Berlusconi, un rivoluzionario abituato a vincere

Serie A

L'EDITORIALE. Il presidente del Milan compie 80 anni. Ai calciatori ha sempre chiesto solo di essere dei campioni. Resta il presidente del club più titolato del mondo, un’enfasi pienamente giustificata da una collezione di trionfi costruiti in giro per il mondo
 

C’era una volta l’allenatore dell’Edilnord, spirito innovativo che per vedere applicate le sue teorie nel calcio aveva presto imparato che le squadre è meglio allestirle in prima persona. Un po' come quando nel campetto di periferia ti presentavi con il pallone e avevi diritto a scegliere i compagni. Non molti anni dopo il mister dell’Edilnord – un rivoluzionario molto classico nel linguaggio, che amava dire giuoco per gioco – si comprò il Milan. Ed epicamente lo trasformò nel Milan degli Imbattibili, degli Invincibili, degli Immortali, definizioni che rendono l’idea di cosa sia stato il calcio per Silvio Berlusconi, oggi ottantenne di successo, malgrado i successi non arrivino più da tempo, e la voglia di spendere sia stata frenata dalla ragion di stato (familiare). Sta per passare il bastone del comando ai cinesi, il Milan come l’Inter, per garantirsi la sopravvivenza.

Lui resta il presidente del club più titolato del mondo, un'enfasi pienamente giustificata da una collezione di trionfi costruiti in giro per il mondo, perché i confini nazionali sono sempre stati troppo stretti per i sogni di gloria. Un numero su tutti: 5 coppe dei campioni vinte. Non aveva ancora cinquant’anni, ma era già Cavaliere Berlusconi quando comprò il suo giocattolo a strisce rosse e nere: era già stato un grande allenatore di talenti televisivi, il primo a dimostrare che con le tv in Italia ci si poteva divertire (molto) e guadagnare (altrettanto).

Di cose da dimostrare ne aveva anche nel calcio: per vincere non occorre un allenatore che abbia vinto, ma un allenatore vincente. Come Arrigo Sacchi, poi come Fabio Capello, o anche come Carlo Ancelotti, tra i più amati nonostante tutto, nonostante gli alberi di Natale. Ai calciatori chiedeva solo di essere dei campioni: ha infilato una serie di Palloni d’oro che poche squadre possono vantare, da Gullit al collezionista Van Basten fino a Weah, Shevchenko (il suo gemello, quarant’anni più giovane) e Kakà. Dall’Edilnord al Milan c’è un unico filo rossonero che nessuno avrebbe mai creduto si potesse spezzare. Per mani cinesi, per giunta. Non oggi, però, non ancora. E’ il giorno della festa, per l’addio c’è tempo.