Milo Biilmann, il ragazzo venuto dai ghiacci

Ricordo che avevo all’incirca una decina di anni o poco più. Stiamo parlando dello scorso millennio, più o meno mezzo secolo fa. A pensarci oggi mi fa persino male la sola idea. Nell’edicola illuminata e ricca di suggestioni del mio paesotto comprai un fumetto dei ‘Classici di Walt Disney’ intitolato ‘Paperino ai Mondiali’. Ci si avvicinava alla rassegna calcistica di Germania 1974, che sarebbe diventata storica per la vittoria della Germania Est sulla Germania Ovest nel ‘derby del Muro’, e la Disney ebbe la genialata di trasformare uno dei suoi personaggi principali in un calciatore e ‘anticipare i mondiali di calcio’ mandandolo in tournée con la scombiccherata nazionale di Paperopoli, a giocare partite impossibili e inverosimili. Una su tutte quella in Australia contro i locali, utilizzando un pallone a forma di boomerang che bisognava calciare ponendosi di spalle al campo avversario. Bene, non divaghiamo. Nel corso del giro del mondo lungo un’ottantina di meravigliose pagine a colori, i ‘paperopolesi’ atterrarono in Groenlandia, dove incontrarono la nazionale esquimese in un match surreale, giocato con un pallone di neve di peso e misure regolamentari che ogni volta che veniva tirato si spiaccicava addosso al portiere avversario e doveva essere riassemblato con le mani. Vignette esilaranti che mi proiettarono in una dimensione della quale, per molti anni, non mi capitò più di sentir parlare. La seconda volta che il calcio e la Groenlandia incrociarono la mia strada fu quando - ma ero già maturo e avviato nella mia parabola discendente, professionale e di vita - mi capitò di imbattermi in Jesper Grønkjær, calciatore professionista di nazionalità danese, ottimo attaccante, per anni esterno sinistro di Ajax, Chelsea, Atletico Madrid, Stoccarda, nato a Nuuk, capitale del Paese dei ghiacci, storicamente edificata con il nome di Godthåb. Il passaporto, derivante dall’appartenenza politica della Groenlandia al Regno di Danimarca, rese per tutta la sua carriera Grønkjær un giocatore danese a tutti gli effetti, distaccandolo dal concetto in parte scontato di dilettantismo puro che per anni ha descritto i calciatori groenlandesi come parrucchieri e pescatori che a tempo perso calciano una palla. Una palla normale, si intende, e non di neve come quella che calciava Paperino, ma difficile da controllare per lungo tempo in una regione dove il campionato dura quanto la neve e l’estate brevissima lo permettono, dove si va in campo solo per la gloria, dove non si è affiliati né all’UEFA, né alla FIFA, né alla Concacaf e non si ha come obiettivo crescere per centrare un posto in Champions League o in Europa League o in Conference League o anche solo in Nation League fra le squadre più misere del pianeta. A certe latitudini è difficile che nascano campioni, è difficile che si giochi per diventarlo, è difficile che si possa giocare al calcio per vivere ed è difficile soprattutto vivere di calcio. Ecco perché Jesper Grønkjær è rimasta per anni la sola gloria del calcio groenlandese, nonostante abbia sempre indossato maglie di altri Paesi e difeso i colori della Danimarca. Un tema interessante, soprattutto ora che le recenti elezioni tenutesi lo scorso 11 marzo hanno premiato all’Inatsisartut i Democratici di centro-destra che rivendicano una indipendenza anche politica da Copenhagen. Il popolo della Groenlandia è costituito da Inuit, suddivisi tra di loro in orientali, occidentali e polari. Fanno parte della grande popolazione artica e subartica che -insieme agli Yupik - abita le costiere dell’America settentrionale e della punta nordorientale della Siberia. Gli indiani americani del Canada li hanno sempre apostrofati come ‘eschimesi’. Col tempo si è poi capito che per loro si tratta in realtà quasi di un’offesa, poiché da abili cacciatori e pescatori quali sono, sentirsi chiamare ‘bravi costruttori di racchette da neve e mangiatori di carne cruda’ non rende giustizia. Per il popolo Inuit Jesper Grønkjær è stato una bandiera, ma non una rivincita vera e propria. Comprensibile che in cuor suo ogni Inuk abbia sognato e sperato che prima o oi avvenisse il miracolo di un autoctono che rivendicasse con orgoglio le proprie origini e si intestardisse a difenderle oltre ogni limite. D’altra parte come dice quel proverbio, “non si conoscono mai amici e nemici finché non si rompe il ghiaccio”. E prima o poi la passione lo avrebbe rotto… E difatti è successo. All’ombra del ‘coiffeur pour dames’ Soren Kreutzmann, rinomato attaccante dell’isola, sono cresciuti tanti giovani che hanno dato nuova linfa al mitico Angutit Inersimasut GM, il campionato ribattezzato GrønlandsBANKEN GM, che resiste dal 1954 e dal 1971 è