Neanche questa volta l'Indonesia è riuscita ad andare al Mondiale

E dire che un Mondiale lo avevano già fatto, eccome. Era il lontano 1938: l'anno in Francia della seconda affermazione di fila dell'Italia di Pozzo, fuori subito agli ottavi contro una fortissima Ungheria che sarebbe arrivata, appunto, fino in finale contro gli azzurri. Ma — si dice — avessero una strana maglia color arancione, dei pantaloncini bianchi e dei calzettoni azzurri. E non si chiamavano nemmeno Indonesia, ma Indie Orientali Olandesi. Una colonia. Resta quella la prima, ultima e unica volta della non ancora Indonesia a un Mondiale di calcio. Numeri alla mano stiamo parlando della quarta nazione più grande del mondo e la più grande in assoluto a non non essersi mai qualificata per un Coppa del mondo. Partiamo dall'attualità: l'Indonesia ha perso contro l'Iraq nella quarta fase delle qualificazioni asiatiche ed è fuori dalla corsa al Mondiale 2026 dopo un'infinita quest in stile giochi di ruolo alla Dungeons & Dragons, quelle dove devi superare mille peripezie per arrivare al tanto atteso premio. Avete presente i gironi di qualificazioni europei o sudamericani? Ecco, tutt'altro. L'Indonesia è partita dal lontano ottobre del 2023 per costruirsi la propria chance di giocare la prima Coppa del mondo da paese indipendente: non una, non due, non tre, ma quattro diverse fasi di qualificazioni, uno step dopo l'altro, una carta imprevisti dopo l'altra e la bellezza di venti partite giocate, fermandosi soltanto a due match dalla possibilità di riscrivere la storia. Ma è stata comunque una corsa emozionante. L'India del 1950 rinuncia per colpa degli scarpini Intanto un po' di numeri: l'Indonesia raggiunge l'indipendenza nel 1945 e, oggi, è la quarta nazione più grande al mondo con quasi trecento milioni di abitanti. Di più ne contano soltanto gli Stati Uniti — cerimonieri e habitué dei Mondiali — la Cina — che di Coppa del mondo ne ha fatta una, quella del 2002 — e l'India, storia curiosa: sono loro il Paese più popoloso del mondo e sono loro i più grandi a non aver mai fatto un Mondiale, ma non i più grandi a non essersi mai qualificati. Spiegazione semplice: l'anno è il 1950 e per quell'edizione l'India si è qualificata, ma la nazionale rinuncia a volare in Brasile dopo il diktat della Fifa sull'uso degli scarpini da calcio. Una faccenda talmente assurda da essere vera: gli indiani avrebbero infatti voluto giocare scalzi come da loro tradizione e costume ma, vedendosi negata l'opportunità dal massimo organo calcistico, cambiarono rotta rinunciando a quello che sarebbe stato il loro unico Mondiale. Ma questa è un'altra storia. La tattica Resta quindi la sola Indonesia a non aver mai strappato un pass qualificazione e la loro tattica per arrivare a un passo dall'impresa è stata una sorta di ribaltamento della storia e del vecchio colonialismo: puntare sugli olandesi. Letteralmente. Nella partita giocata a ottobre contro l'Arabia Saudita otto undicesimi della formazione titolare era composta da giocatori nati in Olanda e tutti naturalizzati scovando le radici indonesiane delle rispettive famiglie. Ribaltare la storia, appunto. A settembre è diventato ministro dello sport in patria l'ex presidente dell'Inter Erick Thohir, dopo essere già stato numero uno della federcalcio nazionale. La prima mossa della sua rivoluzione è stata affidare la panchina a una icona oranje come Patrick Kluivert, che guida l'Indonesia dal gennaio 2025 alzando spesso la cornetta per convincere qualche giovane olandese a scegliere la causa Garuda . Come se non bastasse, come consulente è stato scelto Jordi Cruijff, figlio del mitologico Johan. L'altro Reijnders Da qui la ricerca, costante, con il telefono in una mano e l'albero genealogico nell'altra. A marzo 2025 è diventato a tutti gli effetti indonesiano il portiere della Cremonese Audero — papà dell'Indonesia e mamma italiana, con tanti gettoni nelle selezioni giovanili azzurre. Poi è stato un tripudio arancione, una terra del calcio dove — è ovvio — le chance di affermazione di un calciatore sono molto più alte che in Indonesia, ancor di più che la stella polare della filosofia olandese è quella della cura dei giovani. Ecco, chi forse non è abbastanza forte da sognare la nazionale che fu arancia meccanica ora è un gioiellino agli occhi della federcalcio indonesiana. Basti prendere all'undici titolare contro l'Arabia Saudita, dicevamo: il portiere Paes è nato a Nijmegen, l'ex Fiorentina Djks è nato ad Apeldoorn, Idzes del Sassuolo è nato in Olanda, così come Dean James , il capitano Mark Klok e tanti altri: otto su undici, per la precisione. E sono oranje di nascita anche la piccola star Ole Romeny e pure Reijnders: non potendosi permettere l'ex Milan e big del centrocampo del City Tijjani, l'Indonesia ha in squadra il fratello Eliano. Non vinceranno un Mondiale, ma andare a giocarlo, in futuro, forse non sarà più una missione così impossibile.

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Neanche questa volta l'Indonesia è riuscita ad andare al Mondiale

Marco Salami