Lunga vita a Thiago Emiliano da Silva: perché l'ex Milan a 41 anni è ancora tra i migliori

C’è voluto João Pedro Junqueira de Jesus da Ribeirão Preto, figlio della grande e operosa São Paulo, per fermare Thiago Emiliano da Silva, carioca purosangue dell’eterna sognatrice rivale Rio de Janeiro, capitano, pilastro, leggenda ed estremo baluardo del Fluminense Tricolor, ma anche ultima squadra superstite della pattuglia extraeuropea al Mondiale per Club americano. C’è voluto un ex, la cui carriera era iniziata proprio nella stessa squadra nella quale Thiago ha deciso - forse - di concludere la sua immensa e lunghissima carriera, nella quale fino a poche ore fa ha messo il piede ovunque e trascinato i suoi compagni come un leader d’altri tempi. Anche se non è bastato. Di sicuro, però, anche quest’ultimo match è servito a dimostrare quanto Thiago Silva sia amato ancora anche dai tifosi del Chelsea, team in cui ha giocato fino al suo ritorno in Brasile, che in semifinale se lo sono ritrovato contro come avversario. Storie di incroci, di amori ‘che fanno giri immensi e poi ritornano’, come avrebbe cantato Antonello Venditti. Storie di relazioni intense e complesse, che nonostante la distanza e i capitoli aperti e poi chiusi, alla fine svelano legami persistenti e indissolubili. João Pedro nei ‘blues’ di Londra, Thiago Silva nel suo Fluminense anche per dimostrare di avere smesso la casacca blue per non dover vestire quella da ‘Pensioner’ . Il Thiago Silva visto negli Stati Uniti ha confermato una volta di più che alla soglia dei quarantuno anni rimane un difensore straordinario, ancora fra i migliori e più affidabili al mondo, dalle altissime prestazioni atletiche fino al ruolo di motivatore della squadra al chiuso degli spogliatoi, là dove serve uno sprone, una guida ai compagni più giovani e un sostegno, una parola giusta a quelli più ‘anziani’. Thiago ha l’esperienza di un ‘vecchio’ e la freschezza atletica di un giovanotto. Ne ha per tutti i gusti. E ha fede. Una fede enorme, indomabile. Quando si è inginocchiato a terra dopo la vittoria per 2-1 contro l’Al-Hilal, mentre la squadra lo abbracciava, è rimasto immobile a indicare il cielo. Si è preparato con amore ad affrontare da avversari i colori con i quali all’esordio aveva vinto la Champions League, deciso ad aiutare fino in fondo l’undici nel quale per la prima volta aveva iniziato a correre verso la gloria calcistica, poco dopo averlo tirato fuori dalle nebbie di una possibile retrocessione dal campionato nazionale e averlo condotto al sesto posto dell’attuale Brasileirão, a quattro punti dalla vetta. Insieme ad altri ‘veterani’ e a molti talentuosi calciatori che hanno dato vita a una sorta di multinazionale sudamericana in cui convivono brasiliani, colombiani, argentini, uruguaiani, venezuelani e paraguaiani. Un occhio alla tecnica, uno alla tattica, uno alla storia personale e uno alle finanze: quelle davvero scarse. Thiago, me lo ricordo ancora quel giorno, arrivò al Milan che non parlava una parola di italiano. Sedette di fronte a me per venticinque minuti in una intervista ‘one to one’ interamente in quel ‘brasileiro’, una variante del portoghese europeo, diverso per pronuncia, grammatica e vocabolario, a me molto familiare e a lui - ovvio - molto gradito. Bastò per rompere il ghiaccio. In Europa aveva già fatto esperienza al Porto e alla Dinamo Mosca in ambienti e contesti decisamente differenti dal calcio italiano. A Milanello - e sono già passati oltre sedici anni - tutto era diverso. Sapeva di trovare una società forte e ben strutturata, ma anche una comunità di brasiliani folta e di primo livello: Kakà, Ronaldinho, Pato, Dida ed Emerson. Rileggo la mia agenda. Il suo arrivo in Italia è previsto per domenica 14 dicembre 2008, il giorno dopo sono già fissate le visite mediche. Al Fluminense vanno dieci milioni di euro, mentre a Thiago Silva - che firma un quadriennale - vanno 2,5 milioni di euro a stagione. Solo che non potrà giocare già da gennaio perché la società ha ancora troppi calciatori extracomunitari in rosa. In ogni caso è previsto che - finchè la