Non solo Capo Verde, anche la Nuova Caledonia sogna il Mondiale

La Nouvelle Calédonie, tuffata dal Creatore in mezzo all’Oceano Pacifico, era ancora fino a pochi giorni fa uno degli ultimi Paesi al mondo rimasti alla ricerca di una propria dimensione calcistica. Come una rondine non fa primavera, di sicuro una vittoria non cambierà di certo i già consolidati equilibri -apparentemente immutabili- di un football che a queste latitudini è sì in crescita, ma pure ancora molto distante dal potersi misurare con le potenze ‘pedatorie’ del pianeta; prima fra tutte quella Francia che sulla terra dei ‘canachi’ esercita dalla metà dell’Ottocento il proprio potere giurisdizionale. Però è innegabile che un successo, per piccolo che sia, per una nazionale e una federazione da appena venti anni affiliata alla Fifa, induca a un certo entusiasmo e infonda voglia di non fermarsi anche nel meno appassionato dei tifosi di calcio. Nella eterna convinzione che il talento in fondo non ha mai avuto radici e che, prima o poi, un campione il fato possa decidere di farlo nascere ovunque, anche nelle periferie più sperdute del mondo e, perché no, magari di quella cosmopolita Nouméa che della Nuova Caledonia è la capitale. La moderna ex Port-de-France che è anche la più grande città francofona dell’intera Oceania. È forse per questo che in un luogo così lontano da Dio, ma così bello, affascinante e delicatamente proteso verso il Mar dei Coralli, abitato in maggioranza da cittadini europei, poter esultare per una partita di calcio vinta dalla propria giovane nazionale è ben più che una festa. È un evento unico ed eccezionale e -se si dovesse restare attaccati alla logica- perfino difficilmente ripetibile a breve. E di sicuro è una circostanza storica, quasi quanto l’arrivo della prima imbarcazione della flotta di James Cook, che l’avvistò e vi discese con lo stivale nel lontano 1774, immediatamente circondato dagli occhi curiosi degli autoctoni melanesiani. Fisionomia A distanza di duecentocinquantuno anni, anche in questo territorio d’Oltremare il calcio si è dato una propria fisionomia. Ha inventato squadre e calciatori e, fra una partita in tv e un piatto di bougna, ha messo in piedi nel 1950 un proprio campionato, pure per dare un senso alla federazione neocaledoniana che era nata ventidue anni prima con modeste velleità di sviluppo e progresso. E dalla regular season con play off scudetto, nel 2012 si è passati a una più ambiziosa locale Super Ligue. E così, da marzo a novembre, con girone all’italiana e partite di andata e ritorno, dieci squadre si sfidano inseguendo i tre punti per ogni vittoria, lottando per lo scudetto o per classificarsi alla OFC Champions League, la coppa dei Campioni dell’Oceania, alla quale partecipano però anche team australiani, neozelandesi, delle Isole del Pacifico . Mentre alla penultima classificata tocca giocare uno spareggio salvezza/promozione con la seconda della serie cadetta. Già, perché esiste anche una serie cadetta. A dimostrazione di quanta passione e voglia di calcio si respiri anche qui. È ampiamente comprensibile che non è facile tirare su da queste parti una nazionale di piedi buoni. Ma siccome -come dicono le leggi di Murphy- “se qualcosa può andare male, lo farà”, non è difficile che si riesca persino in questi territori a incrociare una squadra molto più forte, oppure se si è deboli a collezionare débâcles terrificanti. E che a seconda dei punti di vista si possa perdere -o vincere- per 18-0 e considerarlo perfino normale. D’altra parte non si è centosessantunesimi per caso nel ranking mondiale FIFA. E si sogna di ritornare a essere la 95a nazionale del mondo, quando le congiunzioni astrali e i risultati del 2008 lo consentirono. Dal 1930 a oggi la Nazionale della Nuova Caledonia non si è mai qualificata a una fase mondiale dei Campionati del Mondo di calcio. Fino al 2002 perché non partecipava, poi perché veniva eliminata prima. Ma oggi che si gioca per accedere al torneo 2026, che si giocherà fra Canada, Messico e Usa e che è stato allargato a 48 squadre, ogni sogno è possibile. E non è una frase fatta, poiché la Nuova Caledonia non solo è riuscita ad accedere allo spareggio interzona, ma addirittura a vincere anche il suo primo vero match internazionale. Un trionfo epocale il primo, bagnato da un risultato inimmaginabile, anche se ottenuto in una partita amichevole. C’è da dire che la Nuova Caledonia non si è trovata davanti la Francia o il Brasile. Ma per testare i propri progressi aveva comunque deciso di debuttare lontano da casa, cercando un avversario un po’ abbordabile, seppure già più esperto, ma pressoché equivalente. Pur sapendo che a questi livelli l’esperienza può