organizzato dalla Federazione calcistica della Groenlandia, la KAK . Ma pur essendo il calcio lo sport più popolare, in Groenlandia rimangono pur sempre poco più di 5.000 i praticanti. Pur sempre il 10% della popolazione complessiva , ma una base troppo piccola per pretendere che possano emergere delle stelle. Ma i miracoli sono tali poiché hanno del soprannaturale più che del razionale e dunque superano le normali prevedibilità dell’accadere e vanno oltre il possibile o il probabile. La signora Nivé Lynge sa bene che quel bambino di tre anni che corre felice dietro a una palla va assecondato, glielo dice il sesto senso di mamma. E’ il 2010 quando incomincia a considerare che non appena avrà l’età il piccolo Milo andrà in una scuola calcio di Nuuk a sfogare tutta la sua esuberanza. La famiglia Biilman segue con attenzione i progressi del bambino, poi ragazzino, poi pre-adolescente Milo. La Groenlandia è un luogo particolare enorme, ma con una popolazione di appena 56.000 persone. Il calcio qui non è professionistico e le opportunità per i giovani talenti, come detto, sono molto limitate. E Milo sembra essere talentuoso. Bisogna trovare il modo di aiutarlo a superare ogni ostacolo pur di inseguire quel sogno. Man mano che cresce, Milo dimostra una determinazione straordinaria. Quando compie quattordici anni, la famiglia chiede al B-67 con il quale è tesserato di decidere il meglio per lui e insieme - famiglia e società - lo indirizzano in Danimarca presso un’accademia calcistica. Milo entra così a far parte dell’Holbæk Bold- & Idrætsforening, una società danese di terza divisione che dispone di una buona under 15. Nell’estate del 2023, visti i suoi progressi, il B-67 di Nuuk decide di investire ancora sul suo talento e gli garantisce i fondi per frequentare una scuola nelle Isole Farøer, dove entra anche a far parte dell'accademia del Klaksvíkar Ítróttarfelag , nelle fila dell’under 17, come centrocampista. E in breve tempo viene convocato fra le riserve della prima squadra nella 1. deild, il campionato di seconda divisione, firmando un contratto da calciatore senior. Così facendo, l’8 luglio del 2024, Milo Lynge Biilmann, nato a Nuuk il 29 luglio del 2007 è diventato il primo calciatore groenlandese di etnia Inuk a firmare un contratto professionistico con una squadra di calcio, in quanto - a differenza di Grønkjær - ha mantenuto il proprio passaporto ed ha anzi debuttato il 1° giugno 2024, poco prima della firma di quel contratto, con la maglia della sua nazionale. Per la cronaca quel debutto non fu felicissimo. L’amichevole fu disputata ad Antalya , in Turchia, all’Arlslan Zeki Demirci Spor Kompleksi, nel quadro dei Friendly Games. Di fronte si ritrovarono la Groenlandia, agli ordini di Morten Rutkjær, e il Turkmenistan. Non si giocò con un pallone di neve, ma sembrò quasi che lo fosse. E i turkmeni dominarono vincendo per 5-0 grazie alla doppietta di Tagaýew e alle reti di Durdyýew, Tirkişow e Abdurakhmanow. L’esordio di Milo Lynge Biilmann avvenne nel secondo tempo a match già compromesso, ma per tutta l’isola fu una vera festa. Milo adesso è in pianta stabile una colonna della nazionale groenlandese, anche se la sua nazionale non si è ancora decisa a entrare a far parte di una delle grandi federazioni mondiali. Nonostante tutte le difficoltà, in Groenlandia c’è una passione enorme per il calcio, che insieme alla pallamano è lo sport nazionale. Anche se quest’ultima ha il vantaggio di giocare sempre al chiuso e dunque di non dover fare i conti con un meteo inclemente. Il calcio in Groenlandia è ostacolato dalle condizioni climatiche estreme e dalla mancanza di infrastrutture adeguate. Nel Paese le temperature sono spesso ampiamente sotto lo zero e i campi perennemente innevati. Un giocatore ai massimi livelli non può alternare il calcio al fùtsal. Ci sono un’ottantina di società calcistiche in Groenlandia e il blu e il bianco della B-67 è il colore predominante tra i tifosi: è la società più grande dell’isola, ma non basta a renderla competitiva. John Pedersen, tecnico della società, ha sempre sottolineato anche il notevole costo degli spostamenti interni in un Paese che in realtà è vastissimo, essendo pur sempre la maggiore isola della terra con i suoi 2.275.600 kmq, compresi i 44.800 kmq delle isole costiere. Andare da una parte all’altra è come spostarsi in Europa, i centri non sono collegati da strade e ci si sposta solo in elicottero, nave o addirittura in aereo. E poi le condizioni atmosferiche sono proibitive e imprevedibili. E’ storia la vicenda di quella squadra cui di colpo vennero a mancare tre giocatori per riempire la panchina e i sostituti dei convocati indisponibili arrivarono con un giorno di ritardo. La Federazione