situazione non si sbloccherà - resti ad allenarsi in Italia, come aveva fatto Pato l’anno prima, in attesa di poter esordire. Nel 2008 in Brasile è stato eletto miglior difensore del torneo. È considerato il nuovo Maldini. E Maldini per lui è da sempre un punto di riferimento: come calciatore, come atleta, come uomo, come professionista. Domenica 7 dicembre si è congedato dai tifosi ‘tricolores’ regalando a tutti una fotografia autografata con su scritto ‘Grazie, non vi dimenticherò mai’. Alla luce del suo ritorno in Brasile sedici anni dopo, quelle non erano parole di circostanza, ma era tutto vero. Impossibile per lui dimenticare le partitelle ‘na praia’, sulle spiagge di Ipanema e Copacabana o i provini a 15 anni con il Madureira, l’Olaria e il Flamengo, nei quali venne misteriosamente rifiutato da tutti e tre i club. Difficile scordarsi delle giovanili con il Flu e poi di quella prima firma a 19 anni con la Juventude. E di quando Paulo César Carpegiani, ex nazionale brasiliano, lo fece esordire nel 2001 come professionista nell'RS Futebol di Alvorada da jolly di difesa, attacco e centrocampo. Non tutto rose e fiori, dunque, fino ai ventiquattro anni. Fin quando il visionario allenatore Ivo Wortmann gli cambiò posizione e anche la vita decidendo di riportarlo in difesa, imponendolo sia come centrale che come laterale destro. Con improvvisi rovesci, come quando in Portogallo andò tutto storto e alla Dinamo Mosca conquistò al massimo soltanto una brutta polmonite, o almeno sembrò tale. Ne riparleremo… Insomma, dopo il ritorno nel 2006 al Fluminense e tre anni di gloria - con la finale della Copa Libertadores, persa contro il Quito, ma anche la convocazione in nazionale da parte di Dunga - ecco la grande occasione: il Milan. Anche se ben cosciente di dover aspettare mesi prima di scendere in campo… Al ‘Jornal do Brasil’, da poco rossonero, Thiago Silva fa subito capire di avere le idee molto chiare sul proprio futuro al Milan: ”Restare sei mesi senza giocare mi danneggia molto, ma dopo una cosa brutta ne arriva sempre una bella. Ci sono il campionato italiano e la Champions, il Milan può fare benissimo in entrambe le competizioni e io voglio fare la storia di questo club come ha fatto Kakà. Se poi riuscirò a mostrare il mio valore, riuscirò anche a tornare in nazionale. Maldini mi ha detto di pensare soprattutto a imparare la lingua per facilitare la mia comunicazione in campo perché io la palla la so giocare". Già, Paolo Maldini, la sua stella polare. “L’incontro con Maldini ha acceso qualcosa in me. Avevo 24 anni quando sono arrivato e guardandolo mi è venuto da pensare: ‘Il modo in cui mi curo – non bevo, non fumo, non mi manca il sonno – forse significa che posso raggiungere il suo livello di età… ma purtroppo non il suo livello di prestazione. Di Maldini ce n'è uno solo". Ma non solo Maldini è stato un faro per Thiago Silva nell’avviare il suo processo di longevità che tuttora ce lo conserva in ottimo stato di prestazione. "Anche Nesta è stato per me un maestro in allenamento. Era appena tornato da un'operazione, il che gli ha reso le cose un po' difficili, ma aveva me e correvamo insieme in campo: da quei momenti ho imparato tantissimo". Thiago Silva sulle prime avrebbe voluto chiudere al Milan la sua carriera, ma le cose nella vita a volte cambiano. Quello che non può cambiare sono i ricordi. Così come non cambiano i suoi e del resto neppure i miei cambiano. Rammento cosa mi disse quel giorno a Milanello a proposito del suo ‘sbarco’ sul pianeta Milan… “sono sceso dalla macchina qua e c’era Pato che mi aspettava. Dopo siamo entrati negli spogliatoi e mi ha fatto vedere dove sedevano Maldini e Seedorf. Quella è stata per me una giornata proprio indimenticabile”. All’epoca non lo chiamavano ancora ‘O Monstro’, il mostro, nel senso di capacità calcistica fuori dall’ordinario. All’epoca era soltanto un ragazzone di ventiquattro anni o giù di lì in cerca di gloria. Cresciuto nella favela di Campo Grande, a ovest di Rio di Janeiro, uno degli insediamenti spontanei più significativi della regione, Thiago Silva a cinque