I motivi della crisi del Manchester City di Guardiola

Che succede Pep? Provato e graffiato davanti alle telecamere dopo l’ennesima partita sconcertante. Da 3-0 a 3-3 contro il Feyenoord dopo cinque sconfitte consecutive. “Ho voluto farmi male” uscita infelice, via social Guardiola ha dovuto chiarire subito, l’autolesionismo è cosa ben più seria del calcio. In Inghilterra li chiamano bad losers quelli che non sanno perdere, qui c’è di più: c’è la passione che fa rima con ossessione di un uomo abituato all’eccellenza. Ha vinto tanto ma ha anche perso in modo fragoroso Guardiola, ha assorbito sconfitte pesanti, come quella della finale di Champions League del 2021 contro il Chelsea, baciando la medaglia degli sconfitti, un gesto che fu addirittura sottolineato da Papa Francesco come massimo esempio di sportività e accettazione della sconfitta. In altre occasioni ha reagito male mostrandoci di essere un grande allenatore ma anche un essere umano con le sue fragilità. Il malessere attuale di Guardiola è quello di chi cerca un modo per ritrovare la sua squadra, un City che nemmeno la notizia del rinnovo del contratto di Pep è riuscito a risvegliare. I motivi del crollo sono molteplici, il tempo per reagire quasi esaurito, se è vero che domenica i campioni in carica vanno ad Anfield a giocare una partita già senza domani: se perdono scivolano a 11 punti dal Liverpool e, come ha ammesso lo stesso Guardiola, la difesa del titolo a quella distanza dalla vetta sarebbe già una battaglia persa. Ma che succede dunque? L’assenza di Rodri certo. Il Pallone d’Oro è uno di quei pochi giocatori che cambiano le squadre. Era già sembrato chiaro lo scorso anno: quando non c’era lui il City perdeva. È il collante della squadra, quello che protegge la difesa e garantisce gli equilibri, un altro come lui non c’è. Ma ovviamente l’assenza di un singolo per quanto importante non può bastare a raccontare quello che sta succedendo in casa City. In questo momento mancano anche Kovacic e Ruben Dias. Il nucleo centrale è assente, Guardiola continua a giocare il suo calcio ma senza le fondamenta della squadra andare in porta per gli avversari è quasi facile. Da questo punto vista clamorosa è stata la caduta con il Tottenham. Alcuni elementi cardine della squadra stanno faticando, Gvardiol ha giocato malissimo le ultime due, Foden è irriconoscibile rispetto alla sontuosa versione dello scorso anno, De Bruyne dal punto di vista fisico ha iniziato la sua fisiologica parabola discendente. Questioni di campo, di forma, di assetto. Nella crisi della squadra che ha vinto sei delle ultime sette Premier League e la Champions League due anni fa, c’è tutto questo ma anche molto di più. Gli azzurri di Manchester sembrano svuotati: forse una normale annata di flessione dopo anni di vittorie. Anni in cui gli avversari, Liverpool e Arsenal su tutti, hanno spinto il City all’estremo, forzandolo a vincere senza sosta, sempre sotto pressione, per non perdere la corona di squadra più forte d’Inghilterra. C’è, e soprattutto c’era, prima della notizia del rinnovo di Guardiola, aria di fine ciclo a Manchester e il motivo risiede chiaramente anche nel processo in corso contro il club per 115 presunte violazioni del fair play finanziario. Le conseguenze sono potenzialmente devastanti e vanno dalla penalizzazione alla retrocessione, dalla forte multa al blocco del mercato. Inevitabile che tutto questo sia condizionando i giocatori. Un malessere forte, tante motivazioni. A cercare di risolvere tutto questo un uomo al comando: Pep Guardiola, l’allenatore che verrà ricordato come uno dei più grandi di sempre, in grado non solo di vincere tanto ma anche di aver cambiato il calcio. Puoi essere il più bravo, il più vincente, il più ricco, ma quando passione fa rima con ossessione, puoi anche arrivare a graffiarti la faccia per la rabbia e la frustrazione.