Dal Partenone alla polvere: la lunga (e forse infinita) crisi del calcio greco

C’è stato un tempo in cui la Grecia era sul tetto d’Europa. L’estate del 2004, per la precisione, quando la nazionale guidata da Otto Rehhagel al di là di ogni pronostico sollevò il trofeo dell’Europeo a Lisbona, dopo aver battuto in finale il Portogallo di Cristiano Ronaldo, sconfitto per la seconda volta in casa dopo la partita d’esordio del torneo. Era la vittoria degli 'sfavoriti', del collettivo, della disciplina tattica e del sacrificio. Un’impresa che divenne simbolo d’orgoglio nazionale, in un Paese che si riscopriva vincente. Per un decennio, il calcio greco ha vissuto la sua età dell’oro. Dopo l’impresa del 2004 arrivarono qualificazioni regolari ai grandi tornei: i Mondiali del 2010 in Sudafrica, l’Europeo del 2012 e soprattutto il Mondiale del 2014 in Brasile, dove la Grecia raggiunse per la prima volta gli ottavi di finale. L’eliminazione ai rigori contro la Costa Rica di Keylor Navas mise fine a un sogno, ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo dopo. Quella generazione aveva uomini simbolo: Giorgos Karagounis, il capitano, rivelazione del 2004 e poi a fine carriera proprio dopo il Costarica con il record di presenze nella Nazionale; Kostas Katsouranis, equilibratore tattico; Giorgos Samaras e soprattutto Angelos Charisteas, bomber di un calcio che faceva della concretezza il suo punto di forza. Erano anni di passione e disciplina, con una nazionale che sapeva soffrire e un movimento che, pur con limiti strutturali, trovava linfa dai suoi club storici. L’Olympiakos si qualificava regolarmente alla fase a gironi di Champions League, arrivando più volte agli ottavi e firmando imprese contro squadre come Arsenal, Juventus e Manchester United. Il Panathinaikos nel 2010 toccò i quarti di Europa League dopo aver dominato in patria, mentre l’AEK e il PAOK restavano presenze fisse nelle competizioni europee, portando ranking e prestigio. Poi, lentamente, tutto è crollato. Nel 2014, dopo l’addio di Fernando Santos, la panchina della nazionale fu affidata a Claudio Ranieri. L’obiettivo era consolidare quanto costruito, ma la sua avventura durò appena cinque partite: zero vittorie e la clamorosa sconfitta interna contro le Fær Øer, una delle più sorprendenti della storia recente del calcio europeo. Quell’episodio fu il punto di rottura: la Grecia, da allora, non si è più qualificata a un grande torneo e il terzo Mondiale consecutivo senza la sua bandiera rappresenta la fotografia di un sistema in crisi profonda. Gli stadi si sono svuotati, le infrastrutture sono rimaste ferme agli anni ’90, e soprattutto la fiducia del pubblico si è persa sotto il peso degli scandali. Negli ultimi dieci anni il calcio greco è stato scosso da episodi che hanno dell’incredibile: arbitri aggrediti o minacciati, dirigenti finiti sotto inchiesta per scommesse clandestine, campionati sospesi per decisione del governo dopo episodi di violenza o sospetti di combine. Nel 2018, per esempio, il torneo fu interrotto dopo che il presidente del PAOK Ivan Savvidis entrò in campo armato per protestare contro una decisione arbitrale durante la partita con l’Aek. Un’immagine che fece il giro del mondo e segnò il punto più basso della credibilità calcistica del Paese. Sul campo, la nazionale ha perso talento e senso di appartenenza. Le nuove generazioni non sono riuscite a raccogliere l’eredità dei 'campioni del 2004'. Oggi i volti simbolo sono giocatori come Vangelis Pavlidis e Fotis Ioannidis, attaccanti protagonisti sì ma nella periferia del calcio che conta con Benfica e Sporting Lisbona o Kostas Tsimikas arrivato alla Roma in fase calante: buoni interpreti, ma lontani dai leader carismatici del passato. Tra le ombre, però, qualcosa si muove. La Grecia sta iniziando a produrre una nuova generazione di calciatori promettenti, molti dei quali hanno stanno trovando spazio nei principali campionati europei. E’ il caso di Kostantinos Koulierakis, difensore del Wolsfburg, o di Christos Tzolis e Kostantinous Karetsas che vediamo crescere in Belgio con Bruges e Genk. Da tenere d’occhio anche Giannis Konstantelias, classe 2003 del PAOK, considerato il talento più puro della sua generazione. Sono segnali ancora isolati, ma raccontano di un movimento che, lentamente, sta ritrovando la voglia di crescere. La Federcalcio greca , dopo anni di commissariamenti e tensioni interne, ha avviato un piano di riforme: investimenti nei centri federali, collaborazione con club europei per lo sviluppo dei vivai e l’introduzione di tecnologie per la trasparenza arbitrale. La Super League ha cercato di rilanciarsi anche con l’ingresso di capitali stranieri in alcune società. Il futuro del calcio greco passa inevitabilmente da un cambio di mentalità: meno interferenze politiche, più fiducia nei giovani, infrastrutture moderne e una cultura sportiva capace di rigenerarsi. La Grecia che incantò l’Europa nel 2004 vinse grazie all’organizzazione e alla compattezza, non ai singoli: forse proprio da lì questa Grecia dovrà provare a ripartire.

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Giovanni Rispoli