i cartellini... fermo a un semaforo

Immaginate la Londra del 1966, più precisamente dell’estate del 1966. Mentre sta sbocciando la ‘rivoluzione della controcultura giovanile’… Non so se l’avete presente. Allòra facciamo così, caliamoci in quell’atmosfera tutta pervasa dall’aria meravigliosa dei faboulus Sixties, nella quale la Swinging London è al centro di un vero e proprio ‘scombiccheramento’ generale, dal modo di vestire alle acconciature, dalla musica alla letteratura. E’ un mondo di colori e di emozioni attraversato da minigonne e ritornelli yé-yé, da dualismi storici come tra i Beatles e i Rolling Stones e importazioni da oltreoceano di fenomeni diversi come Bob Dylan, Jimi Hendrix, l’avanguardia, la psichedelia, la manipolazione di immagini cinematografiche. E’ una Londra aperta a ogni sperimentazione, dalle droghe alla liberazione sessuale, dall’antimilitarismo al kitsch, anarchicamente folle, o forse follemente anarchica, un po' lisergica un po' paese delle meraviglie, che scavalca le subculture ‘Mods and Rockers’ e corre all’impazzata verso un futuro affidato alla fantasia. Choccante per il british style, così sobrio, senza evidenti esagerazioni neppure quando si tratta di sorridere, popolato da uomini con l’ombrello in mano e la bombetta in testa, vestiti di nero ma inevitabilmente grigi, tristi, tutti uguali. E' il tardo pomeriggio del 22 luglio del 1966. Davanti ai pub si parla di musica e di football. Del resto proprio in Inghilterra si stanno giocando i mondiali di calcio e la Coppa del Mondo intitolata a Jules Rimet vede tra i favoriti soprattutto i padroni di casa, che possono schierare autentici fenomeni come il portiere Gordon Banks, i difensori George Cohen e Bobby Moore, il centrocampista Bobby Charlton. Nell’esclusivo quartiere londinese di Kensington, nella parte centro-occidentale della capitale britannica, c’è un traffico caotico. In mezzo alla colonna di auto spicca una Morris che avanza a fatica. All’interno una coppia distinta e silenziosa. Lei molto composta e abbastanza anonima, lui un po’ insofferente e con l’aria di chi cerca di non dare nell’occhio, cosa un po’ difficile viste le enormi orecchie a sventola che si ritrova. La signora Hilda Cathy è immersa nei suoi pensieri e guarda distratta dal finestrino i giovani capelloni con pantaloni colorati a zampa di elefante che le passano accanto. Il signor Kenneth George, quasi automaticamente avanza e frena, riaccelera e torna a frenare, fa un altro metro e poi frena ancora. Sollevando il piede lentamente ora dall’acceleratore e ora dal freno, secondo il ritmo lento e noioso dell’ingorgo, badando che non si spenga il motore e che nessuno si accorga della sua presenza. La coppia sta tornando da Colchester, un centinaio di chilometri a nord di Londra, dopo una gita veloce nella contea dell’Essex e non vede l’ora di rientrare a casa. Soprattutto Kenneth George, che di cognome fa Aston ed è in realtà abbastanza noto, visto che il suo volto è spesso in tv e sui giornali, specie nei giorni dei mondiali di calcio. Perché Ken Aston è un arbitro e pure di quelli considerati migliori al mondo. Meno che dagli italiani, visto che una sua direzione di gara fu per gli azzurri assai disastrosa nel mondiale in Cile di quattro anni prima, quando dopo soli sette minuti di gioco contro i padroni di casa mandò fuori il granata Giorgio Ferrini per un fallo di reazione e poi - ingiustamente - anche Mario David, consentendo alla gara di diventare una vera e propria corrida. Plateale fu la reazione di Ferrini, convinto a uscire dal campo soltanto dall’intervento di robusti e minacciosi ‘carabineros’, testimoni della ‘Battaglia di Santiago’. Una reazione molto simile, a pensarci bene, a quella che due giorni prima aveva avuto il capitano argentino Antonio Rattìn, espulso contro l’Inghilterra, di fronte al collega tedesco Rudolf Kreitlen, nel mondiale in corso. Una scena, anzi una scenata, che Ken Aston aveva osservato dalla tribuna di Wembley. Rattìn pretese un interprete, poi si sedette sul tappeto rosso riservato ai membri della Casa Reale, infine battibeccò col pubblico. Ci fu chi scrisse che Kreitlen e Aston avessero usato lo stesso metro di riguardo verso i padroni di casa, tanto inglesi quanto cileni. Rafforzando il commento con una cronaca che raccontava di un giocatore inglese, Nobby Stiles, al quale fu concesso ogni tipo di intervento, al contrario degli albiceleste puniti per ogni contatto . Mentre procede lentamente lungo la Kensington High Street, Ken pensa e ripensa a quella farsa della richiesta dell’interprete inscenata da Rattìn, che aveva fatto finta di non capire, ma anche alle sue difficoltà in campo - a volte - a farsi comprendere dai giocatori nello spiegare i falli e le