fare una certa differenza e che la -per nulla titolata- nazionale di Gibilterra sarebbe stata uno scoglio difficile da superare per tre motivi. Si sarebbe giocato a ben 18.000 chilometri da casa, contro un’équipe che ha già all’attivo due partecipazioni alla Nations League e che essere al 199° posto del ranking significa molto poco se si è costretti a tribolare in Europa. Insomma, se c’erano le premesse per ‘giocarsela’, al di là della posizione nella classifica mondiale gli avversari avevano alle spalle ben altro passato: quattro vittorie in amichevole contro Malta, Lettonia, Liechtenstein e Andorra e cinque in competizioni ufficiali, contro Armenia, due volte il Liechtenstein e due volte San Marino. Che -per onestà- sono ostacoli molto peggiori che misurarsi con la Micronesia, o il Guam. Unico precedente incoraggiante, forse, quel sorprendente esordio internazionale con la vittoria sulla Nuova Zelanda per 2-0, ma terribilmente datato: 19 settembre 1951. Quando anche la Nuova Zelanda a malapena conosceva il calcio. Ma la vita è strana e riserva delle sorprese a volte. E così la nazionale ‘Kanaky’ ha affrontato il proprio destino con coraggio e un fondo di rassegnazione partendo alla volta di British Lines Road, dove sorge l’Aeroporto Internazionale di Gibilterra. E da lì, dopo una sosta in hotel, si è trasferita al suggestivo Victoria Europa Point Stadium, affacciato sulla costa africana. Un viaggio della durata di 25 ore, con la coscienza sincera di andare incontro probabilmente a una sconfitta. Ma la palla è rotonda e a volte rotola in direzioni impreviste. E questo probabilmente il team di casa non lo aveva considerato. La sfida contro Gibilterra Gibilterra è una nazionale in via di ricostruzione, terminata quella che sembrava essere per tutti l’intramontabile era dei fratelli Chipolina e di Lee Casciaro. Ma possiede già una solida impalcatura e uomini che un po' alzano la media tecnica e militano fuori dal minuscolo territorio d’Oltremare appartenente di fatto al Regno Unito. Come il difensore Kay Mauro del Cadice, il centrocampista Kian Ronan del britannico Chelmsford City e come i due attaccanti Carlos Richards del Burnley e James Scanlon in forza al Manchester United. Nessun pallone d’oro tra loro, età fra i 18 e i 20 anni , ma altra mentalità. Eppure in campo tutta questa differenza ipotizzata non si è più vista. E quando l’arbitro ha fischiato la fine del match il pubblico dapprima in silenzio ha poi applaudito gli ospiti, capaci di andare a segno due volte in una partita ricca di rigori segnati e falliti, ammonizioni ed espulsioni. Per la gioia di Jean-Jacques Katrawa e Germain Haewegene . Anche i kanaky hanno in fondo puntato sugli ‘stranieri’ per crescere. I tesserati francesi Kenon, Simane, Athale, Bako, Zeoula, Richard, Katrawa, Gope-Fenepej e Waya; Sotirio che gioca nel Sydney FC e Jeno del Beitar Gerusalemme. La vittoria a Gibilterra segna una tappa importantissima nella crescita della nazionale della Nuova Caledonia, che per la prima volta nella propria storia non solo ha vinto contro un’avversaria europea, ma ha mostrato -considerando tutti i limiti del livello calcistico espresso- un evidente passo in avanti sul piano tecnico, della personalità e mentale, soprattutto in vista di spareggi intercontinentali per acciuffare il sogno del Mondiale 2026. E ha inorgoglito l’intero calcio oceanico. Ma ha anche rimodulato una questione antichissima ed extracalcistica. Geopolitica In attesa di approvazione da parte del Parlamento francese e di quello neocaledoniano, oltre che da un referendum popolare previsto per il febbraio 2026, che prevederà la creazione di uno stato di Nuova Caledonia, che rimarrà comunque parte della Francia, a calcio i rappresentanti del Regno Unito sono stati sconfitti. Aggiungendo -in questa moderna sfida post imperialista- un capitolo nuovo all’antico conflitto secolare e alla rivalità fra quella Francia e Inghilterra che dal 1756 al 1763 si combatterono aspramente nella Guerra dei Sette Anni solo per il controllo delle colonie. Allora si sparse sangue per sete di conquista e per avere potere sui territori dell’India e del Nord America. Oggi si è calciato per fortuna soltanto un pallone, per arrivare negli Usa a giocarsi un sogno. Niente ricorsi di astio fra case di Valois e i Plantageneti. Ma tanta voglia di esultare, e nulla più, per il piacere di aver violato la porta avversaria. Senza rivendicazioni inglesi del trono francese da contrastare, ma per la legittima voglia di affermare la propria esistenza anche nel mondo del calcio, varcando la frontiera isolata dell’universo Kanaky a suon di gol…

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Lucio Rizzica