sta lavorando a soluzioni permanenti per alcuni stadi come delle cupole, delle tensostrutture sportive, ma i costi anche in questo caso sono molto alti. Entro un quinquennio ci saranno almeno tre o cinque campi coperti e forse sarà possibile un campionato a undici aperto tutto l’anno. E’ un impegno preso dal presidente federale Jimmy Holm Jensen, che intanto si coccola il suo talento e ne comprende anche un ulteriore sacrificio: “so che per la sua famiglia rimasta a Nuuk è difficile vederlo. I voli sono estremamente costosi e riescono a incontrarsi solo una volta all’anno. Ma nonostante tutte le difficoltà Milo non ha mai perso l’ottimismo e ha continuato a lottare per il suo sogno. Un vero esempio di sacrificio e di passione per il calcio”. Storie come questa dimostrano per davvero che il calcio non conosce confini. La Groenlandia si è candidata a entrare a far parte della Concacaf, la Federazione che sovrintende e organizza le attività in Nordamerica, Centroamerica e Caraibi, che richiede requisiti meno stringenti della Uefa. Riuscire a entrarvi potrebbe aiutare anche a dare più visibilità e attrarre qualche investimento. Ma pensare ancora oggi a un calcio professionistico composto da volontari è realmente storia da fumetto. Alcuni giocano sia a pallamano che al calcio per darsi un paio di prospettive. Quasi nessuno ha il coraggio di fare una scelta così netta come quella di Milo Biilmann. Al quale va dato atto di essere molto legato alla propria terra, ai campi di calcio circondati da montagne innevate e distese di ghiaccio, proprio come quelli sui quali si trovò a calciare Paperino nel fumetto della mia infanzia. Con le palestre locali attrezzate per ospitare le squadre in trasferta e i pasti caldi offerti a bordo campo dalle comunità. Roba d’altri tempi. E così dagli igloo a Paperino, da Grønkjær a Biilmann anche tra gli inuit il calcio si è rimesso in marcia, lungo le tundre punteggiate di muschi e licheni, là dove il permafrost rende tutto brullo, le notti sono lunghe e la vita è difficile. Il 22% degli adulti qui soffre di depressione e di alcoolismo. Il buio polare si alterna sei mesi all’anno con il sole di mezzanotte e tra i giovani il suicidio rimane la prima causa di morte. Anche un fratello di Milo, lo scorso novembre ha ceduto alla disperazione. Milo invece non si rassegna e corre, corre dietro a una palla su un campo di calcio e corre dietro ai propri sogni e non permette a nessuno di interferire. Del resto - come ricorda la scrittrice Rachel Attituq Qitsualik – “L'universo inuit non è governato da nessuno. Non ci sono dee madri e figure paterne. Non ci sono dei del vento e creatori solari. Non ci sono punizioni eterne nell'aldilà, come non esistono punizioni per i bambini o per gli adulti nel presente”. Forse è già abbastanza punitivo doversi confrontare ogni giorno con una natura così faticosa. Ed è abbastanza gravoso doversi mettere alla prova ogni giorno per interconnettersi con un mondo così disagevole. Sempre più raramente Milo torna a Nuuk, dove ritrova la famiglia e le tracce della sua cultura intrecciate con il moderno tessuto urbano e le influenze scandinave. E ritorna su quel fiordo affacciato sul mare. E’ da lì, dove le acque del Labrador incontrano lo Stretto di Davis che anticamente si avventurarono i vichinghi seguendo un’intuizione un millennio di anni fa, i primi coloni nordici che incontrarono gli inuit, quando il navigatore Gunnbjörn Úlf-Krakuson, “perduta la rotta e trascinato verso ovest attraverso l’oceano, scoprì Gunnbjarnasker [‘gli isolotti di Gunnbjörn’]” sulla costa sudoccidentale del Paese, come è narrato nella ‘Saga dei groenlandesi’. Oggi, la montagna più alta della Groenlandia porta il suo nome. E’ da quel fiordo, il Nuup Kangerlua, che Milo Biilmann ha visto il suo futuro un giorno ch’era bambino. Decidendo di intraprendere una sorta di percorso all’incontrario, alla scoperta di un ignoto dettato da una passione. E ora non si può più tornare indietro. Ora che Milo rappresenta un’intera Nazione. Adesso, poi, non si sente più solo, in prima squadra è salito anche il giovane Heini Dai Jørgensen dallo 07 Vestur, giovane talento nato nelle Isole Farøer, suo coetaneo e con il quale ha fatto amicizia. A chi gli chiede come è andato il suo periodo di adattamento risponde: “Bene, ho vissuto prima da Elin e Sámal Sørensen e poi mi hanno ospitato Sonja e Petur. Poi mi sono ambientato, ho fatto molte amicizie, ora c’è Heini e ho un contratto da professionista. Penso a mio fratello, ma devo farcela anche per lui”. E per tutti quelli che in quella frazione di Sermersooq, quando piomba il buio artico in lui vedono uno spicchio di sole.

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Lucio Rizzica