sanzioni a voce. Non solo faticoso, ma anche difficile da intendere per il tifo sugli spalti. La Morris, imbottigliata nel traffico, intanto giunge nei pressi di un semaforo, mentre la mente di Ken viaggia verso il ‘codice convenzionale’ del campo in vigore all’epoca: davanti a un fallo particolarmente grave o a una protesta ritenuta offensiva bisognava infatti dire al giocatore che doveva considerarsi espulso, quindi indicandogli con fare autoritario e il braccio teso la strada degli spogliatoi. Negli altri casi cercare di spiegarsi nel miglior modo possibile. Ken non è convinto che sia sufficiente, ma del resto il regolamento parla chiaro. E a cinquantuno anni non è il caso di farsi venire dei dubbi. Anche se in questa edizione della ‘Rimet’ è il capo della commissione arbitri. Però c’è anche un’altra storia che non gli va giù… non può passare che dei giocatori come Bobby e Jack Charlton vengano ammoniti e poi debbano scoprirlo il giorno dopo dai giornali, perché in campo nessuno se n’è accorto. Il semaforo è a una decina di metri, la mente vaga, i piedi agiscono, i colori del semaforo cambiano… ‘yellow: take it easy; red: stop’. Ken è impaziente che scatti il verde per poter ripartire, ma è proprio al verde che gli arriva l’illuminazione. Giallo, vai piano, rosso stop… giallo, vai piano, rosso fermati… giallo fai piano, rosso vai fuori… ‘yellow: take it easy; red: stop, you’re off’. Ma certo i colori. Facile, immediato, senza dover dare troppe spiegazioni, semplice anche per il pubblico, per chi segue le partite in tv, per i giornalisti in tribuna… però come segnalare i colori? Un altro arbitro a un tavolo a bordo campo con delle palette? Troppo complicato, poi non si snellisce la comunicazione e si aumenta il numero di persone necessarie ad arbitrare una partita. Un fazzoletto giallo e uno rosso da sventolare, in tasca agli arbitri. Macchinoso e fastidioso da portare dietro. Due cartoncini… anzi due cartellini, da alzare al cielo in caso di fallo e mostrare al giocatore interessato. Giallo se ammonito, rosso se viene espulso. Facile da capire, per lui e per tutti. La Morris accelera un po’, mentre il traffico accenna a diradarsi appena e Ken tocca il braccio di Hilda Cathy, un po' stanca e in leggero stato di torpore… ‘Che credi, cara? Qui si lavora anche mentre si guida… su, sveglia, siamo quasi a casa…!’. Sorvolerei sullo sguardo della signora Aston nei confronti del marito. Non sorvolerei invece sulla genialità dell’idea da sottoporre alla Fifa per ottenerne l’approvazione e fare in modo di poter introdurre quanto prima i cartellini nella regolamentazione arbitrale. A sera inoltrata la Morris della famiglia Aston imbocca il vialetto di casa. La signora Hilda Cathy, che non ha proferito parola fin lì, si fa aprire la porta e si infila nello stretto uscio dell’abitazione, sparendo in fondo alle scale. Ken Aston si sofferma in soggiorno davanti a un buon bicchiere e si accomoda in poltrona. Non sa ancora che l’approvazione da parte della Fifa arriverà, ma solo dopo quattro anni, introducendo la novità dei due cartellini nei Mondiali di Città del Messico del 1970. Sarà il fischietto tedesco Kurt Tschenscher a estrarre il primo giallo in coppa del mondo nel match inaugurale fra Messico e Urss, ammonendo il centrocampista georgiano della Dinamo Tblisi Kathi Asatiani. Quattro anni dopo, in Germania, a Monaco 1974, il primo rosso verrà estratto dall’arbitro turco Doğan Babacan ai danni del cileno Carlos Caszely in Germania Ovest-Cile. A Ken Aston si devono anche l’idea di designare un ‘sostituto arbitro’ in caso di infortunio , quella di indicare la pressione atmosferica del pallone, quella di utilizzare una lavagna di segnalazione per le sostituzioni. Mente fertile, che purtroppo non trovò mai una spiegazione al folle e indolente traffico di Kensington High Street. A cinquant’anni dall’invenzione dei cartellini, tuttavia, l’ex fischietto britannico merita un ricordo doveroso non solo per quel malaugurato match cileno, sul quale di sicuro avrà rimuginato a lungo. Ken Aston è morto ventitrè anni fa. Non ha tuttavìa avuto il tempo di leggere un pensiero del grande scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel nel 1995, che forse avrebbe risolto tutti i suoi dubbi anche sul traffico della elegantissima Kensington High Street. “Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell’omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell’asfalto, non c’è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell’aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c’è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi…”. Che per fortuna però Ken sapeva rendere preziosi…

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Lucio Rizzica