anni era stato abbandonato dal padre e la sua infanzia non era stata certamente delle più agevoli. Quando era in forze al Porto , rientrò da una trasferta in Thailandia con dei sintomi simili a quelli del raffreddore che perdurarono per diverso tempo. Nei giorni successivi, ceduto alla Dinamo Mosca, dopo pochi allenamenti si accorse di fare fatica a respirare e svolgere esercizi abbastanza semplici. Come già ricordato, gli venne diagnosticata una brutta polmonite. In realtà dopo il ricovero in ospedale e accertamenti più approfonditi, la cosa si rivelò assai più grave. In Thailandia Thiago Silva aveva contratto una forma piuttosto aggressiva di tubercolosi. I medici in modo abbastanza brutale lo informarono infatti che se avesse atteso ancora un paio di settimane anziché svolgere degli esami più accurati, avrebbe rischiato la vita. La cura che gli venne prescritta faticò a fare effetto e Thiago - ma la cosa si seppe solo molto dopo - venne posto in isolamento in un’area per malattie infettive di una clinica moscovita. Quando finalmente poté rientrare in Portogallo gli servirono altri sei mesi perché il male regredisse e perché potesse ritornare al calcio giocato. Fu allora che Thiago tornò in Brasile al Fluminense e - con molta pazienza - ricominciò ad allenarsi e a ricostruire lentamente la propria carriera. Da lì al Milan e al ritorno in campo, grazie anche alle buone intuizioni di Serginho, Leonardo e Adriano Galliani, passarono poco meno di tre anni. Il resto è storia recente. In un paio di anni e mezzo Thiago Silva è diventato uno dei migliori difensori al mondo e fra Milan e Paris Saint-Germain, in poco più di una decade, in 297 partite fra Serie A e Ligue 1 ha anche messo a segno 14 reti. E poi in 113 gare di Premier League con la maglia del Chelsea ne ha segnate altre 8. Il tutto condìto da 113 gettoni e 7 reti con la Seleção e 11 presenze nella Nazionale Olimpica verdeoro. Riuscendo a mettere in bacheca una Confederations Cup, Una Copa América, 1 Coppa del Mondo per Club proprio grazie a quel Chelsea che l’ha da poco eliminato. E come se non bastasse pure 1 Copa Brasil, 1 titolo italiano, 1 Supercoppa italiana, 7 titoli di Francia, 7 Supercoppe francesi, 6 Coppe di Lega di Francia, 5 Coppe di Francia, 1 Coppa Uefa, 1 Supercoppa Uefa, 1 Champions League. E - per chiudere in bellezza - un argento e un bronzo olimpico e diversi riconoscimenti individuali che ne fanno uno dei difensori più completi e apprezzati del mondo, una leggenda vivente che ha giocato solo per grandi club, insomma, e che non ha alcuna intenzione di fermarsi poiché fisicamente è tuttora integro e tecnicamente affidabile. Un allenatore in campo, un riferimento dietro le quinte, che conosce il calcio, le sue dinamiche, i calciatori, i loro sentimenti. Un capitano che sta studiando da ‘mister’. Thiago conosce bene la sofferenza fuori e dentro il calcio. Gli è stata vicinissima la madre prima, la famiglia poi, il calcio sempre. Il pallone lo ha tenuto lontano dalla strada e - soprattutto - dalla ‘cattiva strada’ molto facile da incrociare là dove è cresciuto orfano di padre, figlio della povertà e dei valori. Davanti a un match importante ha fatto leva sull’orgoglio della squadra raccontandole l’apologo del rimpianto: “Era il 2014, il mondiale in Brasile, tornai a casa in un giorno libero. Il mio patrigno si presentò, era malato, non sapevo quanto, lo ignorai e tornai in ritiro. Ma era l’uomo che mi ha reso ciò che sono oggi. Morì poco dopo. Senza che andassi più a trovarlo. Non c’è tempo per rimandare. Mai. Le cose vanno fatte quando si possono fare”. Le occasioni vanno colte al volo. Thiago Silva è una combinazione micidiale di tecnica e grinta, elegante e roccioso, solido e moderno, veloce ed essenziale. È il calcio che non si tira mai indietro, che ci mette la faccia, sempre. Come dimostrato dal naso insanguinato rimediato contro l’Al-Hilal. È carismatico, quando parla intorno c’è silenzio assoluto. Al ritorno al Fluminense, la cui sede è rimasta nel quartiere Laranjeiras, ma il cui campo ufficiale è il mitico Maracanã, è stato accolto come