Granit Xhaka è nato per imporre la sua leadership

Tra Granit Xhaka e la leadership c’è sempre stato un rapporto profondo. Se non fosse stato così, i suoi genitori non gli avrebbero affidato le chiavi di casa all’età di 4 anni, come da lui stesso rivelato in un’intervista a The Athletic. Oggi, indossa la fascia di capitano del Sunderland, un club in piena rinascita dopo anni di disavventure rese celebri dal bellissimo documentario di Netflix ‘Sunderland ‘til I die’. Ci ha messo poche settimane Xhaka a essere il prescelto di Regis Le Bris, manager dei Black Cats. La squadra, totalmente destrutturata rispetto a quella capace di conquistare la promozione in Premier League dopo 8 anni di assenza , aveva bisogno di una nuova guida. Pazienza, dunque, se Xhaka non aveva ancora nemmeno una presenza con la maglia del Sunderland. Il criterio per designare il capitano era chiaro per Le Bris: la personalità. E Xhaka è stato preso per questo. Dal canto suo, Xhaka ha fatto una scelta alternativa che oggi viene elogiata ma che solo pochi mesi fa era stata accompagnata da un pesante bagaglio di dubbi, per non dire denigrata. Dopo due stagioni al Bayer Leverkusen, da capitano e protagonista, il 33enne svizzero si è immerso in una realtà completamente diversa. Scegliendo il Sunderland, sicuramente tornava nel campionato più prestigioso al mondo, ma sposava un progetto con obiettivi molto diversi. Alla prospettiva di rigiocare in Champions League, Xhaka ha scelto una lotta salvezza. Va anche detto che, vista l’età, Xhaka avrebbe potuto considerare uno scivolo d’oro di carriera in Arabia Saudita o da qualche altra parte, ma evidentemente non faceva per lui. Nella prima intervista rilasciata ai canali ufficiali del Sunderland era evidente la voglia di rivalsa, di dimostrare, di far nuovamente parlare di sé. In un certo senso, si è rimesso in gioco in Premier League per ottenere questo effetto: meritare un pezzo su Sky Sport Insider. I bookmakers all’inizio della stagione avevano eletto il Sunderland come principale favorita alla retrocessione. Dopo 11 giornate, Xhaka e compagni si trovano inaspettatamente in zona Europa. Lo Stadium of Light è tornato a vibrare sulle note di Elvis Presley e Xhaka gioca come fosse un Mackem . Questo è il secondo elemento da evidenziatore della storia tra Xhaka e il Sunderland. Lo svizzero ha perfettamente capito il contesto. Si è immedesimato in una working class che esce dalle catene di una routine faticosa solo il sabato o la domenica. In un certo senso anche Leverkusen è così. Ma il vento europeo mitigava il contrasto. Qui c’è solo una città spettrale che si affaccia sul mare e che vive il Sunderland 365 giorni all’anno. La gente aspetta tutta la settimana per andare allo stadio. Che sia una partita di Premier League, Championship o addirittura, come accaduto pochi anni fa, League One. La leadership è sempre stato il sole dell’universo di Xhaka. Perfino quando è stata fortemente messa in discussione. Ottobre 2019, Arsenal-Crystal Palace. Unai Emery lo sostituisce, il pubblico lo fischia. Xhaka non ci vede più. Si sfila la fascia, la butta. Si leva la maglia, la butta. Evita ogni incrocio di sguardi con la panchina, va dritto negli spogliatoi. Sa che è nei guai, sa che nel giro di pochi minuti la sua storia all’Arsenal è deragliata. Da capitano ad addio. Tutto nel giro di pochi secondi. A dicembre dello stesso anno arriva Arteta e Xhaka ha letteralmente i bagagli pronti. Arteta lo convince a rimanere. Pochi giorni fa alla vigilia di Sunderland-Arsenal, il manager basco ha detto che Xhaka è stato uno dei giocatori ad avergli insegnato di più. Xhaka, da parte sua, lo ha definito “uno dei migliori che abbia mai incontrato”. I due ebbero una conversazione aperta poco prima della sessione di mercato invernale del 2020. Arteta aveva appena creato un caos di sedie dentro una sala per far capire a tutti come il club veniva percepito all’esterno: in stato confusionale. Ecco perché quando i due si incontrano l’esito per Xhaka è sorprendente. Entra sapendo che quella è la prima e unica conversazione, esce chiamando a casa per comunicare: “rimaniamo a Londra”. L’Arsenal torna grande con un Xhaka ritrovato. Poi la voglia di cambiare aria, questa volta consensuale. Lo svizzero raccoglierà i frutti del suo lavoro al Bayer Leverkusen. Nella prima stagione, la 2023/24, vince – da capitano – la prima Bundesliga della storia del club, aggiungendo al palmares anche una Coppa di Germania e giocando una finale di Europa League a Dublino, persa contro l’Atalanta. Nella sua carriera, ha avuto molti ‘nemici’, ma non sono mai stati superiori agli estimatori. È stato leader ovunque sia stato. Dai primi passi al Basilea all’Arsenal. Dal Bayer Leverkusen al Sunderland. Passando per la nazionale svizzera di cui è naturalmente capitano. Il suo punto di riferimento – ha rivelato – è sempre stato Stephan Lichtsteiner. Lo ha avuto in Nazionale e per un breve periodo all’Arsenal. La leadership deve essere innata come dicono molti, ma avere buoni esempi aiuta a coltivarla. Nel bene e nel male, Xhaka lo è sempre stato. Nei giorni più felici e in quelli più bui. Alla fine era il suo destino. Dal giorno in cui i genitori, a soli 4 anni, gli consegnarono le chiavi di casa.

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Granit Xhaka è nato per imporre la sua leadership

Filippo Benincampi