Mondiali 2018 Russia, la storia di Vecino: tra Inter e Uruguay nel ricordo di papà Mario

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A 14 anni un incidente d'auto ha diviso Matias e Mario, uniti dalla passione per il calcio. "Cosa direbbe papà se mi vedesse qui?" - disse alla madre il giorno della firma con l'Inter. Ora Vecino segna, porta i nerazzurri in Champions ed è pronto al suo primo Mondiale con l'Uruguay, col nome del padre tatuato sulla pelle

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Quattordici anni, un addio al padre arrivato troppo presto, e una carriera portata avanti nel suo ricordo. La mano destra è tatuata, e porta la firma di Mario, anche lui calciatore, e che sarebbe orgoglioso di dove è arrivato quel suo ragazzo che tra due settimane difenderà i colori dell’Uruguay nella competizione più importante del mondo. Nessuna ambizione cieca però, giura anche la mamma Dolly: “Mario non voleva che Matias vincesse, voleva solo che imparasse”. Perché la sua è ormai una storia calcistica bellissima, pubblicata sul Guardian e scritta in collaborazione con l’uruguaiano Pablo Benítez di El Observador. Nel nome di Mario e portando avanti una carriera che è valsa all’Inter il grande ritorno in Champions dopo cinque anni di assenza. Colpo di testa decisivo, più che mai, sul corner di Brozovic e al minuto numero 82. “Cosa direbbe papà se mi vedesse ora?” - disse alla mamma il giorno della firma sul contratto con i nerazzurri. Ne sarebbe certamente molto orgoglioso, lo stesso orgoglio di un centrocampista uruguaiano che non molla mai nemmeno un centimetro in campo.

Sacrifici

Mario Vecino era anche lui un calciatore, la cui stella polare in carriera è il Liverpool: non quello rosso e finalista nell’ultima Champions, ma il Liverpool Fútbol Club di Montevideo. Vecino padre morì in un incidente d’auto mentre andava al lavoro, e il club locale del San Jacinto ribattezzò il suo campo di gioco Estadio Municipal Mario Vecino, proprio in suo onore. “Quella notte riunii a famiglia intorno a un tavolo e dissi a tutti che le nostre vite sarebbero andate avanti - dice la mamma Dolly - e che non ci saremmo seduti a piangere o a cercare pietà”. Una verità, per quanto brutale, per continuare a far crescere i figli, tre. Nicolas, il più piccolo e il più colpito dalla perdita del padre, vive ancora a San Jacinto con lei, l’altra figlia invece, più grande di due anni del centrocampista nerazzurro, è invece avvocato. Matias invece no, lui voleva fare il calciatore: “Mario ha passato ore a insegnargli il gioco” - ripete Dolly. Come spesso capita tra padre e figlio, quando uno è l’allenatore dell’altro. La prima squadra di Vecino fu il Central Español: ore di viaggio per raggiungere Montevideo e allenarsi. La nonna Esther gli puliva le scarpe bianche, le uniche che avesse, mente nel frattempo lui non perdeva mai neanche un allenamento, zaino in spalle anche quando fuori diluviava: “Sei sicuro che oggi vi allenerete?” - chiedeva imperterrito lo zio Raul Falero. “Troveremo un modo per giocare” - era la risposta di un piccolo Matias che sognava già in grande.

Debutto

L’allenatore del Central Español che fece debuttare Vecino del 2010 era Daniel Sanchez, ex giocatore del club: “Quando ho iniziato ad allenate gli under 15 Matias era già lì, poi sono diventato allenatore della prima squadra e il suo vecchio mister mi disse come fosse il suo miglior giocatore”. Il 6 marzo del 2010 la prima partita di Matias, con la mamma presente a fare il tifo per lui. Un 4-1 sul Tacuarembó, prima della scalata nelle gerarchie del club fino alla chiamata in Nazionale. Prima a livello giovanile nel Campionato sudamericano Under 20, per lui soltanto un punto di inizio. “A Matias tutto questo non bastava - continua sempre Dolly - voleva continuare a scrivere la sua storia”.

Gioia

La carriera di Vecino prosegue dunque al Nacional, squadra per 46 volte campione di Uruguay nella storia e dieci solo nel nuovo millennio. Lì Matias ci rimane appena 18 mesi, perché poi arriva la chiamata della Fiorentina. A Cagliari e Empoli si fa le ossa, dove Sarri lo fa crescere anche e soprattutto a livello tattico. Conte prova anche a strapparlo alla sua terra per una chiamata in azzurro, ma lui ringrazia e rifiuta: “Mi ha sempre detto che voleva aspettare di giocare per la sua di nazione” - fa eco la mamma. Un’opportunità che arriverà poi per davvero nel marzo del 2016, e da titolare, in un 2-2 nella classicissima contro il Brasile. “Non avrei potuto essere più nervosa - dice sempre Dolly - ma per nessuna ragione mi sarei persa la sua prima partita con l’Uruguay, come mai per nessun altro suo debutto”. Da quel momento Vecino c’è sempre stato in Nazionale, salvo tre partite saltate per squalifica o infortunio. L’ultima perla, chiude il Guardian, è quel colpo di testa e la maglia tolta dalla gioia all’Olimpico contro la Lazio. “Non ho segnato tanti gol, ma questo è sicuramente il più importante della mia carriera” - ha detto lui dopo la partita che è valsa la Champions. Con certamente una dedica speciale a chi continua a seguirlo dall’alto.