un eroe da migliaia di sostenitori che ricordavano quella promessa fatta nel 2008 di non dimenticarli mai: “Non avete idea di quanto sia speciale per me tornare a casa”, ha detto loro. E in 55mila lo hanno applaudito alzandosi in piedi. Un record. Nello scorso campionato, dopo la festa della salvezza, una volta raggiunto l’obiettivo, Thiago Silva ha sorpreso tutti, ha abbassato il capo, si è inginocchiato e ha percorso in silenzio, a testa bassa, tutto il perimetro del terreno di gioco nello stadio oramai vuoto. Dopo la grande paura svanita proprio all’ultima giornata, il capitano del Fluminense ha ‘onorato il suo voto’. Si è prostrato dinanzi a Dio e lo ha ringraziato andando in ginocchio da un angolo all’altro… “Ora capisco perché sono tornato qui e quale fosse la mia missione”, ha detto. Si è tolto un peso dalla coscienza, ha salvato la società dal tracollo e ha mostrato la sua fede: “Il nostro coraggio deve sempre essere più forte della nostra paura. Dio mi voleva qui”. E ora? O meglio, e da ora in avanti? “È sempre molto difficile parlare del futuro…”. Sì, lo è, soprattutto per un veterano con lo spirito da combattente che ancora dà lezioni al mondo e surclassa attaccanti avversari che hanno la metà dei suoi anni, davanti agli occhi luccicanti anche di quel Paolo Maldini al quale dice di continuare a ispirarsi. Dentro e fuori dal campo. È difficile sapere dove potrà arrivare quel cuore giovane di un quarantunenne saggio, che gioca con la lucidità e l’equilibrio di una leggenda. Dopo avere sconfitto la povertà, le devianze, il dolore familiare, i rifiuti, la malattia, il fallimento, i propri limiti. Armato del suo amore per il calcio e della sua incrollabile fede in Dio. Da quel 7 giugno 2024 in cui è ritornato a Rio de Janeiro, Thiago Silva è il simbolo, è l’idolo del Fluminense, il leader incontrastato della squadra. Che ha preferito ritornare a casa, in una società di ‘brutti anatroccoli senza un real’ piuttosto che cedere alle sirene milionarie di cigni americani e arabi. Perché anche Thiago sarebbe potuto approdare nella MLS o nella Saudi League e prendere uno stipendio notevolmente più alto e giocare con meno sforzo. Invece ha scelto di aiutare con la sua esperienza e la sua qualità il Fluminense a ricostruire la propria storia e riprendersi le posizioni che contano nel massimo campionato brasiliano. Di fare della sua voglia e della sua fame l’esempio per le nuove generazioni e magari anche per quelle vecchie. Perché si può avere il talento, ma se non lo si unisce a un allenamento costante e a una vita sana, allora i giorni nel mondo dei grandi sono contati. E chissà che qualcuno in Arabia Saudita o negli Stati Uniti non abbia guardato questo ‘giovane vecchio’ con un pizzico d’invidia. Perché al suo posto potevano esserci anche altri. Invece c’era lui, ancora, a rubare la scena a tutti. “Sono tornato a casa con gioia e orgoglio, so di potere ancora fare la mia parte. Lo scorso anno in campionato ci siamo salvati proprio all’ultima giornata e sei mesi dopo eravamo in semifinale al mondiale per club. Credo che Dio ci abbia benedetti e concesso tutto questo e io devo molto a Lui e alla mia famiglia…”. Ma un Thiago così potrebbe servire anche alla Nazionale? “A Carlo Ancelotti voglio molto bene, nei sei mesi in cui non ho potuto giocare appena arrivato al Milan mi ha voluto sempre con la squadra, perché erano gli ultimi sei mesi di Maldini e voleva che io gli stessi sempre vicino. Io non ho mai chiuso le porte alla Seleção, non ci punto più, ma se lui ha bisogno di me io corro…”. Ora che il sogno del Mondiale per Club è finito, però, c’è da guardare avanti… “Forse avremmo potuto fare di più, forse no… ma ci sarà di lezione. Ci aspetta già il Cruzeiro in campionato… abbiamo lottato molto, possiamo solo chiedere scusa per questa eliminazione…”. Ma in realtà a Thiago Silva siamo noi a dover dire grazie per le meraviglie che ci ha mostrato e mostrerà ancora.

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Lunga vita a Thiago Emiliano da Silva: perché l'ex Milan a 41 anni è ancora tra i migliori

Lucio Rizzica